CARTELLA 5

CHIARA PONZO

18/9/2009

 

Cominciammo a frequentarci assiduamente, il nostro feeling superava qualunque mio dubbio riguardo all’inizio di una nuova storia. Roberto non mi faceva mai domande sul mio passato, aveva intuito che preferivo non prendere l’argomento, del resto avevo scelto di dimenticare. La nostra relazione era meravigliosa, trascorrevamo la maggior parte della giornata insieme, tra il lavoro e le uscite, e non vi era mai nemmeno l’ombra di una lite.

La sua maturità colmava le mie lacune, la sua comprensione mi dava la serenità di cui avevo bisogno, la sua discrezione mi stava permettendo di costruire un presente. Avevo finalmente ricominciato a vivere.

Una sera, durante una delle nostre solite passeggiate al chiaro di luna, vide una splendida bambina in braccio alla madre: i suoi capelli erano dorati e gli occhi di un blu intenso. La tentazione di fermarmi ed accertarmi che non fosse la mia Caterina fu davvero forte, ma mi trattenni ed accelerai il passo; Lorenzo, però, si fermò a guardarla estasiato, sorridendo e prendendole la manina per gioco. Mi si raggelò il sangue nelle vene, osservarlo con quella creatura se da una parte mi riempì il cuore, dall’altra mi ricordò quel che avevo cercato di dimenticare; lui si accorse che il mio umore era improvvisamente mutato e mi chiese di avvicinarmi per poter ammirare la bellezza della piccola. Dopo un fugace sguardo ed un cenno del capo preferii restare con lo sguardo basso, sperando che alla vista fosse collegato l’angoscia che sentivo. Per fortuna qualche attimo dopo riuscimmo a riprendere la nostra passeggiata, ma l’atmosfera era palesemente diversa e non ero capace di far nulla per evitare di guastare il clima gaudioso che era regnato fino a quel momento.

Non dimenticherò mai quando mi chiese se mi piacessero i bambini, a partire da quell’istante tutto cambiò , ancora. Non fui in grado di rispondere in maniera convincente, forse perché non ottenni neanche di essere credibile ai miei stessi occhi. Mi vennero in mente tutte le immagini di lei, mi ricordai della ninna nanna che le avevo composto, rividi distintamente il suo sorriso impresso dentro di me, così decisi di tornare in istituto a cercarla e a riprendermela; non mi importava se questa azine avrebbe comportato uno stravolgimento all’interno della mia vita, la rottura degli equilibri che mi ero costruita, del resto erano solo castelli di sabbia.

Ancora una volta non condivisi con nessuno le mie ansie, la paura di un rifiuto, la ricerca di una coraggio che non avevo. Finsi di avere la febbre e mi assentai da lavoro, presi un treno e mi recai davanti a quel cancello. Il bambino seduto sotto gli alberi si era trasformato in un ragazzino, l’altalena sembrava un chiaro segnale dello scorrere del tempo, tutto appariva diverso eppure maledettamente uguale a se stesso. Chiesi alla direttrice di ricevermi ed ottenuto il permesso mi presentai: io ero la madre si Caterina; con delicatezza chiesi di vederla, ma mi fu negato: Caterina non era lì.