LA SCELTA DI
GIULIA
Il locale pieno di fumo era quasi uguale a quello che avevo lasciato pochi
minuti prima,ma quell’insegna al neon su cui c’era scritto “ karaoke” era stata
come una calamita per me,anche considerato che avevo la mente annebbiata dall’alcol.Avevo in mano un bicchiere di rum,ultimo residuo di
un’interminabile notte trascorsa in un bar. Non bevevo mai ,tranne il giorno
dell’anniversario dalla nascita di Caterina. Il karaoke mi avrebbe offerto la
distrazione che cercavo disperatamente prima di trascinarmi a casa,in un
appartamento vuoto e in un letto solitario;era il modo per dimenticare per
un’ora ciò che mi era accaduto ventuno anni prima e che mi
perseguitava,implacabile,ogni anno in quella data.
Chissà forse avrei avuto il coraggio di cantare una canzone,anche se la mia
voce non era più quella di una volta .Il solo pensiero di esibirmi ancora,mi
riportò alla mente immagini della mia breve carriera da cantante, nonché
immenso dolore e sensi di colpa . Ora ero pronta a coprirmi di ridicolo su quel
palcoscenico. Non avevo più cantato nemmeno nella doccia,da quel fatidico
giorno in ospedale,quando la mia carriera e la mia vita si erano spezzate. Il
giorno in cui avevo abbandonato la mia splendida bimba.
Mi chiamo Giulia Ferranti ero la seconda di tre fratelli e durante
l’infanzia non mi era mai mancato nulla,nonostante i miei genitori non fossero
ricchi, ci avevano insegnato i principi morali e l’indipendenza,ed erano sempre
stati incoraggianti a dare il massimo, soprattutto se avevamo delle passioni.
Non mi ero mai resa conto dei sacrifici che i miei avevano affrontato fino
a quando ero andata al college e avevo iniziato a mantenermi da sola .Se non fosse stata per l’educazione musicale che mi avevano impartito, sarei finita a
servire hamburger in un fastfood. Ma chissà forse ora sarei stata meglio. La
mia vita una volta girava intorno al canto,i miei avevano trovato i soldi per
le lezioni e io cantavo in tutte le feste religiose della nostra cittadina.
Alle superiori ero ormai dipendente dalle reazioni del pubblico e dall’orgoglio
dei miei genitori,quando dal palcoscenico cantavo le canzoni che amavo. Mentre
frequentavo il college avevo iniziato a cantare nei night club, piena di
orgoglio perché contribuivo alle spese per la mia istruzione. Mi ero comperata
vestiti da sera guanti e scarpe col tacco e mi appoggiavo al piano come avevo
visto fare alle star nei vecchi film e cantavo famosi pezzi jazz e vecchi
successi. Quando la mia reputazione era cresciuta,le mie serate avevano
cominciato a svolgersi nei quartieri eleganti e la mia paga a diventare sempre
più interessante. Stavo vivendo il sogno di ogni giovane cantante pensavo che
non sarebbe finito mai. I miei genitori mi aiutavano e mi mettevano in guardia
dai rischi che poteva correre una ragazza sola che si esibiva nei night,e assistevano spesso
ai miei spettacoli quasi volessero proteggermi. Poi rimasi incinta. Lorenzo Torrisi l’uomo che si definiva il mio agente, era riuscito
a coinvolgermi in una relazione senza che quasi me ne accorgessi. Inebriata dal
successo mi ero lasciata incantare dal suo fascino .Come una stupida gli avevo
pure permesso di gestire il mio considerevole conto in banca .La mattina che mi
ero svegliata con la nausea e avevo realizzato che avevo saltato due mesi di
ciclo è stato un duro colpo. All’improvviso mi ero resa conto che Lorenzo non
mi aveva mai detto di amarmi e che nemmeno io lo amavo. Amavo solo il successo
che lui mi aveva aiutato a raggiungere.
Un mercoledì mattina,mi alzai presto,dato che quella notte non ero riuscita
a dormire,andai verso il bagno e guardandomi allo specchio,dissi tra me e
me,”Ma cosa ho fatto, ed ora tutti i miei sacrifici ,i miei studi e i miei
genitori,loro ,che mi hanno sempre incoraggiato e sostenuto in ogni mia scelta. Ed adesso che ne sarà di me”?
Più tardi pensai di andare dal medico,dovevo accertarmi del dubbio che
avevo,la strada da fare non era tanta,così decisi di andare a piedi,forse anche
per distrarmi un po’.
Arrivato il mio turno, il dottore fece il mio nome. Ebbi la risposta che mi aspettavo,così
andai via rassegnata. Non sapevo cosa fare,dove andare. Sicuramente sarei potuta andare
dai miei genitori,non mi avrebbero abbandonata,ma non potevo e non volevo deluderli.
Fermai un taxi,ero molto sconvolta,Lorenzo doveva sapere ogni
cosa,dopotutto era il padre del bambino,così il giorno seguente mi recai da
lui. Lorenzo come sempre era immerso nel suo lavoro,mi fece accomodare e mi
offrì una tazza di caffè. Sembrava molto tranquillo e sereno,ma quando gli
diedi la notizia,il suo umore cambiò in un batter d’occhio. La sua risposta fu
chiara e decisa,non aveva nessuna intenzione di badare ad un bambino,era troppo
impegnato con il suo lavoro. Quell’istante per me fu lungo un
secolo,all’improvviso mi trovai da sola,impaurita,sembrava come se il mondo
stesse per crollarmi addosso,volevo morire! Andai a casa,da quel giorno la mia
vita iniziò a cambiare. Le mie giornate trascorrevano veloci e vuote,avevo
smesso di cantare,non riuscivo proprio a farlo,per me cantare significava vivere,in
quel periodo io non vivevo. Rimasi senza lavoro,così i primi mesi quando ancora
riuscivo a nascondere la pancia,lavoravo come cameriera,in un locale. Intanto
di Lorenzo nessuna traccia,neanche una semplice telefonata. La sera facevo
lunghe passeggiate,pensavo e riflettevo,intorno a me regnava un’aria di
festa,il Natale era quasi vicino,le strade e le piazze erano illuminate,i
negozi erano affollatissimi ed io invece? Mi sentivo sola,ero sola…!. Fin
quando non arrivò quel fatidico giorno,era il 23 dicembre quando nacque
Caterina. Che dire,era bellissima,ma Caterina non poteva stare con me,non sarei
stata una buona madre,non avevo nulla da offrire a mia figlia,non ero in grado
e Caterina non meritava questo.
Non avevo alcuna intenzione di chiedere l’aiuto dei miei genitori, avevo
scelto di vivere pienamente la mia libertà e di farmi carico di tutte le
responsabilità, così decisi di chiamare Lorenzo: speravo mi desse in prestito
del denaro per provvedere alla piccola. L’amore di mamma vinse sul mio orgoglio,
perciò presi il telefono e lo chiamai. Non mi parve felice di sentire la mia
voce, ne il pianto della bimba, mi disse che era impegnato e che mi avrebbe
richiamata il prima possibile; quella chiamata non arrivò mai. Con il dolore
nel cuore pensai che, passate le festività, avrei dovuto contattare
l’assistente sociale e trovare una buona sistemazione alla mia Caterina.
Io ero cresciuta nella bambagia, coccolata e riempita d’attenzioni e cosa
stavo offrendo a mia figlia? Perché farle pagare il prezzo dei miei errori e
della mia immaturità? Era talmente bella che, certamente, qualcuno l’avrebbe
subito presa con sé donandole ciò che la sua vera madre non era capace di
darle.
Prima che gli addobbi delle strade si spegnessero mi incamminai per la
città, con lei in braccio, avvolta nella copertina di lana che le avevo
comprato, ed entrai in un negozio per comprarle un abito nuovo. Sembrava una
principessa, con quegli occhioni blu ed il sorriso
più luminoso che avessi mai visto. Nel tragitto di ritorno un’anziana signora
mi fermò per complimentarsi, diceva che avevamo gli stessi lineamenti, lo
stesso sguardo, lo stesso sorriso; io feci un cenno con il capo per
ringraziarla, ma quelle parole risuonavano dentro me, accusatorie.
Il giorno seguente mi recai allo studio dell’assistente sociale. In sala
d’aspetto vidi tante Mamme, molte delle quali erano alla ricerca di un posto di
lavoro che permettesse loro di mantenere i figli.
Non riuscii a sostenere una prova così dura, così tornai a casa, prendendo
ancora un po’ di tempo per me e Caterina, consapevole che più trascorreva il
tempo e più sarebbe stato doloroso il distacco. La sua manina mi accarezzava il
viso, quasi fosse lei la madre, quasi avesse capito che anch’io avevo bisogno
di un po’ di amore, ed i miei occhi si riempivano di lacrime tutte le volte che
la vedevo così vulnerabile e dipendente da me.
Dovevo tornare dall’assistente sociale, lo dovevo a lei. Di nuovo mi
presentai allo studio, questa volta ebbi il coraggio di entrare e raccontare la
mia storia, quella di una bambina viziata che, giocando a fare la grande, si
era cacciata in un mare di guai. Non so se la vergogna maggiore fosse per il
mio trascorso o per la decisione che avevo preso.
Non avevo molta scelta,firmai le carte per darla in adozione.
Nei giorni successivi, la mia vita trascorreva in modo lento e doloroso,
non avevo più stimoli per andare avanti, volevo morire. Un giorno decisi di
ritornare a casa non aveva più enso rimanere li a
Roma. I miei mi avevano accolto a braccia aperte, erano felicissimi, avevo
detto loro che avevo smesso di cantare. Quello che avevo fatto dietro di me
sarebbe rimasto per sempre un segreto. Un segreto che mi avrebbe tormentato a
vita. Decisi di cercarmi un lavoro, un amico molto caro Roberto Girone, un noto
avvocato del mio paesino, l figlio di un amico di mio padre, mi aveva assunta
come segretaria nel suoufficio. Roberto era una
persona deliziosa, a modo, era una
decina di anni più grande di me, aveva studiato duramente ed era riuscito a
realizzare il suo sogno, lo ammiravo tantissimo e quando mi propose di lavorare
con lui non esitai ad accettare.
Il primo giorno entrai nell’ufficio nervosissima ero talmente tesa che a
stento lo salutai con un forzato sorriso, ma egli quasi con la tenerezza di un
padre mi rassicurò e inizio a spiegarmi le faccende di cui mi dovevo occupare.
Con il passare dei mesi, avevo immaginato Caterina crescere, il suo visetto
lo sognavo ogni notte, di solito facevo incubi terribili che mi lasciavano
senza fiato, i sensi di rimorso mi tormentavano mi avvilivano. Con i miei
facevo finta che tutto andava bene, ogni volta che rientravo in casa cercavo di
nascondere quel viso cosi cupo, ma non ero mai stata una brava attrice a stento
ero stata una modesta cantante, loro teneramente cercavano di organizzarmi la
vita, mi esortavano ad uscire un po’ di più ad incontrare qualche amica, mi
avrebbe fatto bene lo so, ma non ne avevo voglia.
Del mio cattivo umore se ne era accorto anche Roberto, una sera prima di
finire il lavoro mi chiamò, io impaurita pensai di aver sbagliato qualcosa, ma
lui come al solito mi rassicurò che tutto andava bene, mi chiese se avevo
voglia di cenare con lui .Questa volta esitai a rispondere, non avevo di certo
una buona opinione degli uomini dopo quello che mi era successo, ma incrociando
i suoi occhi cosi belli e profondi che mi davano un forte senso di
sicurezza,con un filo di voce sottile gli risposi un esile si.
Andammo a mangiare in una trattoria vicino l’ufficio, all’inizio era molto imbarazzata ma poi pian piano mi sono sentita a mio agio grazie anche alla sua loquacità mi parlò tanto di se, degli anni trascorsi all’università, delle sue brevi relazioni mi divertivano tanto i suoi racconti mi davano un senso di spensieratezza quella che tanto desideravo io. Passeggiamo vicino al porto stavo cosi bene in sua compagnia, ma all’improvviso la sua domanda “Adesso parliamo un po’ di te perché sei tornata”mi fece nuovamente chiudere come un riccio non sapevo come sfuggire a quella domanda mi sentivo sprofondare, i miei occhi si riempirono di lacrime. Lui imbarazzato per la mia reazione, mi abbraccio forte e non mi chiese mai più nulla del mio passato. Mi sentivo cosi protetta fra le sue braccia.