Lo sbarco di Papa Alessandro III e la Sagra

Vuole la tradizione che nel 1175 sul litorale di Grottammare sia attraccato Papa Alessandro III e che da questo evento abbia avuto origine la festa della Sagra Giubilare. Secondo la leggenda una tempesta costrinse le sette navi che scortavano il Pontefice in viaggio, a riparare nel porto del borgo. Alessandro III, perseguitato da Federico Barbarossa e dall’antipapa, si era rifugiato in Sicilia presso la corte di Guglielmo il Buono; alleatosi alla Lega Lombarda, fu colto da quel fortunale, proprio mentre stava navigando alla volta di Venezia per unirsi ai Comuni insorti contro l’imperatore. I monaci, ormai sottomessi all’autorità pontificia, accolsero il vero capo della Chiesa e lo ospitarono per alcuni giorni nel loro convento. Il Papa poté così assistere alla tradizionale festa del primo luglio che si celebrò, come sempre, in quella che una volta era stata la sacra area della dea Cupra. Quei festeggiamenti, ovviamente da tempo trasformati in cristiani, erano di evidente derivazione pagana come ben si intuisce dal fatto che le arcaiche popolazioni italiche il 24 giugno celebravano la Dea Fauna o Bona Dea (qui identificabile con la dea Cupra) mentre il primo luglio festeggiavano il Pater Janus (probabilmente nella zona assimilato a Faunus, sposo di Fauna). In quel lontano 1175 il primo luglio cadde di domenica e nei pressi di S. Martino si adunarono così tanti pellegrini che il Papa, commosso ed ammirato, stabilì che ogni anno in cui il primo luglio fosse caduto di domenica, ai fedeli qui convenuti sarebbe stata concessa un’indulgenza plenaria. La leggenda vuole che il Pontefice, toltosi il camauro, lo abbia riempito di sabbia dichiarando che tanti dovevano essere gli anni di indulgenza quanti i granelli contenuti nel suo copricapo.

Lo sviluppo del borgo e le guerre contro il Vescovo di Fermo

Per capire l’evoluzione dei fatti nella realtà locale durante il corso del XII secolo appare importantissima anche l’analisi di un diploma imperiale di Enrico VI datato 10 luglio 1193. Con questo documento l’imperatore promosse personalmente l’infeudazione di un ampio territorio comprendente il castello di Gructa (e ciò chiaramente dimostra l’importanza strategica della rocca): beneficiario del feudo fu un certo Maurizio figlio di Attone di Mozano che venne anche incaricato di dirimere eventuali dispute fra i monaci e gli abitanti del piccolo paese. Nello stesso documento Enrico VI confermò però il possesso del monastero di S. Martino, con tutti i suoi beni (fra i quali figura ovviamente il borgo-fortezza), all’abate Walterium ed ai suoi successori. Inquadrando il contenuto della pergamena nel contesto storico di quel tempo si evidenziano due aspetti di grande importanza. Grazie alla pace di Costanza (1183) l’istituzione imperiale aveva scongiurato il peggio e conseguentemente aveva ripreso la sua politica di opposizione al potere temporale del Papa. Anche i monaci farfensi, che come detto erano stati simpatizzanti ghibellini della prima ora, si rischierarono al fianco di Enrico VI il quale, evidentemente, li volle premiare riconfermando loro tutti i possessi nel territorio di Grottammare. La seconda considerazione da svolgere riguarda l’incarico affidato al feudatario di sentenziare sulle controversie fra i monaci e la popolazione del luogo. Dunque anche qui, come altrove, attorno alla fortezza si stava ormai sempre più sviluppando un centro abitato ed il sorgere di contese sta proprio a testimoniare i continui tentativi di affrancamento del borgo dal dominio dei vecchi padroni. Tuttavia il potere dei farfensi restò ancora molto forte tanto che il castello nel 1208 si ritrovò ad essere ancora una volta al fianco dei religiosi nell’interminabile lotta contro il Vescovo di Fermo il quale, come detto, non aveva mai abbandonato le sue mire espansionistiche. In quell’anno l’alto prelato Adinulfo, alleatosi con i Ripani, mosse guerra ai monaci che per tutta risposta si strinsero in una lega ghibellina con i signori di Montefiore e Boccabianca. Le fortezze filoimperiali furono assediate: caddero le rocche di Marano, di Boccabianca e di Massignano, ma il castello di Grottammare si rivelò ancora una volta inespugnabile.

La perdita dell’autonomia

Il paese cominciò a perdere la sua autonomia solo nel 1214 quando il Marchese della Marca, Aldobrandino d’Este, (schieratosi con il preponderante partito guelfo) lo consegnò, cum suo portu, al Comune di Fermo (ormai anch’esso liberatosi dal dominio del suo Vescovo). Tuttavia quella cessione non ebbe pieno effetto, probabilmente per l’opposizione degli ancora potenti monaci, poiché da un altro documento del 1248 si apprende che fu il Cardinale Ranieri, legato pontificio, a concedere alla città di Fermo il Girone Gructarum ad mare cum suo portu: e si deve ancora notare che in questa pergamena il Ranieri fece riferimento solo al "Girone" (delle cui mura venne sollecitato un restauro poiché provate dagli assedi sostenuti), ma non al monastero di S. Martino che presumibilmente mantenne la sua autonomia e forse continuò ad esercitare una certa influenza sulla vita del borgo. L’assoggettamento di Grottammare al Comune di Fermo avvenne definitivamente solo nel 1258, quando Manfredi, re di Sicilia, cacciò i monaci e cedette il castello con il sottostante porto a quella Città nel tentativo di ingraziarsela nella sua guerra contro il Papa.

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