A. A. vista da un
alcolista anonimo
Questa pubblicazione ha lo scopo di spiegare come funziona
Alcolisti Anonimi a coloro che per il genere di professione che
esercitano, possono affiancare la nostra opera. Benché il
Programma di A.A. sia basato sullo scambio di esperienze, forza e
speranza fra gli alcolisti, il processo di recupero è molto
individuale,
adattato da ciascuno dei membri alle proprie necessità; ma
anche se
.
il Programma è descritto
qui come lo vede uno dei suoi membri,
questo
opuscolo riflette il pensiero di tutta l.Associazione, dal
momento
che è stato approvato dalla Conferenza dei Servizi
Generali di A.A.
Questo
opuscolo è tratto da un convegno sull.alcolismo cui
l.autore ha partecipato in una delle maggiori università
americane. I
Servizi Mondiali di A.A. desiderano ringraziarlo per aver dato il
permesso di ristampare e distribuire il testo di questo discorso.
*****************
DESIDERO PARLARVI questa sera seguendo un testo già
preparato, per questa ragione: fino a ora, nei miei contatti con
Alcolisti Anonimi, ho parlato in A.A. o in organizzazioni collaterali,
come Al-Anon o Alateen. Ho partecipato a una terapia dove io ero il
soggetto, per cui quanto più il discorso era soggettivo
tanto meglio
era. Questa sera mi è stato chiesto di parlare sul metodo di
recupero, e qui la differenza è subito evidente. Per
parlarne nel
modo più obiettivo possibile ho ritenuto necessario
riflettere e
prepararmi prima. Quanto possa parlare obiettivamente di una
organizzazione uno dei suoi membri, che sente di dovere a essa la
vita e la sua sanità mentale, rimane problematico, ma posso
tentare.
Il mio compito, questa sera, è più difficile di
quel che potrebbe
sembrare a prima vista perché, come già sanno
quelli tra voi che
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fanno parte di A.A., non c.è una interpretazione ufficiale
che io sarei
ben lieto di esporvi, non c.è una “linea di
partito” e nessun dogma né
dottrina che gli A.A. debbano accettare, o un credo da recitare.
2
Anche se fosse qui presente il cofondatore di A.A. egli potrebbe
parlare solamente del suo personale punto di vista. Io considero
quest.assenza di ortodossia uno dei più validi ed efficaci
princìpi
terapeutici di A.A. e spero in seguito di poterne parlare
più
ampiamente. Tengo a precisare che qualsiasi cosa io dica questa
sera è, e deve rimanere, un.esposizione di carattere del
tutto
personale. Di fatto quanto sto per dire potrebbe benissimo avere
questo titolo: “A.A. vista da un alcolista
anonimo”. E dal momento
che sto parlando nell.aula di un.università vi prego di
ascoltare con
quello spirito di onestà e di apertura mentale di chi
conduce una
ricerca.
Perché mi è
stato chiesto di parlare credo che già lo sappiate. Dal
momento che una delle più radicate tradizioni di A.A.
è che la politica
delle “nostre relazioni pubbliche è basata
più sull.attrazione che sulla
propaganda”, non sono qui per cercare di convincere qualcuno,
si
tratti di un alcolista o di qualsiasi altra persona. Il cammino fatto
da
A.A., paragonato ad altri metodi di recupero dall.alcolismo, parla da
sé, e sono sicuro che di queste esperienze avrete sentito
parlare già
da molto tempo in questa stessa sede.
Ora, è del tutto logico che, se un metodo adottato per
affrontare
un problema dà risultati nettamente migliori e
più evidenti degli altri,
quel metodo deve avere uno o più fattori particolari che lo
rendono
unico e stanno alla base della sua superiorità. Si
può dire questo di
Alcolisti Anonimi? Se è così, in che cosa
consiste la sua unicità?
Forse la nostra indagine potrebbe chiudersi rapidamente con
quella che potrebbe essere la definizione
“ufficiale” di Alcolisti
Anonimi e che viene letta in molte riunioni di A.A.; essa dice
testualmente: “Alcolisti Anonimi è un.associazione
di uomini e donne
che mettono in comune la loro esperienza, forza e speranza al fine di
risolvere il loro problema comune e di aiutare altri a recuperarsi
dall.alcolismo. L.unico requisito per divenirne membri è il
desiderio di
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smettere di bere. Non vi sono quote o tasse per essere membri di
A.A.; noi siamo autonomi mediante i nostri propri contributi. A.A. non
è affiliata ad alcuna setta, confessione, idea politica,
organizzazione
o istituzione; non intende impegnarsi in alcuna controversia,
né
sostenere od opporsi ad alcuna causa. Il nostro scopo primario
è
rimanere sobri e aiutare altri alcolisti a raggiungere la
sobrietà”.
Sì, è prolissa, e come la maggior parte delle
definizioni che
circolano oggi nel mondo, riesce abbastanza bene a evitare di dirvi
cos.è sottolineando che cosa non è.
Vediamo se possiamo trovare qualcosa di meglio nel testo base di
A.A., il libro Alcolisti Anonimi pubblicato per la prima volta nel 1939
e
scritto da Bill W., con l.aiuto e il consiglio dei primi cento
alcolisti che
erano riusciti a rimanere sobri per un anno. Nel V Capitolo, intitolato
Il nostro metodo, troviamo queste parole: “La descrizione che
abbiamo fatto dell.alcolista, il capitolo che abbiamo dedicato agli
agnostici, le nostre esperienze prima e dopo il recupero mettono in
evidenza tre punti assai chiari:
1) Che eravamo degli alcolisti e non riuscivamo a controllare le
nostre vite.
2) Che probabilmente nessuna forza umana avrebbe potuto
salvarci dall.alcolismo.
3) Che Dio potrebbe e vorrebbe aiutarci, purché noi Lo
cerchiamo”.
Questi concetti sono più specifici, ma non sono certo una
prerogativa di Alcolisti Anonimi. L.uomo è stato messo in
ginocchio e
ha dovuto ammettere la sua impotenza personale da che mondo
è
mondo. Allo stesso modo, da che mondo è mondo, egli
è stato
attratto dall.idea di un Essere soprannaturale che avrebbe potuto
liberarlo dal suo destino se avesse seguito certi riti e osservato
certe
regole. Ovviamente non c.è in questo nessun fatto nuovo o
diverso,
eppure i “concetti” che abbiamo ripetuto poco fa
sono la pietra
angolare della filosofia di A.A. Ma allora dove possiamo rivolgerci per
scoprire che cosa c.è di peculiare in A.A.?
La prima frase della prima definizione che vi ho letto contiene
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l.unico “è” che io abbia mai trovato in
tutta la letteratura di A.A.
Riascoltiamola:
“Alcolisti Anonimi è un.associazione di uomini e
donne che mettono in
comune la loro esperienza, forza e speranza al fine di risolvere il
loro
problema comune e di aiutare altri a recuperarsi
dall.alcolismo”.
Ancora una volta, c.è qualcosa di veramente nuovo in queste
parole?
Le esperienze degli alcolisti sono essenzialmente le stesse.
Possono essere diverse le circostanze, ma il tema è sempre
il
medesimo: un progressivo decadimento della personalità
dell.individuo, e il livello di forza e di speranza che hanno questi
uomini e donne varia da un giorno all.altro, tanto nel grado come
nella sostanza. Qual è dunque il fatto costante? Che cos.ha
allora
A.A. in particolare?
Potremmo forse trovare la risposta nel modo in cui questa
esperienza, forza e speranza vengono condivise, e, quel che
più
conta, in chi le condivide? Il segreto sta forse, come quasi tutti i
segreti, nel modo in cui tutto questo ha avuto inizio?
Molto tempo prima che ci fosse una definizione di A.A., prima che
ci fosse un libro, o Passi o Tradizioni, o un programma di recupero,
.
ci fu una notte in Ohio, ad Akron, circa 33 anni fa . Una notte in cui
un uomo che si chiamava Bill W., trovandosi solo in una
città
straniera disorientato e impaurito, concludeva che la sola speranza
di mantenere la propria sobrietà duramente conquistata era
di
parlare con un altro alcolista e cercare di aiutarlo. Per quanto io ne
sappia questo è il primo degli esempi venuti a nostra
conoscenza di
un alcolista che consciamente e deliberatamente ha cercato un altro
alcolista non per bere con lui, ma per restare sobrio con lui.
C.era forse, nell.incontro per noi storico di Bill W. con il Dottor Bob
la sera seguente, finalmente una risposta a quella domanda retorica
che Cristo pose 2000 anni fa: “Se un cieco guida un cieco non
cadranno ambedue nella fossa?”. E nel 1935 la risposta fu
dunque,
stranamente: “No!”. Ma forse ciò che
accadde quella sera non era in
contraddizione con le parole di Cristo. Forse uno che non era del
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tutto cieco ed era fisicamente riuscito a distinguere vaghe linee e
forme, riferì quanto vedeva a uno che era nel buio
più completo.
Quella sera chi stava parlando era molto più importante
delle cose
che stava dicendo. Generalmente, molto prima di andare per la
prima volta a una riunione di A.A., l.alcolista ha cercato aiuto (da
altri) o l.aiuto gli è stato dato da altri e in alcuni casi
anche imposto.
Ma questi soccorritori erano sempre esseri superiori: mogli, mariti,
genitori, medici, datori di lavoro, preti, pastori, rabbini, giudici,
poliziotti e persino baristi. La colpevolezza morale dell.alcolista e
la
superiorità morale di chi lo vuole aiutare, anche se non
specificate,
sono sempre chiaramente sottintese. Queste figure rappresentano
sempre l.autorità e si ritrova sempre in loro il motivo di
fondo della
disapprovazione e degli insegnamenti dei genitori. Per la prima volta
trentatré anni fa un alcolista a un tratto sentì
una musica diversa.
Invece del continuo minaccioso blablablà di
“questo è quello che
dovresti fare”, egli sente una voce subito riconoscibile che
diceva:
“questo è quello che ho fatto”.
Sono personalmente convinto che la ricerca di ogni essere
umano, dalla culla alla tomba, sia quella di trovare almeno un altro
essere umano davanti al quale poter stare completamente senza
veli, senza finzioni né difese, e sapere che quella persona
non gli
farà del male, perché è anch.essa
senza veli, come lui. Questa
ricerca di tutta la vita può terminare al primo incontro con
A.A.
Una delle idee che fu all.inizio una caratteristica di A.A., l.idea che
l.alcolismo fosse una malattia, oggi non è più
una caratteristica
particolare. Mentre la discussione sull.esatta natura di questa
malattia e sulla cura possibile potrà anche andare avanti
per sempre,
sembra che nessuna persona di media intelligenza metta ancora in
dubbio questa conclusione. Tuttavia rimane intatto l.impatto che ha
sull.alcolista lo scoprire questa verità da un altro
alcolista. Per gli
alcolisti che si sentono affondare nella colpa e nella vergogna le
parole “Ho scoperto di avere una malattia, e ho trovato il
modo di
fermarla”, costituiscono in molti casi una liberazione
immediata e in
altri almeno un raggio di speranza di poter arrivare un giorno alla
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liberazione.
Mi sembra che quanto succede a un alcolista la prima volta che
viene in contatto con A.A. sia che egli si rende conto di essere
invitato a partecipare all.esperienza del recupero. E la parola chiave
di questa frase è “partecipare”. Che
egli accetti immediatamente o
no, non è importante in quel momento. Quello che
è importante è
che l.invito sia stato fatto e rimanga, e che sia stato invitato a
partecipare da pari a pari, e non come un mendicante. Non importa
quale sia la sua prima reazione, anche il più ammalato degli
alcolisti,
per quanto faccia, non potrà negare a se stesso che gli
è stata
offerta comprensione, uguaglianza e un modo di uscirne già
sperimentato. Gli si fa sentire che lui, di fatto, ha diritto a tutto
questo; per meglio dire lo ha già guadagnato, semplicemente
perché
è un alcolista.
Se l.alcolista risponde a questo invito allora scoprirà
quella che
secondo me è la seconda prerogativa di A.A., e
cioè che A.A. cura
prima il sintomo. Qualcuno rimarrà sorpreso nel sentire che
solo da
trent.anni, quando l.idea era piuttosto rivoluzionaria, Alcolisti
Anonimi
ha sottolineato con forza la sua convinzione che l.alcolismo
è, per
usare le sue stesse parole, “il sintomo di turbamenti
più profondi”.
Comunque A.A. ritiene che la più indovinata delle diagnosi
di questi
turbamenti serve a poco se il paziente muore. Le autopsie non
servono alle persone sulle quali vengono eseguite.
È questione di tempo, ma sembra che A.A. riesca sempre,
prima o
poi, a far capire ai suoi neofiti che la battaglia si vince solo con
l.astinenza totale. In A.A. il carro si mette davanti ai buoi. Il primo
passo è sempre il Primo Passo. Nessun nuovo arrivato in A.A.
può
veramente avere dei dubbi sul fatto che il recupero può
cominciare
solo con la decisione di “stare lontano dal primo
bicchiere”. Egli
impara presto che nessuno può, né vuole, prendere
quella decisione
per lui e impara poi che se la prende nessuno può,
né vuole forzarlo
a mantenerla. In A.A. è sempre l.alcolista che fa le sue
scelte.
Il desiderio, così come la capacità di prendere
questa decisione è
spesso il risultato, io credo, di quella che sembra essere la terza
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prerogativa di A.A.: nella comprensione intuitiva che l.alcolista trova
c.è simpatia ma non indulgenza. I
“terapisti” di A.A. sono già dei
laureati nelle quattro materie in cui l.alcolista regna sovrano:
recitazione, inganno di se stesso, evasione, autocommiserazione.
Nessuno gli domanda che cosa pensi. Gli viene detto cosa pensa.
Nessuno aspetta di prenderlo in fallo quando dice una bugia. Gli
viene detto quale bugia si sta preparando a dire. Insomma comincia
a dire la verità perché non può fare
diversamente. Non ha senso
cercare di ingannare chi può avere inventato il gioco che si
sta
facendo.
C.è ancora un quarto fattore in A.A. che secondo me non si
può
trovare in nessun altro posto, ed è l.onnipresente,
entusiasta, infinita
volontà dell.alcolista recuperato di parlare senza fine
dell.alcolismo,
dei suoi alti e bassi, dei perché e percome, dei suoi fatti
e misfatti.
Senza che il nuovo arrivato se ne renda conto del tutto, parla proprio
fino alla noia del fascino che l.alcol ha per lui, della sua sete, del
suo
desiderio, ma sì, persino della sua necessità di
un bicchiere. Ho
sempre trovato giusto e vero che quelle persone che si sono servite
della bocca per ammalarsi se ne servano ora per guarire.
Infine, in A.A. il processo formativo assume un aspetto del tutto
nuovo. A chi arriva in A.A. non si chiede tanto di apprezzare nuovi
valori quanto di abbandonare quelli con i quali è arrivato;
non tanto di
adottare nuove mete quanto di abbandonare quelle vecchie.
Secondo me una delle frasi più significative di tutto il
libro Alcolisti
Anonimi è questa: “Alcuni di noi hanno cercato di
rimanere attaccati
alle vecchie idee e il risultato è stato negativo fino a
quando non
sono state completamente abbandonate”. La tenacia con cui
alcuni
alcolisti sobri rimangono attaccati alle opinioni, agli ideali e alle
convinzioni che avevano quando sono entrati in A.A. è quasi
incredibile. Uno dei più importanti obiettivi nel Programma
di A.A. è
quello di aiutare l.alcolista a individuare queste idee e di allentare
la
stretta mortale con cui è attaccato a esse.
E allora, chiederete, dove si possono trovare questi elementi
caratteristici? Dove operano? La risposta è solo e sempre
quella
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data riunione, quel determinato indirizzo, in quel dato momento? No.
La vera risposta è che ciò si verifica ovunque
due alcolisti si
incontrino: a casa, a colazione, in una strada, in automobile, sul
marciapiede, sotto un portico e, santo cielo, al telefono.
C.è solo una
condizione: uno di loro dovrebbe essere sobrio. Ma nemmeno
questo è assolutamente necessario. Io sono una prova vivente
che
due alcolisti ubriachi, una volta che hanno fatto parte di A.A.,
possono parlare l.uno con l.altro fino a convincersi a ritornarvi.
A questo punto sarebbe naturale chiedere: “Ma alla fine a che
cosa serve e dove porta tutta questa unicità?”.
Bene, devo
ammettere che proprio questo è il nocciolo della questione,
e vorrei
solo che la risposta fosse facile come la domanda. A ripensarci la
risposta facile c’è. Potrei ripetere le parole
sempre sospese nell.aria
e sussurrate in A.A.: “Il miracolo di A.A. è un
fatto reale”. Senza
dubbio queste parole mi consentirebbero di trarmi d.impaccio in
maniera brillante e anche poetica, ma credo che nessuno di noi ne
saprebbe più di prima.
In A.A. generalmente si tende a credere che se un nuovo arrivato
continua a frequentare le riunioni, “Qualche cosa finalmente
succederà”. E l.implicazione, naturalmente,
è che il “qualche cosa”
sarà il cosiddetto miracolo di A.A. Ora, io sono sicuro che
molti in
A.A. prendono questa dichiarazione proprio alla lettera. Li ho
osservati per anni. Essi frequentano fedelmente le riunioni,
aspettando con fiducia che “qualche cosa succeda
davvero”. Lo
strano è in cosa consista quel
“qualcosa” che poi accade loro.
Muoiono. Siedono lì per settimane, mesi e anni mentre il
rigor mortis
mentale, spirituale e fisico lentamente li pervade.
Io credo che il vero miracolo di A.A., il “qualche
cosa” che
speriamo avvenga, sia semplicemente la voglia dell.alcolista di agire.
Perché finalmente questa volontà si risveglia in
lui spero di poterlo
spiegare dopo. Esaminiamo prima che cosa egli, a un certo
momento, ha volontà di fare.
Quello di A.A. è stato definito giustamente “un
programma di
azione”. Infatti uno dei nostri aforismi più
citati è questo: “La parola
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magica è azione”. Quando il nuovo arrivato sente
queste parole
invariabilmente immagina di dover frequentare riunioni, fare quelle
che sono conosciute come “le visite da Dodicesimo
Passo” ad altri
alcolisti, parlare alle riunioni, far parte di comitati – in
genere un gran
correre di qua e di là. Vediamo se le cose stanno proprio
così.
Citando dal Capitolo V del libro Alcolisti Anonimi: “Questi
sono i
passi che noi abbiamo fatto, e che sono suggeriti come programma
di recupero:
1) Noi abbiamo ammesso la nostra impotenza di fronte all.alcol e
che le nostre vite erano divenute incontrollabili.
2) Siam giunti a credere che un Potere più grande di noi
avrebbe
potuto riportarci alla ragione.
3) Abbiamo preso la decisione di affidare la nostra volontà
e le
nostre vite alla cura di Dio come noi potemmo concepirLo.
4) Abbiamo fatto un inventario morale profondo e senza paura di
noi stessi.
5) Abbiamo ammesso di fronte a Dio, a noi stessi e a un altro
essere umano la natura esatta dei nostri torti.
6) Eravamo completamente pronti ad accettare che Dio
eliminasse tutti questi difetti di carattere.
7) Gli abbiamo chiesto umilmente di eliminare le nostre
deficienze.
8) Abbiamo fatto un elenco di tutte le persone che abbiamo leso e
abbiamo deciso di fare ammenda verso tutte loro.
9) Abbiamo fatto direttamente ammenda verso tali persone,
laddove possibile, tranne quando, così facendo, avremmo
potuto recare danno a loro oppure ad altri.
10) Abbiamo continuato a fare l.inventario personale e, quando
ci siamo trovati in torto, lo abbiamo subito ammesso.
11) Abbiamo cercato, attraverso la preghiera e la meditazione, di
migliorare il nostro contatto cosciente con Dio come noi
potemmo concepirLo, pregando solo di farci conoscere la Sua
volontà nei nostri riguardi e di darci la forza di
eseguirla.
12) Avendo ottenuto un risveglio spirituale come risultato di
questi passi, abbiamo cercato di trasmettere questo messaggio
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agli alcolisti e di mettere in pratica questi princìpi in
tutte le
nostre attività.
Quelli che avete ascoltato sono i famosi Dodici Passi di A.A. Essi
sono stati definiti dai tanti alcolisti anonimi altrettante volte con
le più
svariate espressioni, cominciando da “Gli scalini d.oro che
portano
alla felicità”, fino a “Tutte quelle
stupidaggini a proposito di Dio”.
Ora cercherò di porre alcune domande che possono aiutarci a
capire l.effetto che i Dodici Passi hanno avuto nella vita di migliaia
di
alcolisti e la loro sperimentata efficacia di fronte al problema
dell.alcolismo.
Innanzitutto, vi sorprende forse, come del resto ha sorpreso me,
che in questo Programma non ci sia niente di fisico, come una
terapia a base di infusi o qualche altro prodotto vegetale, vitamine da
prendere o esercizi di ginnastica e yoga da fare ogni giorno? Io
credo che questo sia dovuto al fatto che l.alcolista, in A.A., ha
capito
fin dall.inizio che gli aspetti fisici della nostra malattia non
sarebbero
molto importanti, se non fossero legati a un decadimento spirituale
ugualmente progressivo. Se la cosa di cui dovessimo preoccuparci
di più fosse l.allergia fisica all.alcol allora io credo che
A.A. non
sarebbe mai nata perché nessuno ne avrebbe mai sentito la
necessità. Io varie volte sono stato allergico a diversi
alimenti: alle
fragole, per esempio, ma non ho mai fatto parte di una Anonima
Fragole; alla carne di maiale, ma non ho dovuto cambiare religione
per astenermi dal mangiarne.
Allora, se l.alcolismo è soprattutto un male spirituale che
richiede
una cura spirituale, non vi sorprende, come ha sorpreso me, che non
ci sia niente di nuovo in un senso spirituale, niente di
così
clamorosamente diverso o unico in questo Programma? La maggior
parte di queste idee sono in circolazione da quando l.uomo
strisciò
fuori da una caverna, molte di esse esistevano anche nelle
società
primitive e ogni alcolista – non importa fino a che punto sia
riuscito a
mantenersi irreligioso o amorale – una volta o l.altra deve
pure
averne usata qualcuna o tutte come insieme di valori su cui misurare
se stesso. Credere che l.alcolista che si avvicina ad A.A. per la prima
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volta sia un barbaro senza princìpi né
educazione, improvvisamente
trasformato dalla luce spirituale dei Dodici Passi che prima non
conosceva è, per me, una follia.
Ancora una volta ci troviamo di fronte a un aspetto del metodo di
A.A. che, senza avere in apparenza niente di sostanzialmente
nuovo, ha avuto però un effetto completamente nuovo. Dove
sta,
allora, la differenza? Io credo che si trovi nel modo in cui i Dodici
Passi vengono presentati, piuttosto che in quello che essi ci dicono:
essi sono il resoconto di azioni compiute, più che regole da
non
infrangere sotto la minaccia di una sbornia.
Mi sono domandato spesso quale sarebbe stata la storia del
genere umano se i Dieci Comandamenti fossero stati presentati allo
stesso modo, e non come inflessibili comandamenti espressi con
una negazione: “Abbiamo onorato nostro padre e nostra
madre”. “Ci
siamo ricordati di santificare il settimo giorno”.
“Abbiamo onorato il
nome di Dio nostro Signore e non abbiamo pronunciato il Suo Nome
invano”. “Non abbiamo dato falsa testimonianza
contro il nostro
prossimo”.
In A.A. il resoconto è chiaro e inconfondibile.
“Questi sono i Passi
che noi abbiamo fatto”, dicono quelli che sono venuti prima.
Il nuovo
arrivato alla fine si accorge che anche lui deve fare questi Passi
prima di poterne parlare. E in un.atmosfera in cui il soggetto
è
sempre “quello che ho fatto” e “quello
che penso”, nessun nevrotico
può resistere a lungo alla tentazione di partecipare
all.azione. In una
organizzazione i cui membri sono sempre segretamente convinti di
essere unici, nessun nevrotico resisterà molto ad
accontentarsi di
quello che gli altri stanno facendo. Forse per caso, o con intenzione,
o per ispirazione soprannaturale, i Dodici Passi sono consegnati e
presentati in modo tale che l.alcolista può ignorarli
completamente, o
prenderli alla leggera, oppure accettarli con tutto il cuore. In ogni
caso ciascuno può riferire solo che cosa ha fatto
personalmente.
Finché non lo fa sa di essere un ospite più che
un membro di A.A., e
per l.alcolista questa è una situazione che
finirà per diventare
insopportabile. Dovrà fare almeno qualcuno di questi Passi o
sentirà
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di doversene andare. Secondo me è questo che alla fine
scuote il
membro di A.A. che rimane in attesa, abulico e spesso ostile, e
anche la risposta al perché questo accade.
La presentazione dei Dodici Passi come resoconto di atti compiuti,
e non come ordini da eseguire, sta anche alla base della evidente
assenza in A.A. di qualsiasi dogma o dottrina da osservare. Nessuno
in A.A. si è mai sentito dire che deve fare questi Passi se
non vuole
tornare a fare la vita dell.ubriacone. Se uno dice di essere un
membro di A.A. è un membro di A.A., sia se fa i Passi a
rilento sia se
va avanti con entusiasmo. La gamma di tipi tra gli alcolisti anonimi va
da quelli che non si stancano mai di proclamare ai quattro venti:
“Finora sono rimasto sobrio basandomi sul Primo e sul
Dodicesimo
Passo”, a quelli che altrettanto instancabilmente esortano:
“Utilizzali,
non analizzarli”. I primi sembrano proprio ignorare
allegramente
l.importante clausola del Dodicesimo Passo, “avendo ottenuto
un
risveglio spirituale attraverso questi passi...”, e sembrano
soddisfatti
di quella che può apparire agli altri una
sobrietà immiserita e
tristemente limitata. Sembra che gli altri ignorino, allo stesso modo,
il
fatto che proprio l.esortazione a non analizzare è il
risultato di una
loro analisi.
Non è questo il momento opportuno per parlarne a lungo, ma
alcuni aspetti dei Dodici Passi non devono essere ignorati, dal
momento che ne sentirete parlare spesso in futuro, svolgendo il
vostro lavoro.
Il primo di questi aspetti è quello che viene qualche volta
definito
in modo irriverente, anche se appropriato, “l.assillo di
Dio”. Questo
principio basilare del programma di recupero di A.A. è
destinato a
essere sempre più sottoposto a verifica e messo in
discussione, e
viene sempre più messo alla prova anche qui da noi, mentre
A.A.
acquista un carattere sempre più internazionale,
allontanandosi dalla
morale giudaico-cristiana della società americana in cui
è stata
fondata.
I fondatori di A.A. ovviamente intuirono che gli alcolisti hanno
bisogno di un Potere più grande di loro, ma ripeto che vuoi
con
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intenzione, vuoi per caso o per ispirazione divina, essi si sono
saggiamente astenuti dal definire con precisione questo Potere.
Mentre nella sua letteratura A.A. ha usato e continua a usare il
pronome personale che implica il concetto di una deità
personale,
una fede in questo senso non è affatto richiesta a nessuno.
Sono
convinto che per un membro di A.A., con il passare degli anni, la
natura di questo Potere diventa sempre meno importante. Non solo
io ma la maggior parte degli appartenenti ad A.A. sembrano
progredire, col passare del tempo, dalla ricerca di un Dio che noi
possiamo capire alla fede in un Dio che ci capisce.
I fondatori di A.A. si sono anche affrettati a chiarire che cosa si
vuole intendere con le espressioni “esperienza
spirituale” e “risveglio
spirituale” per descrivere il cambiamento della
personalità che essi
ritenevano indispensabile per un recupero permanente della
persona. In appendice al libro Alcolisti Anonimi troviamo queste
parole:
“La nostra associazione, composta di migliaia di alcolisti e
in
rapida crescita, queste trasformazioni (cioè improvvisi,
sensazionali
risvegli di carattere religioso), anche se frequenti, non sono, sia
chiaro, la regola. Molte delle nostre esperienze sono del tipo che lo
psicologo William James definisce „progressivamente
educative.
perché si evolvono lentamente nel tempo... Alla fine lui (il
nuovo
venuto) si accorge del profondo mutamento nelle sue reazioni ai
problemi della vita e che questo cambiamento interiore non lo poteva
creare e determinare lui da solo”.
Nelle Dodici Tradizioni, A.A. dichiara: “una sola
autorità ultima...
un Dio di amore, comunque Egli possa manifestarsi nella coscienza
del nostro gruppo”. Vorrei ricordarvi che questi gruppi sono
formati
da alcolisti, e che anche il più accanito degli atei o il
più persistente
degli agnostici si rende conto, magari dopo anni di
sobrietà, di ciò
che è la coscienza del gruppo.
Qualcuno può anche pensare che A.A. si contraddica nel
Quarto e
nel Quinto dei suoi Passi. Se li ricordate questi Passi dicono:
4) Abbiamo fatto un inventario morale profondo e senza paura di
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noi stessi.
5) Abbiamo ammesso di fronte a Dio, a noi stessi e a un altro
essere umano la natura esatta dei nostri torti.
Apparentemente abbiamo qui un.organizzazione che da un lato
parla dell.alcolismo come di una malattia escludendo così
ogni
concetto di colpa, dall.altro fa capire ai suoi membri che il recupero
richiede una profonda e coraggiosa ammissione di questa
colpevolezza di fronte a Dio e a un.altra persona. La mia opinione
è
che questo paradosso apparente è il risultato della
conoscenza
basata sulle esperienze fatte dai fondatori di A.A. Certo essi si
resero conto che, come è avvenuto a tutti noi, per quanto si
continui
a dire al nuovo arrivato che il suo alcolismo è una
malattia, lui
continua a sentirsi colpevole. Egli non può chiudere gli
occhi di fronte
alle conseguenze morali del suo alcolismo, né di fronte al
danno
procurato a coloro che lo circondano, né alla vergogna e
alla
degradazione che egli ha inflitto a se stesso. Questo carico di
colpevolezza convenzionale – e uso la parola
“convenzionale” con
cognizione di causa – insieme al desiderio maligno e cocciuto
dell.alcolista di rimanerci attaccato, è la più
vecchia delle sue
“vecchie idee”. È la più
vecchia perché è stata la prima a presentarsi
e in molti casi è l.ultima ad andarsene. Ma deve andarsene,
se si
vuole che l.atteggiamento dell.alcolista verso se stesso e di
conseguenza verso il mondo che lo circonda subisca un
cambiamento fondamentale. Ecco perché io ritengo che i
fondatori di
A.A. abbiano imparato con la propria personale esperienza che si
deve dare allun mezzo convenzionale per liberarsi dal peso del suo
senso di colpa convenzionale. Di qui l.origine del Quarto e Quinto
Passo.
A questo punto sarà chiaro, spero, che il programma di
azione di
A.A. non è un correre di qua e di là come spesso
crede il nuovo
arrivato, e nemmeno consiste nel portare senza sosta il messaggio
ad altri alcolisti. La sua azione, al contrario, si rivolge soprattutto
all.uomo interiore, coinvolgendo la sua sensibilità e i suoi
valori più
profondi. Solo tre Passi, il Quinto, il Nono e il Dodicesimo
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coinvolgono altre persone. Gli altri nove riguardano la vita interiore,
ma se vengono osservati, il risultato finale sarà che
l.alcolista uscirà
da se stesso e andrà verso gli altri.
Una frase del libro Alcolisti Anonimi che viene spesso citata
è:
“L.egocentrismo... è l.origine dei nostri
guai”. E uno dei primi segni di
un cambiamento fondamentale nella personalità dell.alcolista
che si
sta recuperando, è il lento, esitante, timoroso, ma continuo
offrire se
stesso agli altri. Gli alcolisti vengono messi nel numero di quelli che
hanno sempre qualcosa da chiedere. “Datemi una
possibilità...
Datemi un.occasione... Datemi tempo... Datemi comprensione...
Datemi affetto”. In A.A. sono proprio loro che entrano a far
parte
della categoria dei grandi donatori e, incredibile, alcuni imparano
persino a non aspettarsi niente in cambio.
La casa che A.A. aiuta a costruire è diversa per ogni
occupante,
perché ciascuno è l.architetto di se stesso. Per
molti alcolisti A.A. è
una specie di ritorno a casa, un ritorno come quello del Figliol
Prodigo alla dimora e alla fede dei suoi padri. Per altri è
un viaggio
interminabile in terre che essi non sognavano nemmeno che
potessero esistere. Non importa in quale gruppo uno capita. Quello
che veramente importa è che A.A. ha dimostrato ampiamente
come
la casa che costruisce sia adatta per il ribelle come per il
conformista, per il radicale come per il conservatore, per l.agnostico
come per chi ha fede. L.assenza di dogmi formali, la mancanza di
regole e comandamenti, la natura specifica delle sue definizioni, e la
duttilità delle sue strutture – tutte queste cose
noi le abbiamo finora
considerate un contributo a questo felice e incredibile risultato.
Ma quello che conferma tale risultato e consente all.alcolista
recuperato in A.A. di fare sempre da sé le sue scelte
è, a mio avviso,
uno dei più importanti princìpi operanti in A.A.,
anche se raramente
posto in rilievo. Proprio quei fattori che ho enumerato prima
consentono a qualsiasi alcolista, in qualsiasi momento di qualsiasi
giornata, di trovare in A.A. qualcuno che in buona fede
approverà la
decisione che lui ha preso. D.altro canto, in qualsiasi momento lo
stesso alcolista può trovare in A.A. qualcuno che in
perfetta buona
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fede disapproverà quello che lui ha deciso di fare.
Così, prima o poi,
colui che si sta recuperando in A.A. è letteralmente
costretto a
pensare per se stesso. Prima o poi, scoprirà di essere come
la
tartaruga, quella lenta creatura che cammina solo quando tira fuori la
testa. La duttilità informale dei princìpi di
A.A. come vengono
interpretati dai diversi aderenti, infine, spinge il nostro alcolista a
dover usare solo se stesso come punto di riferimento delle sue
azioni, e questo significa che lui deve saper accettare le
conseguenze di quelle azioni. Per me, questa è la
definizione della
maturità emotiva.
Sarebbe meraviglioso se io potessi a questo punto chiudere il mio
discorso e andarmene in un alone di luce e bontà, lasciando
che le
mie ipotesi bellamente esposte si difendessero da sole, ma se lo
facessi vi farei un torto. Per ogni membro di A.A. arriva il momento,
da alcuni confessato, da altri tenuto segreto, in cui egli comincia a
porsi una domanda che lo infastidisce e lo rode dentro. Le parole
potrebbero essere queste: “A.A. può essere
tutto?”. Altre volte la
domanda prende un tono più fatalistico: che non ci sia
più niente
oltre ad A.A.?”. E in altri casi si esprime semplicemente
così: “E
adesso, caro mio, e adesso che si fa?”.
Può venire il giorno in cui una di queste anime in pena vi
arrivi
dove lavorate o davanti alla scrivania per sottoporvi uno di questi
ragionamenti:
“A.A. è un.associazione di ammalati, e io capisco
che per me è un
handicap continuare a frequentarli”.
“A.A. si occupa sempre del nuovo arrivato. È
impossibile
progredire per quelli che sono lì da prima”.
“A.A. in realtà è una specie di
sottocultura, e finirò per rimanere ai
margini delle manifestazioni più importanti della mia
vita”.
Come mai queste parole mi vengono così facilmente alle
labbra?
Perché le ho dette io per primo, a me stesso, e poi le ho
sentite
ripetere, sia da coloro che mi hanno preceduto sia da coloro che
sono venuti dopo di me.
Se qualcuno dovesse esporvi uno di questi argomenti – o tutti
–
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non metteteli da parte troppo alla leggera, vi prego. Se questi
pensieri sono così insistenti è perché
c.è in essi una buona parte di
verità.
Questi pensieri fanno sorgere nei membri di A.A. senso di colpa,
timore e preoccupazione dovuti in massima parte, io credo, a questo
semplice fatto: molto prima di azzardarci ad ammettere questi
pensieri di fronte alla nostra coscienza, siamo stati esortati da molti
paladini di A.A. a credere che “A.A. è tutto
quello che ti occorre”.
Sembra che a queste persone non passi mai per la mente – e
nemmeno a chi le ascolta, se è per questo – che
basterebbe
cambiare il pronome e quella frase sarebbe perfetta e accurata:
“A.A. è tutto quello che mi occorre”;
ecco una dichiarazione
individuale che può far bene a molti e male a nessuno.
In tutta la letteratura di A.A. non trovo niente che convalidi la
massima, a volte presunta a volte dichiarata, che il Programma di
A.A. sia l.unica cosa di cui dovrebbe interessarsi l.alcolista
recuperato o sulla via del recupero. In realtà la storia di
migliaia di
alcolisti anonimi rivela proprio il contrario. Io stesso sono stato
sempre cattolico, con diversi gradi di intensità e diversi
livelli di virtù.
Sono anche stato in cura da uno psicanalista per diversi anni, dopo
undici anni di sobrietà in A.A. Non ho mai trovato che
questi tentativi
o interessi si escludessero l.un l.altro. Mi sembra che qui ancora una
volta tornino a proposito le parole della Bibbia. “Vi
è un tempo e un
luogo per ogni cosa”. Se questa sera qualcuno di voi mi
chiedesse di
aiutarlo per il suo problema con l.alcol, non credo proprio che gli
chiederei di venire a Messa con me domenica prossima, né gli
chiederei se vuole un appuntamento con il mio psicanalista. Gli
chiederei invece, senza esitare, di venire con me a una riunione di
A.A…. “Vi è un tempo e un luogo per
ogni cosa”. Il vero pericolo,
secondo me, sta nella convinzione dell.alcolista recuperato, che se
vuole procedere nel tempo e nello spazio deve per forza lasciare
andare A.A. Niente potrebbe essere più falso e inutile.
La frase così spesso sentita “A.A. è
tutto quello che ti occorre”, è il
segno di una paura, paura che, se qualcuno in A.A. non crede che
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questa sia l.unica e la sola, la completa ed esauriente risposta a
tutti
i mali dell.alcolista, allora tutti gli altri amici periranno con lui.
Una
volta io avevo questo atteggiamento nei confronti della mia religione,
e veramente sono entrato in A.A. fortemente abbarbicato a essa.
Sarebbe stato triste per me imparare a separarmi da una
“vecchia
idea” solo per sostituirla con un.altra.
Questa ricerca di perfezione, e della sola Risposta Perfetta
è il
segno che distingue il nevrotico. Dai tempi dell.Eden l.uomo ha
sempre gridato: “Datemi un rito; datemi delle parole; datemi
una
preghiera; datemi un canto; datemi una croce, una reliquia, un
rosario; datemi un incantesimo; datemi dei sogni da interpretare;
datemi qualche cosa, datemi qualsiasi cosa, purché sia una
formula
magica, meccanica, qualcosa che io possa toccare o afferrare o dire
o fare – e tutto sarà risolto”.
Applicare ad A.A. questo metro così irreale sarebbe sleale
verso
l.Associazione come lo sarebbe, e lo è stato, per qualsiasi
altra
istituzione di questo mondo.
La vera libertà sta nella realizzazione e nella calma
accettazione del
fatto che molto probabilmente non c.è nessuna risposta
perfetta.A
ognuno quindi non rimane altro da fare che scoprire e mettere in comune
con gli altri quello che va bene per se stesso.
In ultima analisi sono convinto che io, e con me tanti altri, abbiamo
scelto di rimanere in A.A. perché solamente lì
possiamo veramente
rivivere l.esperienza iniziale del nostro recupero. Solo lì
possiamo
prendere parte attivamente allo sforzo che tutti i membri portano
avanti ogni giorno, una lotta che può avere alti e bassi e
che
conosce momenti di forza e momenti di debolezza, ma che è
sempre
una lotta per essere ogni giorno un po. migliori di quello che eravamo
il giorno prima. Se voi non siete alcolisti, o membri di A.A., mi
sembra quasi di sentirvi dire: “Ma questo uomo deve rendersi
conto
che questo sforzo viene compiuto ogni giorno in altri gruppi e in altre
organizzazioni”. Certo che me ne rendo conto. Sono stato, e
sono
tuttora, membro di alcuni di quei gruppi e di quelle organizzazioni.
Ma solamente in A.A. io posso partecipare a questo sforzo nella
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misura o con l.intensità che hanno dato alla mia vita un
significato.
Sempre di più, con il passare degli anni in A.A., ovunque io
mi volga,
e ovunque io guardi, la parola chiave, l.agente propulsore, il supremo
catalizzatore, sembra essere quella semplice parola:
“partecipare”.
Comunque, come tutte le grandi benedizioni, a questa
intensità di
partecipazione, a questo sentimento di un alcolista per un altro, fa
riscontro un pericolo sempre latente. In maniera subdola favorisce
l.onnipresente bisogno, sempre in agguato nell.alcolista, di ritrarsi
dal
grande fluire della vita e rinchiudersi in se stesso. Imparare a
sostituire con un dentro o fuori di A.A., potrà sedere alla
presenza
dei suoi nemici. Quando questo avverrà, egli sarà
stupito di scoprire
che alla riunione c.è solo una persona: se stesso. Il giorno
in cui
l.alcolista in A.A. si rende conto che il suo nemico è
dentro di lui, che
le tigri sono in gran parte creature della sua fantasia nascoste nel
suo inconscio, quello è il giorno in cui per lui A.A.
diventa quello che,
secondo me, i suoi fondatori volevano che fosse: un volo dentro la
realtà.
Non era passato molto tempo da quando io ero stato alla mia
riunione con i miei nemici, e mi trovavo a San Francisco dove salii su
uno di quei fantastici vagoncini della funicolare che scendono
giù per
Power Street, fino alla Fisherman.s Wharf. Fu allora che
capitò una
cosa strana e meravigliosa. Tutti i passeggeri che erano scesi con
me in fondo alla collina uscirono e, senza aspettare i manovratori,
fecero ruotare la piattaforma girevole fino a invertire il senso di
marcia, per tornare su per la ripida, lunga salita da cui eravamo
discesi. E io rifeci tutta la strada con loro, tutta la strada fino a
godere di nuovo quella fantastica veduta sul Golden Gate.
Mi venne in mente allora che A.A. era stata per me proprio la
stessa cosa, e sperai che lo sarebbe stata sempre anche per gli altri:
una buffa specie di veicolo ridicolmente semplice, costruito alla
meno peggio, rumoroso, cigolante ma robusto e furiosamente
amato, che aveva preteso da me e da tutti gli altri passeggeri di
essere messo nella giusta direzione per riportare tutti su per la
collina da cui eravamo discesi, su fino al punto da cui avremmo
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potuto di nuovo vedere il ponte, il ponte verso una vita normale.
Questa sera, se volessi trovare un difetto all.Associazione,
sarebbe di non aver ancora cominciato a spillare il potenziale
nascosto nelle ultime dieci parole del Dodicesimo Passo:
“Mettere in
pratica questi princìpi in tutte le nostre
attività”.
Mi è capitato di pensare, qualche tempo fa, che quando sono
seduto in una riunione di A.A. non penso di essere seduto vicino a
un altro bianco, un altro cattolico, un americano, francese,
messicano, ebreo, musulmano o indù, un nero o un meticcio;
mi
rendo conto solamente di essere seduto vicino a un altro alcolista.
Ho acquisito questo senso di comunione umana a prezzo di angosce
e sofferenze considerevoli, e questo ha un significato profondo.
Questa comprensione e questo sentimento per gli altri, così
duramente conquistati, dovrebbero dunque essere limitati agli
incontri e ai membri di A.A.? O non dovrei mettere insieme quello
che ho imparato e sperimentato e applicarlo non solo in A.A., ma in
ogni altro campo della mia vita, alzare il capo e prendere il posto che
mi spetta nella famiglia degli uomini? Potrò là,
davanti a Dio, sapere
che non sono seduto vicino a un altro bianco, un altro cattolico, un
altro americano, e nemmeno un francese, messicano, ebreo,
musulmano, indù, bianco o meticcio, e nemmeno a un altro
alcolista,
e potrò finalmente – dopo tanto tempo, grazie a
Dio – tornare a casa
reduce da tutte le battaglie e dire nel profondo della mia anima:
“Io
sono seduto vicino a un altro essere umano”?
Signore e Signori, chi oserebbe analizzare un portento, fare il
diagramma di un prodigio, o spiegare un miracolo? Solo un
insensato potrebbe farlo. E credo di non essere stato tanto insensato
questa sera. Ho cercato solamente di raccontarvi dove sono stato
negli ultimi sedici anni, e alcune delle cose in cui ho imparato a
credere durante questo cammino.
Domenica prossima, in molte delle nostre chiese, verrà letta
quella
parte del Vangelo di Matteo in cui si narra del tempo in cui Giovanni
Battista languiva nelle prigioni di Erode, e avendo saputo dei miracoli
che faceva Gesù, suo cugino, mandò due discepoli
a domandargli:
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“Sei tu Colui che ha da venire, o ne dobbiamo aspettare un
altro?”. E
Cristo si comportò come spesso faceva. Non rispose
direttamente
ma volle che Giovanni decidesse per conto suo. Così disse ai
discepoli: “Andate e riferite a Giovanni quello che udite e
che vedete:
i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono nettati, i sordi
odono, i morti resuscitano, e il Vangelo è annunziato ai
poveri”. Nella
mia infanzia mi è stato insegnato che i
“poveri” in questo caso non
erano solo i poveri in senso materiale, ma anche “i poveri di
spirito”,
coloro che soffrivano per una fame e una sete interiore; e la parola
“Vangelo” significa proprio alla lettera
“buona novella”.
Più di sedici anni fa quattro uomini – il mio
principale, il mio
medico, il mio pastore e l.unico amico che mi era rimasto –
lavorando insieme e separatamente, mi convogliarono verso A.A.
Questa sera, se volessero sapere da me che cosa ho trovato, direi
quello che ora dico a voi:
“Posso dirvi solo quello che ho visto e udito: è
vero che i ciechi
vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono nettati, i sordi
odono, i morti resuscitano, e continuamente, a metà della
giornata
più lunga, o della notte più scura, la buona
novella viene portata ai
poveri di spirito”.
Voglia Dio che possa essere sempre così.
Copyright ©1970
Alcoholics Anonymous World Service, Inc.
Letteratura approvata dalla
Conferenza dei Servizi Generali
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