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Il locale pieno di fumo era quasi uguale a quello che avevo lasciato pochi minuti prima,ma quell’insegna al neon su cui c’era scritto “ karaoke” era stata come una calamita per me,anche considerato che avevo la mente annebbiata dall’alcol.

Avevo in mano un bicchiere di rum,ultimo residuo di un’interminabile notte trascorsa in un bar. Non bevevo mai ,tranne il giorno dell’anniversario dalla nascita di Caterina.Il karaoke mi avrebbe offerto la distrazione che cercavo disperatamente prima di trascinarmi a casa,in un appartamento vuoto e in un letto solitario;era il modo per dimenticare per un’ora ciò che mi era accaduto ventuno anni prima e che mi perseguitava,implacabile,ogni anno in quella data.

Chissà forse avrei avuto il coraggio di cantare una canzone,anche se la mia voce non era più quella di una volta .Il solo pensiero di esibirmi ancora,mi riportò alla mente immagini della mia breve carriera da cantante, nonché immenso dolore e sensi di colpa .

Ora ero pronta a coprirmi di ridicolo su quel palcoscenico. Non avevo più cantato nemmeno nella doccia,da quel fatidico giorno in ospedale,quando la mia carriera e la mia vita si erano spezzate. Il giorno in cui avevo abbandonato la mia splendida bimba.

Mi chiamo Giulia Ferranti ero la seconda di tre fratelli e durante l’infanzia non mi era mai mancato nulla,nonostante i miei genitori non fossero ricchi, ci avevano insegnato i principi morali e l’indipendenza,ed erano sempre stati incoraggianti a dare il massimo,soprattutto se avevamo delle passioni.

Non mi ero mai resa conto dei sacrifici che i miei avevano affrontato fino a quando ero andata al college e avevo iniziato a mantenermi da sola .Se  non fosse stata per l’educazione musicale  che mi avevano impartito, sarei finita a servire hamburger in un fast food.Ma chissà forse ora sarei stata meglio.

La mia vita una volta girava intorno al canto,i miei avevano trovato i soldi per le lezioni e io cantavo in tutte le feste religiose della nostra cittadina.

Alle superiori ero ormai dipendente dalle reazioni del pubblico e dall’orgoglio dei miei genitori,quando dal palcoscenico cantavo le canzoni che amavo. Mentre frequentavo il college avevo iniziato a cantare nei night club, piena di orgoglio perché contribuivo alle spese per la mia istruzione. Mi ero comperata vestiti da sera guanti e scarpe col tacco e mi appoggiavo al piano come avevo visto fare alle star nei vecchi film e cantavo famosi pezzi jazz e vecchi successi. Quando la mia reputazione era cresciuta,le mie serate avevano cominciato a svolgersi nei quartieri eleganti e la mia paga a diventare sempre più interessante. Stavo vivendo il sogno di ogni giovane cantante pensavo che non sarebbe finito mai. I miei genitori mi aiutavano e mi mettevano in guardia dai rischi che  poteva correre una ragazza sola  che si esibiva nei night,e assistevano spesso ai miei spettacoli quasi volessero proteggermi.

Poi rimasi incinta. Lorenzo Torrisi l’uomo che si definiva il mio agente, era riuscito a coinvolgermi in una relazione senza che quasi me ne accorgessi. Inebriata dal successo mi ero lasciata incantare dal suo fascino .Come una stupida gli avevo pure permesso di gestire il mio considerevole conto in banca .La mattina che mi ero svegliata con la nausea e avevo realizzato che avevo saltato due mesi di ciclo è stato un duro colpo. All’improvviso mi ero reso conto che Lorenzo non mi aveva mai detto di amarmi e che nemmeno io lo amavo. Amavo solo il successo che lui mi aveva aiutato a raggiungere.

Era un mercoledì mattina,il cielo quel giorno era limpido,lo osservavo dalla finestra della mia camera. Non ero riuscita a dormire quella notte. Pensavo solo alla mia vita e a come era stata fino ad allora…   Era ancora presto, ma non riuscendo a dormire mi alzai, andai verso il bagno e guardandomi allo specchio pensai di aver sbagliato ogni cosa. Ripensai ai miei studi,ai miei sacrifici e a quelli fatti dai miei genitori. Loro che mi avevano sempre incoraggiato e sostenuto in ogni mia scelta. Ed io che avevo fatto? Avevo cancellato ogni cosa.

Così mi lavai il viso, sperando di allontanare quell’ansia che avevo dentro. Era così presto ed io ero già pronta, ma decisi di uscire lo stesso di casa, magari mi sarei distratta un po’.

Lo studio del medico non era molto lontano ,allora decisi di andare a piedi.

Aprii la porta e mi trovai davanti ad una sala d’aspetto colma di madri gioiose, io quasi mi vergognavo ad entrare sola. Gli sguardi radiosi delle altre donne si contrapponevano al mio.

Perché io non ero così contenta?

Eppure stavo nella loro stessa situazione…Arrivò il mio turno, il dottore fece il mio nome. Ebbi la risposta che mi aspettavo,così andai via rassegnata.

Non sapevo cosa fare, dove andare. Ripensai ai miei genitori,sarei potuta andare da loro,sicuramente non mi avrebbero abbandonata, ma non potevo e non volevo deluderli…

Fermai un taxi,ero molto sconvolta, anche l’autista si accorse di ciò. Il giorno seguente decisi di raccontare tutto a Lorenzo, dopotutto era il padre del bambino. Mi feci forza e coraggio, così mi recai da lui. Lorenzo come sempre era immerso nel suo lavoro, mi fece accomodare e mi offrì una tazza di caffè. Sembrava molto tranquillo e sereno,ma quando gli diedi la notizia,il suo umore cambiò in un batter d’occhio. La sua risposta fu molto chiara e decisa:era molto occupato, doveva pensare solo al suo lavoro, non aveva tempo per badare ad un bambino. Quell’istante per me fu lungo un secolo, all’improvviso mi trovai sola, impaurita, tutto mi stava crollando addosso, volevo morire.

Fu l’ultima volta che vidi Lorenzo, andai a casa. Sicuramente da quel giorno la mia vita iniziò a cambiare.

Le mie giornate trascorrevano veloci e vuote,avevo smesso di cantare. E come potevo farlo,cantare per me era la vita, in quel periodo io non vivevo.

Durante i  primi mesi, quando ancora  potevo nascondere la mia pancia, lavoravo come cameriera in un locale, una sorta di discopub.

Forse quelli furono i mesi più lunghi e più brutti della mia vita ,di  Lorenzo nessuna traccia neanche una telefonata, non so neanche io cosa mi aspettassi che facesse, so solo che ero molto confusa.

Intanto il Natale era quasi vicino,tutto era illuminato,strade, case,tutto tranne il mio cuore. Facevo lunghe passeggiate pensando e riflettendo, intorno a me regnava un’aria di festa. Mi sentivo sola, ero sola..

Fin quando non arrivò quel fatidico giorno, era il 23 Dicembre quando nacque Caterina.

Era bellissima, ma non poteva stare con me, di certo non sarei stata una buona madre, Caterina non si meritava questo.

Non avevo alcuna intenzione di chiedere l’aiuto dei miei genitori, avevo scelto di vivere pienamente la mia libertà e di farmi carico di tutte le responsabilità, così decisi di chiamare Lorenzo: speravo mi desse in prestito del denaro per provvedere alla piccola durante le settimane successive al parto. L’amore di mamma vinse sul mio orgoglio, perciò presi il telefono e lo chiamai. Non mi parve felice di sentire la mia voce, ne il pianto della bimba, mi disse che era impegnato e che mi avrebbe richiamata il prima possibile; quella chiamata non arrivò mai. Con il dolore nel cuore pensai che, passate le festività, avrei dovuto contattare l’assistente sociale e trovare una buona sistemazione alla mia Caterina.

Io ero cresciuta nella bambagia, coccolata e riempita d’attenzioni e cosa stavo offrendo a mia figlia? Perché farle pagare il prezzo dei miei errori e della mia immaturità? Era talmente bella che, certamente, qualcuno l’avrebbe subito presa con sé donandole ciò che la sua vera madre non era capace di darle.

Prima che gli addobbi delle strade si spegnessero mi incamminai per la città, con lei in braccio, avvolta nella copertina di lana che le avevo comprato, ed entrai in un lussuoso negozio per comprarle un abito nuovo. Sembrava una principessa, con quegli occhioni blu ed il sorriso più luminoso che avessi mai visto. Nel tragitto di ritorno un’anziana signora mi fermò per complimentarsi, diceva che avevamo gli stessi lineamenti, lo stesso sguardo, lo stesso sorriso; io feci un cenno con il capo per ringraziarla, ma quelle parole risuonavano dentro me, accusatorie.

Il giorno seguente mi recai allo studio dell’assistente sociale. In sala d’aspetto vidi tante mamme disperate, molte delle quali erano alla ricerca di un posto di lavoro che permettesse loro di mantenere i figli; tutte sembravano non volersi arrendere all’affidamento, alla soluzione che io vedevo come l’unica possibile. Una di loro urlava e piangeva implorando che le venisse data la possibilità di continuare a stare con i suoi bambini, determinata com’era a tenere la sua famiglia unita, a dare alle sue creature tutto il suo amore. Anche stavolta mi sentii a disagio, i miei intenti e le mie emozioni erano ancora una volta diverse da quelle altrui, sbagliate.  

Non riuscii a sostenere una prova così dura, così tornai a casa, prendendo ancora un po’ di tempo per me e Caterina, consapevole che più trascorreva il tempo e più sarebbe stato doloroso il distacco. La sua manina mi accarezzava il viso, quasi fosse lei la madre, quasi avesse capito che anch’io avevo bisogno di un po’ di amore, ed i miei occhi si riempivano di lacrime tutte le volte che la vedevo così vulnerabile e dipendente da me.

Dovevo tornare dall’assistente sociale, lo dovevo a lei. Di nuovo mi presentai allo studio, questa volta ebbi il coraggio di entrare e raccontare la mia storia, quella di una bambina viziata che, giocando a fare la grande, si era cacciata in un mare di guai. Non so se la vergogna maggiore fosse per il mio trascorso o per la decisione che avevo preso.

Non avevo scelta. Con disperata determinazione,avevo resistito alla tentazione di tenerla e mi ero obbligata a firmare le carte per darla in adozione, prima di cambiare idea.                                                                                              Nei giorni successivi, la mia vita trascorreva in modo lento e doloroso, non avevo più stimoli per andare avanti, volevo morire. Un giorno decisi di ritornare a casa non aveva più senso rimanere li a Roma. I miei mi avevano accolto a braccia aperte, erano felicissimi, avevo detto loro che avevo smesso di cantare. Quello che avevo fatto dietro di me sarebbe rimasto per sempre un segreto. Un segreto che mi avrebbe tormentato a vita. Decisi di cercarmi un lavoro, un amico molto caro Roberto Girone, un noto avvocato del mio paesino, il figlio di un amico di mio padre, mi aveva assunta come segretaria nel suo ufficio. Roberto era una persona deliziosa, a modo, era  una decina di anni più grande di me, aveva studiato duramente ed era riuscito a realizzare il suo sogno, lo ammiravo tantissimo e quando mi propose di lavorare con lui non esitai ad accettare.                                                                                  Il primo giorno entrai nell’ufficio nervosissima ero talmente tesa che a stento lo salutai con un forzato sorriso, ma egli quasi con la tenerezza di un padre mi rassicurò e inizio a spiegarmi le faccende di cui mi dovevo occupare. Con il passare dei mesi, avevo immaginato Caterina crescere, il suo visetto lo sognavo ogni notte, di solito facevo incubi terribili che mi lasciavano senza fiato, i sensi di rimorso mi tormentavano mi avvilivano. Con i miei facevo finta che tutto andava bene, ogni volta che rientravo in casa cercavo di nascondere quel viso cosi cupo, ma non ero mai stata una brava attrice a stento ero stata una modesta cantante, loro teneramente cercavano di organizzarmi la vita, mi esortavano ad uscire un po’ di più ad incontrare qualche amica, mi avrebbe fatto bene lo so, ma non ne avevo voglia.

Del mio cattivo umore se ne era accorto anche Roberto, una sera prima di finire il lavoro mi chiamò, io impaurita pensai di aver sbagliato qualcosa, ma lui come al solito mi rassicurò che tutto andava bene, mi chiese se avevo voglia di cenare con lui .Questa volta esitai a rispondere, non avevo di certo una buona opinione degli uomini dopo quello che mi era successo, ma incrociando i suoi occhi cosi belli e profondi che mi davano un forte senso di sicurezza,con un filo di voce sottile gli risposi un esile si.

Andammo a mangiare in una trattoria vicino l’ufficio, all’inizio era molto imbarazzata ma poi pian piano mi sono sentita a mio agio grazie anche alla sua loquacità mi parlò tanto di se, degli anni trascorsi all’università, delle sue brevi relazioni mi divertivano tanto i suoi racconti mi davano un senso di spensieratezza quella che tanto desideravo io. Passeggiamo vicino al porto stavo cosi bene in sua compagnia, ma all’improvviso la sua domanda “Adesso parliamo un po’ di te perché sei tornata”mi fece nuovamente chiudere come un riccio non sapevo come sfuggire a quella domanda mi sentivo sprofondare, i miei occhi si riempirono di lacrime. Lui imbarazzato per la mia reazione, mi abbraccio forte e non mi chiese mai più nulla del mio passato. Mi sentivo cosi protetta fra le sue braccia.

Quella fu una delle tante sere che trascorsi con lui. Dopo il lavoro spesso cenavamo insieme, andavamo al cinema oppure facevamo lunghe passeggiate al porto. Ero cosi felice di stare in sua compagnia, riusciva a trasmettermi positività e fiducia in me stessa quella che a me mancava. I miei genitori erano cosi felici di vederci insieme perché soprattutto rivedevamo me nuovamente sorridente. Passarono i mesi e fini per innamorarmi perdutamente di lui, ma nonostante ciò i miei sbalzi d’umore non finirono, il ricordo di Caterina era sempre presente non mi aveva mai abbandonata, molte volte Roberto mi ritrovava triste e pensierosa ma non mi chiedeva mai il perché,  cercava in tutti i modi di consolarmi e tirarmi su, era proprio questo quello che amavo di lui la sua discrezione e la sua immensa voglia di starmi accanto.

Era il 26 marzo quando Roberto mi fece la donna più felice del mondo, mi portò a cena  fuori in un ristorante molto elegante, e mi mise un anello al dito con un diamante cosi splendente come i suoi occhi, mi chiese se volevo sposarlo, scoppiai a piangere dall’estrema felicità. Decidemmo di sposarci a giugno, cosi iniziammo ad occuparci di tutti i preparativi ero cosi entusiasta, Roberto mi fece conoscere anche la sua famiglia delle persone perbene come lui che mi accolsero come una figlia. La mia vita sembrava perfetta, le mie amiche mi invidiavano cosi tanto, avrei sposato un uomo delizioso con un buon posto di lavoro, ma non sapevano che dietro di me nascondevo un segreto terribile che non mi avrebbe mai dato nessuna vera felicità.

Il giorno del matrimonio arrivò presto era tutto perfetto, fu uno dei giorni più belli della mia vita, i miei genitori erano cosi orgogliosi di me, e io ero cosi felice. Pesavo che la mia vita dopo ciò che mi era successo, non mi aveva voltato le spalle del tutto ma mi aveva dato un’altra possibilità, nonostante infondo dentro di me ero consapevole di non meritarmela.

Per il viaggio di nozze andammo in Egitto, scelsi io quel posto perché sin da piccola mi affascinava un luogo cosi esotico misterioso, furono giorni intensi, romantici che purtroppo come tutte le cose belle finirono in fretta.

Ritornati nella realtà di tutti i giorni, iniziammo la nostra vita matrimoniale in un appartamento che Roberto comprò vicino al suo ufficio, nonostante  la mia giovane età mi dilettavo fra i fornelli e le faccende di casa come una brava donnina.

Gli anni passavano in fretta, il nostro amore diventava sempre più forte, e il mio segreto rimaneva sempre più nascosto, molte volte avrei voluto raccontare a mio marito che cosa successe a Roma ma ogni volta non mi sembra  mai il momento giusto. In realtà avevo solo un gran paura di deluderlo, che anche  lui venisse  a conoscenza della razza di donna che ero, una donna capace di abbandonare una bambina di non aver fatto abbastanza per tenerla con se di proteggerla come una vera madre.

Quel rimorso mi divorava l’anima, mi rendeva insicura, fragile, non ero assolutamente orgogliosa di me e del mio passato.

Con  Roberto tutto sembrava andare a gonfie vele,ci amavamo,lui era l’uomo che io avevo tanto desiderato. Roberto mi coccolava,mi trasmetteva sicurezza,mi faceva sentire davvero importante e io avevo molta fiducia in lui. Ero così felice di averlo sposato. Così iniziammo la nostra vita matrimoniale con gioia e serenità,aiutandoci l’un l’altro. Una mattina mi svegliai,corsi subito in bagno,avevo una certa  nausea e degli strani giramenti di testa,così decisi di chiamare mia madre,lei allora mi consigliò di consultare un medico. E fu proprio come immaginavo,il test di gravidanza risultò positivo. Fui felice,mi recai velocemente  da Roberto che si trovava in ufficio,gli raccontai la notizia,Roberto mi abbracciò ed iniziò a piangere dalla gioia,da tempo infatti, desideravamo avere un bambino. Quella stessa sera festeggiammo,andammo in un ristorantino fuori paese,la nostra stava per diventare proprio una vera famiglia,io e Roberto eravamo al settimo cielo. I nove mesi passarono in fretta ed ecco che il 20 agosto nacque Marco. Sembrava un angioletto,era dolcissimo,assomigliava tantissimo alla mia Caterina,aveva i suoi stessi occhioni blu. Lo tenevo in braccio,e lui con le sue manine mi accarezza il viso,proprio come faceva la sua sorellina. Intanto Marco stava crescendo,aveva iniziato ad andare alla scuola elementare. Io lavoravo sempre con Roberto,di tanto in tanto però mi esibivo in un locale,cantando mi rilassavo. Un giorno d’autunno mentre  ero affacciata dalla finestra della mia camera notai che il cielo era grigio e molto cupo, poco dopo infatti, iniziò a piovere ,proprio quel giorno i mi sentivo tanto triste sembrava quasi che il cielo riflettesse il mio stato d ‘animo, non  riuscivo a capire cosa io avessi a casa non c’era nessuno, Marco era a scuola e mio marito si trovava in ufficio,come ad un tratto mi sentii un vuoto dentro,così iniziai a piangere. Ero come disperata,volevo sfogarmi con qualcuno,gridare al mondo intero. Amavo e rispettavo mio marito,ma lui non conosceva il mio segreto,avevo come un forte peso al cuore e Roberto non meritava questo. Decisi un giorno di raccontare tutta la mia storia, il mio triste passato, era proprio giunto il momento in cui dovevo iniziare a condividere questo segreto con lui,mi feci coraggio e quella stessa sera per la prima volta gli parlai di Caterina. Roberto rimase come stupefatto,non voleva credere a questa triste storia,io così pregai di perdonarmi,quella volta ebbi paura di deludere la persona che più amavo. Roberto però non mi giudicò come temevo,anzi mi abbracciò   e guardandomi agli occhi mi sussurrò di volermi bene.

Roberto adesso sapeva tutta la verità, condividere quel segreto con lui mi faceva sentire meno sola. Spesso parlavo con lui di Caterina della voglia di rivederla, lui mi incoraggiava mi diceva che nulla è impossibile e mi esortava a non perdere le speranze e ad andarla a cercare. Quella speranza di incontrarla un giorno mi dava la forza di andare avanti, ma sapevo che era qualcosa di difficile irraggiungibile. Al ventunesimo  anniversario di compleanno di mia figlia e come tutti gli anni in quella data cercavo disperatamente una distrazione per dimenticare anche per un’ ora il crimine commesso che mi perseguitava implacabile in quel giorno con maggiore intensità.

Pensavo a come stesse trascorrendo questo giorno di festa la mia bambina, se sta va scartando qualche regalo, se stava spegnendo le candele di una torta preparata da una persona cara.

Quella sera Roberto era fuori città con Marco, stavano trascorrendo qualche giorno dai nonni, io non volli partire con loro volevo stare un po’ da sola ne avevo assolutamente di bisogno per pensare. Quella sera, vagai per ore da un locale ad un altro finché non mi fermai in questo locale in cui all’insegna c’era scritto karaoke , quella scritta mi riportò come un tuffo nel passato, quando la mia breve carriera di cantante stava muovendo i primi passi. Vedere quel palcoscenico dinnanzi a me mi dava una grande nostalgia di quegli anni cosi felici in cui ero orgogliosa di me spensierata priva di quel terribile senso di colpa.

La voglia di cantare in me era rimasta anche se dopo l’ accaduto fu totalmente schiacciata dal mio dolore. Non ebbi il coraggio di salire in quel palcoscenico, mi domandai che cosa stessi facendo in quel posto, sola ,ubriaca, proprio quel giorno più di tutti avevo bisogno della mia famiglia.

Cosi nella piena disperazione uscii da quel locale e mi recai a casa, mi buttai nel letto devastata dall’alcol e mi addormentai. Quella sera sognai Caterina, ma non fu in incubo come spesso capitava, lei mi chiamava con una voce giovane solare , era diventata una bellissima ragazza. Mi svegliai di colpo e pensai tutta la notte a quel sogno a cosa significasse, forse anche lei mi cercava e non mi aveva dimenticata.

Pensai che Roberto avesse ragione che la speranze non deve mai  smettere di vivere dentro di noi, altrimenti iniziamo a morire. Dovevo affrontare il mio passato prima o poi non potevo scappare per sempre solo per paura. Decisi proprio quella notte che avrei fatto di tutto per ritrovarla, per poterla anche sola una volta riabbracciare. Non potevo più vivere con questa angoscia mi stava divorando l’anima.

Nei giorni seguenti parlai a Roberto della mia decisione lui mi appoggio pienamente ed era felicissimo per la mia decisione, cosi mi prenotò il primo volo per Roma dovevo avevo lasciato Caterina.

Decisi di partire da sola, quando arrivai in quella città fu per me un incubo i ricordi di quei giorni passati  si fecero più limpidi più dolorosi. Mi recai nella casa famiglia dove ventuno anni fa avevo lasciato la mia bambina. Chiesi di lei…

La mia voce tremava ed i miei occhi erano pieni di lacrime, mi sentivo scoppiare l’emozione dentro, l’ansia di conoscere cosa fosse accaduto alla mia bambina. La direttrice apprezzò molto il mio gesto, il coraggio che avevo avuto nell’affrontare un ipotetico incontro e mi fece notare la tristezza negli occhi degli altri bambini abbandonati; ognuno di loro avrebbe voluto trovare una famiglia dalla quale ricevere affetto ed attenzioni.

Notando la mia impazienza giunse al fulcro della conversazione al motivo per cui ero giunta sino a lì: Caterina era stata adottata, ma compiuti 18 anni aveva deciso di rientrare in istituto. grande fu il mio stupore, mi chiedevo cosa mai fosse successo, quale fosse la motivazione alla base di questa scelta, temevo il peggio per lei. Agitata chiesi alla direttrice cosa le avessero fatto, se avesse subito violenze o avesse avuto una cattiva accoglienza in famiglia, lei mi prese per mano, cercò di tranquillizzarmi e mi fece visitare l’istituto.

Vi era un lungo corridoio, le cui pareti bianche erano state riempite di disegni dai colori vivaci, alla fine del quale vi era una grande porta scura. Sentivo le risa e le urla dei bambini e la voce ferma ma al contempo dolce di una maestra, attenta che non si facessero male ed imparassero quanto più possibile. Iniziai a capire qualcosa, il mio volto si rasserenò e il mio cuore iniziò a battere forte. Quei secondi sembrava trascorressero lenti, quasi fossero emblema dei ventuno anni passati senza di lei, e quando la direttrice mi invitò ad aprire la porta io dovetti mostrare la mia decisione, la mia forza di madre, pronta a fare i conti con il proprio trascorso.

Non si accorse subito che entrai, era lì con i cuoi capelli color oro e gli occhioni blu, era diventata una donna meravigliosa, aveva ancora i miei lineamenti. Sembrava avere un carattere forte, forgiato com’era dalla sua infanzia difficile, ed una dolcissima voce, rassicurante direi. Lei che non aveva mai avuto un punto fermo, cresciuta senza l’esempio di una madre, aveva deciso di diventare punto di riferimento per i bambini sfortunati. Era stata capace di mettere a frutto la sua esperienza ed il suo dolore trasformandoli in un sorriso da donare a chi, come lei, aveva dovuto fare i conti con la vita anche in tenera età.

Non fui capace di trattenere le lacrime, uno dei suoi alunni si accorse di me e Caterina, notandolo distratto, aveva rivolto lo sguardo verso la porta, incrociando il mio; in un attimo mi ricordai del suo sguardo da neonata, quello in cui mi perdevo.

Portava ancora al collo il ciondolo, uguale al mio, che le avevo regalato e questo mi fece pensare che non mi avrebbe odiata se le avessi svelato la mia identità. La direttrice le chiese di lasciare un attimo la classe perché aveva qualcosa da dirle, così una volta fuori mi domandò se fossi venuta a “consegnarle” un bambino, se fossi una di quelle madri incapaci di assumersi la responsabilità delle loro azioni. Possibile che avesse già letto nei miei occhi quella fragilità? Non fui capace di dire nulla, riuscii solo a prendere dalla borsa quel ciondolo e a mostrarglielo. Ci fu un lungo silenzio, poi la sua reazione…

La reazione di Caterina fu tutt'altro che positiva. Nel momento in cui mi avvicinai a lei per abbracciarla lei mi respinse strattonandomi e piangendo disse:''Non potrò perdonarti mai''.Continuò dicendomi che non meritavo il suo perdono e soprattutto di non tollerare il mio ritorno avvenuto solo diciotto anni dopo.Nonostante avesse tutte le ragioni per usare quelle parole taglienti non riuscì a rassegnarmi.Dopo quel pomeriggio in cui la vidi allontanarsi da me per dirigersi verso la porta, capì che dovevo farmi forza e continuare tenacemente nel far capire a Caterina del mio abbandono.Passarono i giorni e poi anche le settimane e milioni di domande probabilmente affiorarono nella sua mente.Un lunedi ricevetti una sua telefonata uno strano senso di felicità mi pervase. Caterina mi fece tantissime domande, io la riassicurai le dissi di Marco, le raccontai un po’ anche delle mie vicissitudini. Cercai di giustificarmi, di spiegarle le cause dell'abbandono. Conclusi dicendo che per me non vi era alcuna differenza,per me era solo mia figlia e basta.Lei rimase in silenzio senza dire una parola,ma a volte come tutti sappiamo un silenzio vale piu di mille parole.Lei mi abbracciò,io scoppiai in un pianto di felicità.Anche se sapevo a cosa andavo incontro.Caterina aveva dentro un vuoto che io non avrei mai potuto colmare.Ma mi ripromisi che avrei fatto la qualunque cosa per recuperare giorno dopo giorno il rapporto che noi non ebbimo per tutti questi anni.Iniziammo a vederci quotidianamente,facevamo lunghe passeggiate; talvolta anche senza parlare.Ma questo momentaneamente per me era fondamentale.Sapevo che prima o poi lei avrebbe capito le mie ragioni.Infatti nel mese di Novembre per la prima volta venne a casa,conobbe Roberto e Marco.Una strana sensazione mi pervase.Con il trascorrrere dei giorni riusci a percepire dei cambiamenti radicali,si respirava un clima di vero e proprio equilibrio in famiglia.Caterina si affezionò parecchio al piccolo Marco,anche Roberto diede grande prova del suo affetto nei suoi confronti.Probabilmente fu grazie anche al loro aiuto.Nel mese di maggio Caterina entrò a far parte della famiglia.Adesso potevo affermare con grande piacere e commozione che finalmente riuscii a cercare di offrire alla mia bambina tutto ciò che lei aveva desirato.

Stavo iniziando a vivere,finalmente per la prima volta dopo tanti anni vedevo unita la mia famiglia.

Caterina così decise di trasferirsi da noi definitivamente,trovò lavoro presso un istituto,dove si sarebbe occupata di bambini piccoli,magari bambini che non avevano una famiglia o un parente  con cui poter stare,Caterina amava tantissimo prestare il suo aiuto a chi ne avesse bisogno.

Io ancora lavoravo con Roberto,nel suo ufficio,quel lavoro mi piaceva ma a dir la verità non mi sentivo affatto realizzata. Il mio sogno era sempre quello di tornare a cantare.

Roberto mi ha sempre sostenuto in questi anni,voleva che io non smettessi di cantare,che avessi continuato ad inseguire i miei sogni , ma per me è stato tutto  molto difficile,la mia mente stava altrove, per me cantare era tutto, di  certo io non ero riuscita a vivere.

Intanto trascorrevano i mesi,la nostra vita proseguiva meravigliosamente. Non potevo desiderare più di quello che avevo. Il mio compleanno stava quasi per avvicinarsi,con Roberto come ogni anno organizzavamo una cena con tutti i parenti,avevamo sempre fatto in questo modo sin da quando ci siamo sposati.

Tutto era già pronto per la sera della mia festa,il salone di casa nostra era addobbato con dei festoni di buon compleanno. Caterina quel giorno era molto emozionata,finalmente anche lei adesso aveva una vera famiglia. Sicuramente quello fu il compleanno più bello della mia vita,casa mia era colma di persone a cui volevo un bene dell’anima. Bevemmo e danzammo per tutta la serata.

Decidemmo poi di uscire per una passeggiata e magari andare a bere qualcosa,Roberto ci propose di provare per la prima volta un pub di recente apertura,era  un locale piuttosto elegante,davvero molto carino,tra l’altro c’era pure musica dal vivo,infatti stava esibendosi un gruppetto che cantava famosi pezzi jazz.

Ci sedemmo tutti insieme ad un tavolino,continuammo a brindare e far festa,vedevo gli occhi di Caterina così pieni di luce,Marco era felicissimo,adorava la sorella,sembrava quasi che si conoscessero da una vita,li vedevo sereni,loro che scherzavano e ridevano a crepapelle,era veramente stupendo alzare gli occhi e vedere i miei due figli insieme.

Durante questa atmosfera di grande festa,mi accorsi che Roberto salì sul palco,afferrò il microfono dicendo ,”Tantissimi auguri Giulia, ti sei proprio meritata questo giorno di grande festa,adesso è arrivato il momento di offrirti il nostro regalo…” Rimasi sbalordita, stava per salire sul palco il mio gruppo,quello che io lasciai tanto tempo fa,quando decisi di abbandonare la carriera di cantante.

Mi invitarono sul palco per esibirmi ,io ero imbarazzatissima,anche perché quella sera il locale era affollato,c’erano molti miei conoscenti. Roberto così si avvicinò e mi pregò di cantare una delle sue canzoni preferite.”Mamma stiamo aspettando tutti te”,mi sussurrò Caterina.Quella fu la prima volta che mia figlia mi chiamò mamma,io felicissima e piena di entusiasmo,decisi di accontentare la mia famiglia. Così dopo parecchi anni ritornai sul palcoscenico,ero sicuramente rinata, avevo  una gran voglia dentro,mi esibì su uno dei miei pezzi preferiti,guadagnandomi un calorosissimo applauso. Finalmente il mio sogno tornava a rivivere.