CARTELLA NUMERO 4
17/09/09
FABIANA CANNIA
Non
avevo scelta. Con disperata determinazione,avevo resistito alla tentazione di tenerla e mi ero obbligata
a firmare le carte per darla in adozione, prima di cambiare idea.
Nei
giorni successivi, la mia vita trascorreva in modo lento e doloroso, non avevo
più stimoli per andare avanti, volevo morire. Un giorno decisi di ritornare a
casa non aveva più senso rimanere li a Roma. I miei mi
avevano accolto a braccia aperte, erano felicissimi, avevo detto loro che avevo
smesso di cantare. Quello che avevo fatto dietro di me sarebbe rimasto per
sempre un segreto. Un segreto che mi avrebbe tormentato a vita. Decisi di cercarmi
un lavoro, un amico molto caro Roberto Girone, un noto avvocato del mio paesino,
il figlio di un amico di mio padre, mi aveva assunta
come segretaria nel suo ufficio. Roberto era una persona deliziosa, a modo, era una decina di anni più
grande di me, aveva studiato duramente ed era riuscito a realizzare il suo
sogno, lo ammiravo tantissimo e quando mi propose di lavorare con lui non
esitai ad accettare.
Il
primo giorno entrai nell’ufficio nervosissima ero
talmente tesa che a stento lo salutai con un forzato sorriso, ma egli quasi con
la tenerezza di un padre mi rassicurò e inizio a spiegarmi le faccende di cui
mi dovevo occupare.
Con
il passare dei mesi, avevo immaginato Caterina crescere, il suo visetto lo
sognavo ogni notte, di solito facevo incubi terribili che mi lasciavano senza
fiato, i sensi di rimorso mi tormentavano mi avvilivano. Con i miei facevo
finta che tutto andava bene, ogni volta che rientravo in casa
cercavo di nascondere quel viso cosi cupo, ma non ero mai stata una brava
attrice a stento ero stata una modesta cantante, loro teneramente cercavano di
organizzarmi la vita, mi esortavano ad uscire un po’ di più ad incontrare
qualche amica, mi avrebbe fatto bene lo so, ma non ne avevo voglia.
Del
mio cattivo umore se ne era accorto anche Roberto, una sera prima di finire il
lavoro mi chiamò, io impaurita pensai di aver sbagliato qualcosa, ma lui come al solito mi rassicurò che tutto andava bene, mi chiese se
avevo voglia di cenare con lui .Questa volta esitai a rispondere, non avevo di
certo una buona opinione degli uomini dopo quello che
mi era successo, ma incrociando i suoi occhi cosi belli e profondi che mi
davano un forte senso di sicurezza,con un filo di voce sottile gli risposi un
esile si.
Andammo
a mangiare in una trattoria vicino l’ufficio, all’inizio era molto imbarazzata
ma poi pian piano mi sono sentita a mio agio grazie anche alla sua loquacità mi
parlò tanto di se, degli anni trascorsi all’università, delle sue brevi
relazioni mi divertivano tanto i suoi racconti mi davano un senso di
spensieratezza quella che tanto desideravo io. Passeggiamo vicino al porto
stavo cosi bene in sua compagnia, ma all’improvviso la sua domanda “Adesso
parliamo un po’ di te perché sei tornata”mi fece nuovamente chiudere come un
riccio non sapevo come sfuggire a quella domanda mi
sentivo sprofondare, i miei occhi si riempirono di lacrime. Lui imbarazzato per
la mia reazione, mi abbraccio forte e non mi chiese mai più nulla del mio
passato. Mi sentivo cosi protetta fra le sue braccia.