CARTELLA 8
CHIARA PONZO
21/09/2009
La
mia voce tremava ed i miei occhi erano pieni di lacrime, mi sentivo scoppiare
l’emozione dentro, l’ansia di conoscere cosa fosse accaduto alla mia bambina.
La direttrice apprezzò molto il mio gesto, il coraggio che avevo avuto
nell’affrontare un ipotetico incontro e mi fece notare la tristezza negli occhi
degli altri bambini abbandonati; ognuno di loro avrebbe voluto trovare una
famiglia dalla quale ricevere affetto ed attenzioni.
Notando
la mia impazienza giunse al fulcro della conversazione al motivo per cui ero
giunta sino a lì: Caterina era stata adottata, ma compiuti 18 anni aveva deciso
di rientrare in istituto. grande fu il mio stupore, mi
chiedevo cosa mai fosse successo, quale fosse la motivazione alla base di
questa scelta, temevo il peggio per lei. Agitata chiesi alla direttrice cosa le
avessero fatto, se avesse subito violenze o avesse avuto una cattiva
accoglienza in famiglia, lei mi prese per mano, cercò di tranquillizzarmi e mi
fece visitare l’istituto.
Vi
era un lungo corridoio, le cui pareti bianche erano state riempite di disegni
dai colori vivaci, alla fine del quale vi era una grande porta scura. Sentivo
le risa e le urla dei bambini e la voce ferma ma al contempo dolce di una
maestra, attenta che non si facessero male ed imparassero quanto più possibile.
Iniziai a capire qualcosa, il mio volto si rasserenò e il mio cuore iniziò a
battere forte. Quei secondi sembrava trascorressero lenti, quasi fossero
emblema dei ventuno anni passati senza di lei, e quando la direttrice mi invitò
ad aprire la porta io dovetti mostrare la mia decisione, la mia forza di madre,
pronta a fare i conti con il proprio trascorso.
Non
si accorse subito che entrai, era lì con i cuoi capelli color oro e gli occhioni blu, era diventata una donna meravigliosa, aveva
ancora i miei lineamenti. Sembrava avere un carattere forte, forgiato com’era
dalla sua infanzia difficile, ed una dolcissima voce, rassicurante direi. Lei
che non aveva mai avuto un punto fermo, cresciuta senza l’esempio di una madre,
aveva deciso di diventare punto di riferimento per i bambini sfortunati. Era
stata capace di mettere a frutto la sua esperienza ed il suo dolore
trasformandoli in un sorriso da donare a chi, come lei, aveva dovuto fare i
conti con la vita anche in tenera età.
Non
fui capace di trattenere le lacrime, uno dei suoi alunni si accorse di me e
Caterina, notandolo distratto, aveva rivolto lo sguardo verso la porta,
incrociando il mio; in un attimo mi ricordai del suo sguardo da neonata, quello
in cui mi perdevo.
Portava
ancora al collo il ciondolo, uguale al mio, che le avevo regalato e questo mi
fece pensare che non mi avrebbe odiata se le avessi svelato la mia identità. La
direttrice le chiese di lasciare un attimo la classe perché aveva qualcosa da
dirle, così una volta fuori mi domandò se fossi venuta a “consegnarle” un
bambino, se fossi una di quelle madri incapaci di assumersi la responsabilità
delle loro azioni. Possibile che avesse già letto nei miei occhi quella
fragilità? Non fui capace di dire nulla, riuscii solo a prendere dalla borsa
quel ciondolo e a mostrarglielo. Ci fu un lungo silenzio, poi la sua reazione…