CARTELLA 2        

15/O9/2009                                                         

CHIARA PONZO

 

 Nessuna delle sue attenzioni, nessuno dei suoi regali, nessuna delle serate che mi procurava potevano essere imputate al suo amore per me, si trattava soltanto di smania di successo mista a brama di ricchezza. E pian piano il mio flebile sentimento, nato forse dalla voglia di un uomo che mi sostenesse, si spense definitivamente, lasciando intravedere unicamente il mio lato cinico. Ero diventata esattamente come lui, forse lo sono ancora.

La nausea era diventata la fida compagna delle mie giornate ed il mio corpo, che prima si mostrava sinuoso in quegli abiti che mi fasciavano, iniziava a mostrare i segni della meraviglia che portavo in grembo. Poco più di che ragazzina mi trovavo a dovermi prendere cura di una piccola creatura, io che amavo il canto più del mio compagno, io che non volevo assumermi alcuna responsabilità, io che sognavo di diventare una star; il cambiamento era in atto e dentro di me il conflitto si faceva sempre più acceso.

Lorenzo non si occupava di me, di noi, impegnato com’era a cercare nuove serate e nuovi abiti che potessero nascondere la piccola. I giorni trascorrevano veloci, le mie ferite si ingigantivano e quel sentimento assunse le sembianze dell’indifferenza, quasi dell’odio: io avevo bisogno di lui, del suo denaro, della sua capacità di presentarmi un locale colmo di gente e sopportavo silente il rifiuto nei confronti di Caterina. Improvvisamente mi mise davanti ad un aut aut: dovetti scegliere tra la mia carriera e la mia bambina, non aveva più intenzione di lasciarmi tempo per trovare una soluzione che ci accontentasse entrambi.

Com’è facile immaginare, le ore successive furono un vero inferno.

Una sera, vinta dai pensieri e dal dolore, scelsi di non esibirmi; era la prima volta che l’adrenalina da palcoscenico non suscitasse in me un’irrefrenabile desiderio di cantare per il mio pubblico. Non appena glielo comunicai il suo sguardo mutò, non disse neanche una parola, lasciando che il gesto della sua mano parlasse della rabbia che covava dentro; pensai che mai nessun altro uomo avrebbe avuto la possibilità di farmi del male. Uscii da dietro la tenda porpora, salutai la gente e cominciai il mio show, ma non ero più la stessa, la stella che illuminava i locali di quella triste città. Cantavo ogni cosa con la stessa intensità, quasi non mi importasse più nulla di essere lì a fare quello per cui tanto avevo combattuto e nessuno si accorgeva del mio malessere, a nessuno importava realmente cosa provassi in fondo al mio cuore. Lo show doveva andare avanti, era l’unico comandamento. Ma da quella sera qualcosa cambiò, lasciando in me un segno indelebile.

Tornata a casa decisi di parlare con Caterina, nella speranza che anche da lì potesse ascoltarmi e sentirsi rassicurata: la mia scelta sarebbe stata lei, in quel momento e per sempre. Presi un foglio di carta, la mia chitarra in mano e cominciai a chiacchierare con lei nell’unico modo che ritenni potesse toccarle l’anima, esattamente come accadeva a me quando mio fratello suonava il pianoforte nel grande e luminoso salone di casa. Le note risuonava nella stanza, la melodia somigliava ad una dolce ninna nanna, mi sentivo più serena e pronta a comunicare a Lorenzo la mia decisione. E mentre mi ripetevo che non avrei dovuto lasciarmi convincere dalle prospettive di carriera, mi incamminavo verso il soggiorno dove stava guardando un vecchio film che adoravamo. Con la voce tremante iniziai il discorso, determinata nel portarlo a termine, ma i suoi silenzi avrebbero causato più male di una qualsiasi risposta.