CARTELLA
NUMERO 1
DATA
14/09/2009
DIMARCO
FLAVIA
Ottobrata
camminava a passo svelto, in bilico tra una marcia sostenuta e una corsa
trattenuta. Era visibilmente smanioso di arrivare da qualche parte. Attraversò
la piazza principale del paese, la più grande, anche perché la sola piazza in
paese, e il suo sguardo puntava senza ombra di dubbio alla maestosa cattedrale
(una misera chiesuola con quattro quadri disegnati da una mano incerta, e un
busto di infimo valore artistico rappresentante il patrono della città) che era
il vanto del paese di Nicosia. Ottobrata, da sempre noto in paese col nome di
Michele Cannocchiale, nome della cui origine sarò davvero felice di parlare più
avanti, entrò in chiesa, come spazientito e, senza alcun riguardo per la
sacralità del luogo in cui era, cominciò a chiamare a gran voce il parroco. E
chi si trovava a passare per la piazzetta sentiva delle vere e proprie grida,
grida da uomo ferito. Così non ci volle molto prima che davanti alla chiesa si
radunassero numerosi gruppetti di persone dai volti straniti e famelicamente
curiosi di novità.
-
Padre! - gridava Michele – Venga fuori dal buco in cui si nasconde, schifo
d'uomo - Così gridava Michele, ed era quasi arrivato alla porta che conduceva
all'abitazione del parroco quando si fermò, udendo un certo trambusto provenire
dall'altra parte. La porta si aprì, lentamente, e se fosse stato per il parroco
quella porta non sarebbe mai aperta. Quando il parroco apparve dinnanzi a
Michele, teneva tra le mani un coltellaccio da cucina. Descrivere il tremore
delle mani col quale il prete s'era presentato, piuttosto che la paura
visibilissima sul suo volto tanto pallido da far invidia al più pallido dei non
morti, sarebbe inutile: basterà dire che Michele Ottobrata al vedere un uomo
che incuteva il timore che potrebbe incutere una formica con un aspirapolvere,
fece un lungo sospiro, lo guardò con profonda commiserazione, e si sedette
sulla prima panca davanti l'altare. Seguì un lungo silenzio, animato da una
vibrante tensione, interrotto soltanto dai tentativi disperati di Michele e del
parroco di trattenere le lacrime: il primo piangeva per la sorte che gli era
toccata, il secondo perché moriva dalla paura. Qualcuno nel frattempo si
affacciò dentro la chiesa, chiedendo al parroco se avesse bisogno d'aiuto, ma
questi, recuperando chissà da quale anfratto del suo animo un guizzo di
coraggio e dignità, rispose che andava tutto bene e che i curiosi di turno
potevano anche andare. Allora, prima che quel bagliore di virilità lo
abbandonasse, si sedette accanto a Michele, anche se non troppo vicino, e gli
chiese, cercando di dissimulare il tremore della voce, cosa mai era successo
perché si comportasse a quel modo. Gli occhi spiritati di Michele Ottobrata si
posarono allora sul volto del parroco, che automaticamente si tirò ancora più
indietro scivolando sulla panca fino a che il suo sedere non fu per metà nel
vuoto. A quel punto, Michele scuote ripetutamente il corpo del parroco e da
quel momento iniziò a raccontare la sua storia….