CARTELLA 4
CHIARA PONZO
17-09-2009
Quella
donna dai capelli scuri aveva un volto rassicurante, quasi possedesse lei
l’istinto materno che a
me mancava. Non sapevo bene da dove iniziare con il mio racconto,
tanto era l’imbarazzo nel dover comunicare che la bimba tra le mie braccia
avrebbe per sempre avuto una sostituta come madre, e preso un respiro profondo cominciai a piangere. Mi porse, gentilmente, un
fazzoletto con il quale poter asciugare le mie lacrime, ma in quel momento
nulla avrebbe potuto sedare l’immenso dolore che portavo dentro.
Spiegate
le mie ragioni, con la promessa di riportarle Caterina quando avesse trovato il
posto in collegio, lasciai lo studio, incapace di sostenere lo sguardo della
mia piccola. Cosa le avrei raccontato se, da grande, mi avesse cercata per chiedermi delle spiegazioni? Cosa
avrebbe provato nello scoprire di essere cresciuta senza la sua vera
madre? Quale motivazione avrebbe potuto smorzare le sofferenze vissute a causa
mia? Nessun interrogativo trovava una risposta plausibile, nessuna poteva
esserlo.
Le
ore trascorrevano ancora più lente e la piccola cresceva e capiva sempre più
ogni mio piccolo cambiamento d’umore, ogni stato d’animo. Ero combattuta: da
una parte non avrei voluto lasciarle mie ricordi nella
speranza che si dimenticasse di me, dall’altra desideravo fortemente lasciarle
una traccia del suo passato, delle sue origini. Così le comprai un ciondolo a
forma di stella, con una piccola catenina, in modo che portasse qualcosa di mio
ed io ne acquistai uno uguale; sarebbe stato l’unico
cordone ombelicale tra noi due.
Arrivò
la chiamata dell’assistente e mi sentii maledettamente impreparata, nonostante
sapessi da tempo che prima o poi quel giorno sarebbe
arrivato. Avrei dovuto portare Caterina il giorno seguente al collegio.
Lungo
il tragitto cominciai a parlare, a farle almeno un milione di raccomandazioni e
a ricordarle che sua madre aveva compiuto l’unica scelta possibile, forse la
più giusta. La immaginai da grande, con quei capelli dorati e lo sguardo dolce
e sveglio al contempo, ed intanto l’ora del distacco
si avvicinava. Ricordo un alto cancello,
un ampio cortile nel quale si trovava una splendida
altalena ed un bambino seduto sotto gli alberi, avvolto in un ampio cappotto
marrone. Sarebbe andata così anche per lei? Si sarebbe isolata , chiudendosi in se stessa? O avrebbe reagito nella maniera
opposta, magari diventando punto di riferimento per i suoi compagnetti?
Le cantai per l’ultima volta la sua ninna nanna, quella che avevo scritto per
lei e mi ricambiò con un dolcissimo sorriso…lo ricordo ancora, il più dolce che
avessi mai visto.
Iniziai
a piangere, la lasciai nelle braccia della tutrice e scappai via. Fu l’ultimo
giorno che la vidi, l’ultimo giorno in cui ebbi il
coraggio di sostenere il suo sguardo, fu l’ultima volta che mi sentii davvero
madre. Cosa le successe non lo con esattezza, per
qualche tempo chiamai in istituto per avere sue notizie, poi non ci riuscii
più. Durante ogni chiamata la mia ferita si riapriva, il cordone si
ripristinava..forse l’unica cosa giusta da fare, per
me e per lei, era davvero dimenticare.