Mi ricordo bene il mio impatto con il modo delle due ruote.

16 anni

-1981: caldissima estate, Sardegna. Ed io straniero in Terra natia al rientro dopo un breve

 periodo di vacanza – eh si, io nato e vissuto in Sardegna venivo in Friuli per la mia vacanza...-, mio fratello più grande di tre anni scarsi mi mostra il frutto del suo sudore estivo per il lavoro che mio padre l'obbligò a fare dopo l' ennesima bocciatura : una “MV Agusta 350 elettronica” rossa, bicilindrica, 170 kmh, manubri corti, stretti e bassi che però il proprietario precedente aveva artigianalmente alzato con una saldatura a vista venendo a creare ciò che i cervelloni dei costruttori ci avrebbero messo 20 anni a rendere reale; una “cruiser” brucciasemafori, pedane arretrate, manubrio alto, ma manopole piegate e due tubi di scarico a sfiorare l' asfalto. Per freno anteriore un tamburo che per dimensione ricordava quelli africani.

“Andiamo a provarla” mi dice il fratello.. Sale. L' accende a “strappo” e subito l' emozione di un grosso, nell' aspetto forse più che nella sostanza, motore che ruggisce con una voce che oggi solo nei circuiti chiusi al traffico si può assaporare, m' assale. Monto su in bermuda e polo, il casco era un opzional; noi lo vedevamo solo sui tedeschi in vacanza  e su Alberto Sordi ne “Il Vigile”. Mi ustiono subito le cosce per la sella rovente dal sole. Il caldo faceva sembrare più doloroso l'asfalto.

Gas aperto, via..

Prima, il calcio è poderoso e mi colpisce sorprendendomi.

Seconda, l' aria mi apre i bottoni della polo.

Terza, la pressione spalanca la mia bocca che era già deformata da una smorfia di beatitudine.

Il frastuono di un aereo a bassa quota ci avvolge, mio fratello frena, estrae dei guanti da lavoro e corre a recuperare il silenziatore sinistro che nella piega si è sfilato, liberando la vera anima perversa del motore.

Una donna con le borse della spesa ci osserva perplessa.

Io tengo la moto in equilibro mentre mio fratello con manovra affinata dalla consuetudine della ripetizione ripristina la legalità formale.

Rientriamo. E  al riparo del garage condominiale, fornito di un allungo di ben 60 metri, mio fratello mi spiega la teoria, da me già tempo assimilata da avide letture di “Motociclismo”:“Questa leva è la frizione, ruota l' acceleratore e lentamen....” il resto della frase non l' ho mai sentita.

Rombando ed alzando la polvere mi sono allontanato nel fresco buio del garage. Prima, seconda e .. basta. L' allungo è finito. Già chiudo il gas, ma  mio fratello apre la serranda del garage, preventivatamente abbassata per coprire il “crimine” da noi perpetrato e facendomi segno di continuare mi indica la Via che io, incosciente qual' ero e  sono, percorsi e tuttora percorro.

...il resto è cronaca.