FILIPPO AMANTEA MANNELLI

 

INAGURANDOSI IL MONUMENTO DEI CADUTI GRIMALDESI

Scultura di Duilio Cambellotti

 

 

 

 

 

 

                     ITALIA

           A TUTTI CHE PER TE

  MORIRONO PATIRONO VINSERO

                   ED A TE

             ERA IL PENSIERO

 

 

 

 

 

I grimaldesi delle Americhe

E l’azione del comitato locale

 

La santa necessità di eternare in un segno tan­gibile la memoria dei grimaldesi morti per la Patria venne dapprima espressa in Grimaldi, appena conchiusa la pace, dal Tenente Vincenzo Veltri che per la Patria sofferse un polmone forato e in premio del suo valore ebbe la medaglia d'argento. Benché validamente sostenuta dal Capitano Raffaele Anselmo di Francesco, grande mutilato ed anch’ei medaglia d'argento, tra il plauso e  l’indifferenza, in quel pe­riodo di assestamento, la proposta cadde. Ma l'idea dal Veltri lanciata in paese venne poco dopo, più che raccolta, spontaneamente a risorgere tra il fior fiore della forte colonia grimaldese sparsa nell'America del Nord. Il Sig. Michele lachetta aprì nel suo giornale, Il Vindice di Pueblo, una pubblica sottoscrizione per la raccolta dei fondi allo scopo; dagli Stati Uniti e dal Canada le offerte affluirono e in breve tempo si raccolse una buona somma che, dal sullodato Direttore del giornale trasmessa a suo fra­tello Antonio, allora in Grimaldi, costituì la parte maggiore, dei fondi occorrenti a ricordare degnamente i Caduti.

Per avvisare all'opera, si formò allora in paese un Comitato numeroso ove tutti gli ordini della cit­tadinanza erano rappresentati, presieduto dal Sindaco
del tempo, il Dottor chimico sig. Luigi Silvagni. Di presidenti il Comitato ne ebbe poi una catena, cia­scuno cioè dei vari Sindaci o funzionanti tali che sì successero, e risentì anch'esso un poco delle vicende fortunose della vita comunale. Lo presiede oggi il Podestà Sig. Salvatore Spadafora.

Avevo io già privatamente scritto ed appena insediatosi ufficialmente scrisse il presidente Silvagni al  Sig.  Raffaele  Anselmo, fondatore e capo d' una grande   Gasa   di  esportazione  ed importazione da e   per l'Italia in Rio Grande del Sud, zio del capitano mutilato che ha lo stesso suo nome, affinché avesse gli raccolto le offerte dei grimaldesi del Sud Ame­rica. Nel Sud America i grimaldesi son pochi e sparsi ua e là e dalle grandi distanze separati; onde l'Anselmo non potè nemmeno pensare ad aprir tra loro una  sottoscrizione, ma invece immediatamente inviò una somma cospicua, quasi tutta costituita dalle per­sonali offerte sua e dei suoi.     

Il Comitato poteva dunque provvedere al suo assunto con quella sicurezza dì sufficienza dei mezzi materiali che mal avrebbe potuto venirgli tutta dalla popolazione residente, tra cui, dopo la tensione del 'periodo bellico, si risentiva l'accasciamento del dopo-guerra.

In una delle prime riunioni si trattò della scelta dello scultore. L'assemblea era tutta di persone in­telligenti e v'eran professionisti d'intelletto e di studi e v'era un dotto latinista, il Parroco Prof. Michele Anselmo. Si disse subito che non si voleva ne uno dei soliti pupazzi a serie né -altra simile volgarità. Ed io conchiusi: Poiché siamo tutti d'accordo nel de­siderare un'opera d'arte vera e propria, vi propongo un nobile artista: Duilio Cambellotti.

Codesto nome in quella assemblea era cognito, a taluni anche per le successive maggiori opere e la fama, a tutti per le illustrazioni di Come le Nuvole.

Come le Nuvole! che roba mai sarà? con la perplessità di Don Abbondio che in Cameade s'im­batte dirà più d'un lettore anche se addottrinato.

Lettore mio perplesso, trattasi d'un libro di poe­sia che, stampato molti anni fa, anch'esso, come questo opuscolo, in Cosenza ovverosia nella nostra calabra Atene senza risonanza, tra i trombettieri della critica e del chiasso letterario sui cotidiani non ebbe allora eco, ma al quale ora dopo un ventennio dal­l'alto guardando con occhio sereno come a cosa che non • mi appartenga oramai superata, senza iattanza posso affermare che malgrado parecchio d'inesperto e molto di mediocre e la bizzarria di certi pezzi in un francese spropositato cosi che me ne vergognerei se spropositato non fosse italicamente, segna nella produzione poetica dello scorso primo quarto del se­colo un punto fermo, meta e pilone di lancio. Dopo, è venuto il futurismo :Che l’estratemporale subordina al tempo, per passare mattana. Ma pare a noi - ed a qualche altro, buon giu­dice, con noi - che, senza bamboleggiare e con­servando intero il nostro senno, se futurismo è si­nonimo di nuovo, del futurismo ne avevamo, a modo nostro, fatto già noi e si chiamava amore, anche in arte, della nostra cara libertà.

Duilio Cambellotti mi bastò nominarlo perchè il Comitato,unanime, lo eleggesse acclamando.

Nelle ulteriori sedute, frequenti e al completo, dopo maturo esame, si scelse il luogo e la specie dell'opera: non isolato, ma addossato al campanile che guarda la piazza, un monum3ntale complesso plastico. All'artista libertà assoluta di ideazione e di esecuzione. Se ne conosceva il valore; sì sapeva che, per il bene che mi vuole e la simpatia che, di ri­flesso, ha per Grimaldi, avrebbe assoìto i! compito con grande amore.

A me venne poi affidato il dettare l'epigrafe de­dicatoria.

Ulteriormente il Comitato affaccendossi intorno alla lista dei Caduti; e, compilatala finì col volerli classificati per categorie.

Su codesta inopportuna pensata che bastava rifletterci per scorgerne l’irriverenza e /'assurdo, esso, che oramai risentiva, anche, nella composizione, delle sciagurate vicende comunali e  delle beghe, né avea più la compattezza dei primi tempi,si divise. La graduatoria alla  morte fu decisamente e ostinatamente voluta dalla maggioranza.

Malgrado le due medaglie d'argento Anse Imo e Veltri avessero dimostrato la   loro disapprovazione, malgrado il biasimo vibratamente espresso dall'Ori. Carlo Del Groix presenti tutti i mutilati della provincia, malgrado  una chiara   motivata  lettera  del Prefetto Guerresi, malgrado cioè il parere, contrario di tutti coloro che più d'ogni altro avevano la com­petenza di avvisare in proposito e malgrado il con­ forme a ciò retto intuito del popolo  che si sentiva nell'aria, tornata la questione sul tappeto in una riunione definitiva quando all'opera già a posto altro non mancava che l'incisione dei nomi, una votazione di dieci contro tre astenuti e cinque contrari man­tenne fermo il criterio delle classifiche.

Per le classifiche votarono:

1.        Amantea Bruno
2.            Doti. Amantea Ortensie
3.      Anselmo Don Alberto:
4.      Avv. Cav. Anselmo Silvio;
5.      Ins. Del  Vecchio Carlo;
6.      Avv. Del Vecchio  Vincenzo;
7.        De Si mone Gabriele
8.        Dott  Giardino Ernesto;  
9.      Cav. Nigro Moisé;           
10.    Silvagni Armando 

Sì astennero:         

1.        Cav. Amantea Luigi:         
2.        Ins. Anselmo Pietro;        
3.        Mar. Notti Doroteo

Votarono contro:         
1     
Cav.  Spadafora Salvatore, Podestà
2     Cav. Prof. Aselmo
3     Don Michele lachetta Gaetano
4    
Pres S.O. De Cicco Terenzio
5     Filippo Amantea Mannelli.    

Avendo lo Scultore, presente, fatto notare che ragioni di opportunità estetica e di spazio avrebbero almeno consigliato, pur lasciando le categorie, di non iscrivere a capo di ciascuna di esse la relativa intitolazione, con votazione identica alla prima anche tale proposta fu respinta.

 Così avvenne che i nomi dei  nostri   Caduti figurano suddivisi in Caduti in campo  (d'Austerhtz, di  Wagram, di   Iena ? o non invece piuttosto   dalle Alpi al mare, e dal vasto mare  alla   costa  e   dalle coste all'interno? e se è così e non altrimenti   tutti gli altri 'non sono anch'essi, vivaddio, caduti sul cam­po?}; Dispersi (o perché non: leoni in gola al lupo?); Prigionieri (meglio assai avreste detto:  d'austriaca inedia fulgenti!); Morti  per  malattia   contratta a fronte (su codesta classifica taccio; ma più oltre, m queste medesime pagine, per  mezzo di uno di loro, parlano i morti medesimi e con eroica voce).

Per la verità va subito detto che codesto, che ho dovuto deplorare, è stato, per quanto grave, il solo sbaglio del Comitato, il quale, come abbiamo visto, e salvo forse una, cui accenneremo, eccessiva restrit­tivi in vagliare i nomi, nel complesso delle pro­prie mansioni ha operato bene e lodevolmente; ed ora, sotto la presidenza del Podestà Spada/ora, ha conchiuso il proprio compito avvisando alla rac­colta in paese dei fondi occorrenti per gli accessorii dell' opera ed una conveniente sistemazione della piazza ove essa guarda e la solenne cerimonia inaugurale.

 

Il monumento

 

         È una meravigliosa opera d'arte, romanamente concepita, romanamente eseguita; né credo esagerare affermando che Duilio Cambellotti ci ha dato un vero capolavoro.

Sorge in luogo esteticamente ed eticamente il più adatto.

Grimaldi ha una piazza raccolta, non troppo vasta e non piccola, con a sfondo l'uno dei muri della Chiesa parrocchiale che nella sua parte mediana a ridosso ha il nuovo campanile, la cui faccia è un'alta superficie rettangolare.

Sotto la cella campanaria sovrastata dal tondo occhio dell'orologio, è una targa di marmo con la bella epigrafe latina dal parroco Pro/. Anselmo det­tata a ricordare che esso venne, per sua cura, nei primi anni del suo ministerio parrocchiale, estrutto ex coemento ferro riunito. E a lode del Prof. Anselmo va notato che egli, con grande abnegazione, non appena del monumento il posto venne scelto, si dichia­rò pronto a toglier la targa e situarla altrove se, a giudizio dell'Artista, ragioni d'arte lo avessero raso necessario od opportuno. L'Artista giudicò che potea rimanere. Ed infatti essa conferisci grazia al com­plesso ambientale che l'opera monumentale circonda.

Al di sotto di codesta lapide,  ove par ancora parecchi metri d'altezza dal suolo era il nudo grigiora quasi ferrigno della parete rettangolare, ora il Mo­numento campeggia.

È in pietra dura di Puglia ed in bronzo. Un'al­ta mensola poggiata su due braccia sostiene i bronzi e tutta la mole. In alto il gran masso quadrato ove in grandi rosse lettere è scalpellata l'epigrafe, riu-scitami, sento e dicono, semplice robusta degna:

        MCMXV - MCMXVIII         
AI  FIGLI  DI  GRIMALDI
PER  LA   PATRIA
NELLA   GRANDE  GUERRA  CADUTI
QUESTO  RICORDO   I  GRIMALDESI
D'ITALA   E DELLE AMERICHE
SACRARONO
TRA   LA   CHIESA   OVE   DIO          
E  L' ARENGO  O VE IL PO POLO

 

A chi l'iperbole è cara sarebbe forse piaciuto che, come ho detto grande la guerra, un grande avessi appiccicato anche alla Patria. Ma i figli la ma­dre mamma la careggiano e basta; e comunque grande la Patria, tanto più grande noi figli la desi­deriamo; e certo da quella orribile guerra ove, al di Sopra di ogni altra nazione,i fastigi d’ Italia toccò dell'altezza morale, è rimasta ben lungi dall’uscir grande così come avrebbe meritato, che la vittoria se la giocarono poi a pari e caffo le fazioni e il politicantume tra lo schiamazzare e il putrido riferimentare di tutto il vigliaccume rimasto già dentro a marcire.

Il vigìiaccume! Se in Italia  oggi scrittori di fantasia  dalla vita ci fossero e non invece sconci ruf­fiani che lavoravano e   ancor   lavorano in serie   la pornografia ed ebdomodariamente   i cotidiani ad ol­traggiare il Boccaccio traggono dal bordello alla ribalta, con firme femminili   talvolta   che   disperiamo sieno pseudonimi, i novellatori di colpi di schiena nella penombra dei corridoi d'albergo, e, a   dispetto   delle disposizioni del Ministero dell'Interno  ramo stampa ma sarebbe forse più adatto il ramo sanità, cotidianamente la cronaca porcheggia e tutto   un   andazzo a ciò corrisponde d'importati costumi e libertà modernissime,  onde la pubblica sicurezza ha gran fatica a far retate di maschiette da circoli di ballo e nelle chiese i pastori a tenerne lontane le nudità che, smussato il pudore, all'aperto passeggiano smussatrici di desideri, mentre l'America, a compensarci delle alzate barriere con danno nostro e suo, la nova moda delle chiome corte ci ha regalato che. se piede ancor pren­de e dura, o signori medici che a gittar   l'allarme tardate e non ci avete forse pensato, ora vediamo le donne schiomate le vedremo poi calve e le maschiette loro malgrado si troveranno la chierica: se in Italia nel dopoguerra scrittori di vita ci fossero stati e ci fossero, non si sarebbero fatto fuggire, sfuggire non si farebbero, il nuovo e più serio e più vario argomento di arte dalla guerra offerto e dal dopo­guerra: il vigliaccume.

Tanto più dalla guerra offerto quanto più tutto il popolo era 'un eroismo solo e a codesta schiumaglia modo non avea di badare, né per Godesti detriti rifiuti abbiettezza valse la pena funzionasse all' in­terno la fucilazione alla schiena. E come si sarebbe potuto? L'abbiettezza arrangiavasì le carte in regola. Così, mentre tanti morivano, riusciva essa a con­servare la cara pellaccia.

Or l'imboscatume, salvata la pancia ai fichi, se la passeggia al sole; e, in barba ai cacciatori d'au­striaci riformato poniamo perché sciancato, va con gambe lestissime cane cartucciera e fucile a caccia al prossimo suo lepri e conigli non senza allungare la mano sui fichi suddetti o sulle pannocchie di gran­turco tenero o sugli ulivi buoni in salamoia o sui pometi per via onde pieni in ogni caso portarsene ventre e carniere e bunaca pur se la selvaggina difetta; e voi perdonatemi vegetali animali innocenti se con tanta sozzura il paragone vi offende !

Scherno ai morti per la Patria codesti malvivi. E da poi che additarli direttamente al disprezzo pubblico non si può giacché son tutti formalmente a posto e ce n'è magari che han percepiti stipendio lunghi anni, tutto il tempo che la Patria non avea bisogno di loro e si contentava di mantenerli, onde, squagliatisi al momento buono, c'è il caso il papato di pensionato aiuti ora qualcuno a curare gli stra­scichi della passata dissenteria, viscidi come sono e ributtanti, altro non c'è che da afferrarli con la len­za del genio, a spettacolo.

O giovani scrittori d'Italia, perché compiacervi delle sozzure di moda? l'imboscatume io vi addito, che - almeno adempia I'unica funzione cui valga: esser nova materia per le gogne dell'arte! Codesta gentaglia che aduggia la vita civile ed anzi sfacciatamente ci si mescola, almeno avvertirà, la propria vergognosa condizione di sopportati, e non sarà più possibile che, poniamo, in un qualche borgo, dopo solenne, cerimonia civile la folla plaudente circon­dando la vettura di un'alta autorità, tra la folla dovesse notarsi, scalmanato saltabeccante sgolantesi, un certo figuro che, fingendo non accorgersi come l'alta autorità distogliesse da quel ceffo di bronzo lo sguardo fastidito per riposarlo sul sereno viso d'un mutilato,  urlare ardì Viva l'Italia! e parvero cedeste parole da quella bocca oltraggio alla Patria e be­stemmia e da quelle labbra videsi pendere il carducciano rospo verde e agitarsi.

Se questa lunga parentesi scritta a vendetta, dei morti e dei vivi sia giusta, ditelo voi, mutilati d'Italia; mutilati grimaldesi Vincenzo Veltri dallo sde­gno incisivo, cugini miei Gioacchino Albo cui manca un piede, Raffaele Anselmo cui manca più che la gamba; e dillo tu, il cui nome voglio qui fermare a .segno della fraternità tra i nostri due Comuni, dillo tu Angelo Nucci da Malito sulle cui sante tre­mende ferite il sole sfolgorò della Battaglia del Piave!

Torno alla descrizione del monumento. Sotto l'epigrafe, sopra la mensola, una, semi­circolare quasi, voluta di masso forte e leggera svol-gesi* che abbraccia i bronzi. Sulla superficie della mensola i brónzi posano e alla voluta si addossano, occupandone tutta la par­te centrale e la inferiore dei lati. Sullo spazio a dastra e a sinistra libero, in quattro stagli .ben equi­librati, due e due, sono disposti, scalpellati anch'essi in rosse lettere, i nomi dei caduti, col grado, e la data della morte. I tre bronzi, austeri di concezione e perfetti di modellazione, curatissimi nel dettaglio, sono l'aurato volto della Patria dalla chioma leonina turrita e lo proteggono gli scudi romani di due guer­rieri caduti, due robustissimi nudi chiusa la testa nell'elmo romano, stringe ancor fore nel pugno l'un d'essi il gladio romano, e: Noi salvammo — par dicano — che la vita a te sacrammo;   coli or   pur es col sangue dal nastrino delle ferite

 L'insieme dell'opera è una potente armonia di bellezza e di forza degna della romanità dell'Arti­sta, che ha nobilmente espresso in linee solenni e severe il concetto del più santo tra i sacrifici e me­ritò la grande soddisfazione del commovente collaudo che dell'opera sua fece il popolo di Grimaldi.

I mrmorari che, sotto l'occhio vigile dello scultore, avean tutta una settimana lavorato, verso il mezzogiorno del 28 luglio ultimarono anche l'assetto dei bronzi.
Nel pomeriggio di quella stessa, giornata e nella breve ora che lo steccato che proteggea dai curiosi la tran­ qualità del lavoro venne rimosso e l’opera non ancora, in attesa dell'inaugurazione, velata, fu un pel­legrinaggio. Tutti, uomini, donne, bambini, lasciando le occupazioni, disertando i giochi, a gruppi ininterrotti vollero andare a vedere. E fu un coro di ammi­razione, di commozione, di plauso: spiegavano e la u­davano gli adulti, qualche donna s'inteneria fino al piante, anche i ragazzi umidi gli occhi e serio il viso.

Sordo e cieco alla bellezza Io avean detto taluni; ma ecco, l'umile popolo e sentiva e capiva, tanto più profondo quanto più semplice. Io non ne avevo mai dubitato.

 

L’ARTISTA

 

Tra la fine del maggio e la fine del giugno 1907 trascorsi un mese a Roma. E poiché le faccende per cui v'ero andato mi lasciavano assai tempo libero, ne profittavo e per conoscere meglio quella inesauribile miniera di storia e d'arte e per coltivare i miei a-mici, artisti quasi tutti, Alessandro Marcucci e Duilio Cambellotti tra loro i più cari. Auspice Alessandro, nel pomeriggio del 9 giugno visitammo le Tarme di Caracalla, che io vidi allora la prima volta e la cui nuda immensità rumata mi sbalordì.

Di quella visita restommi poi pertinace il ricordo e, con le altre mie recenti impressioni, specialmente dell'arte di Duilio Cambellotti che, romana e multanime, avevo lasciato anni prima giovinetta, e adulta e in pieno rigoglio la ritrovavo, mi seguì a Napoli, e non me lo potevo levar dalla testa a Cosenza, fin­ché negli ultimi giorni del luglio esplose, e a Grimaldi, in campagna, prese corpo in un'ode all'ami­co e all'Artista rivolta e dedicata.

Glie la mandai manoscritta.

Gli giunse ch'ei preparava le scene per la A/a­ve dannunziana e che il D'Annunzio, diligentissimo in sorvegliare e curare quanto al suo teatro attene­va, era a Roma, onde una delle volte quell’ode nel­lo studio del Cambellotti gli fu mostrata e la scorse e, a crederne agli amici, non gli dispiacque. Io non so se Duilio in quell'occasione gli fece notare che dov'essa dice:

« ..... e poi tra noi

Con la gran furia sua scese il Celimi »,

'sì sarebbe potuto leggere ugualmente   esatto  invece del Gellini il D'Annunzio, che il Cellini scese tra noi perché Alessandro Marcucci volle ch'io, dalla memoria forte e freschissima, recitassi agli amici tra le Ter­me le bronzee quartine del Bronzo, dall'ottima acqua  per la bevace creta alla descrizione eroica della più eroica fra le imprese d'arte,  la fusione del Perseo.
L'ode al   Cambellotti, che   agli   amici   piacque tanto e qualche strofe e qualche verso ronzaron per  un pezzo all'orecchio e ritornavan sul labbro di Alessandro Marcucci, finissimo intenditore, venne pre­sto da me dimenticata, assorto in ben altre cure che di poesia.

Il monumento ai caduti grimaldesi me ne ha fatto risovvenire, e voglio ora qui pubblicarla ad ester­nare la gratitudine di Grimaldi all'Artista che, il a durevole materia trasformando in pensiero e poesia, così magnificamente ha nella pietra e nel bronzo fermato il ricordo dei nostri morti gloriosi.

I quali se, com'io' sicuramente credo ed ebbi una certa volta ad ammonire in un telegramma al Gomitato, vedono e sentono, dell'aggiungere che a queste pagine io faccio quella specie d'arte poe­tica sui generis nata a incitarlo mi sapran grado, perché con le altre sue opere questa più recente, il monumento che Li glorifica, sta ad attestare che quant'io di Duilin Cambellotti sentivo è realtà.

Altre ragioni poi mi han ritenere che di pubbli­care quel!' ode tempo e luogo opportuni ho bene scelto

La dignità del soggetto, il-valore e la serietà del Gambellotti senza nulla in sé di volgare, trasformò gl'incitamenti all'amico' in poesia civile dall'alto contenuto, e c'è in essa dell'antiveggenza che venia dalla fede.

II modo com'io sentivo e, nel 1907, scrivevo di Roma è per me ragione di compiacenza oggi che la romanità è restaurata.

La mia rievocazione del primo giovanile saggio di scultura del Gambellotti, un-campo di frumento, concezione nuova arditissima, e la mia lode alla spiga che - da l'oro innocente

non verrà/;, certo trovate arcaiche ora, in piena battaglia del grano; e sono .lieto che quella mia rie­vocazione e la lode abbiano indotto il mio romano amico a scegliere.da allora per sua cifra ed emblema e sigillo appunto la spiga.

 

Tempra  originalissima di, apostolo,   organizzatore dì opere di bene, animatore ed educatore, il suo capo­lavoro, il vostro  santo capolavoro, o sacra memoria di   'Giovanni   Cena   e. Angelo   Celli,   si chiama jCe Scuole p2Ì contadini òeìP jfigro  Romano. Scuole che Duilio  C ambellotti,   a  grande  amore, ha con F arte abbellito,   scoletta di Colle di Fuori dal bel campaniletto e dalla lapide che ricorda il Cena e dalle lu­minose pareti potentemente affrescate, la tua grazia, o'scoletta, la tua modesta perfetta bellezza è l'immagine della chiara bontà  dei cuori che  ti han voluto,  che ti hanno creata, e, ad elevazione delle anime infanti, a diffusione di sana vita civile,   vi hanno poi moltiplicato, o scòlette ! E tu,  Sandro, che il vasto intel­letto hai posto a servizio  del cuore e del tuo cuore' hai fatto lampana accesa,   tu che, sensibilissimo ar­tista, all'opera tua di civiltà e di bontà l'amore per l'arte hai sacrificato, non avere, o fratello, nostalgie, tu che tutte le Muse hai piegato a servizio del bene, ónde T opera   tua diuturna, più che quella scoletta, è compiuta bellezza.

Con noi c'era pure Giacomo Balla non ancora futurista ma già su per l'erta del Calvario dell'arte con la sua croce pesante che si chiama l'ossessione della ricerca sotto l'incubo della teoria; né mai vidi il dramma dell' arte trasformarsi in più compiuta tragedia. Non importa! se un miliardario americano io fossi, valicherei l'oceano sol per avere da Giacomo Balla il ritratto. Ma gli voglio dire: La categoria del tempo è soggetto da filosofi non materia da teorizarne l'arte, e troppo grave peccato se non tragico troppo destino è lasciar le teorie soverchiar l'invenzione. Butta nel cestino il ciarpame teorico e tecnico, lascia ad Euclide e agli architetti la geometria, l'ottica agli ottici, ma tu segui la vergine impressione, o pittore, e non secondo gli altrui concetti bislacchi lavora ma con le forze che Dio t' ha dato !

A completare le gamme de  l'arte,  baldo di sicurezza c'era Giovanni Prini, del Balla contrapposto assoluto

Quanto ai lavori del Cambellotti cui accenno, come la targa per Ibsen e i disegni danteschi ed il garbo d'una raccolta sala da lui pur nelle minuzie curata con una porta tutta grazia ad introibo, sono cose dei suoi prim' anni, ma ove si scorgea l'unghia del leone. La testa di Garibaldi era il calco di una medaglia che ricordava le feste garibaldine di quell'anno. Quelle che battezzai jCe curiose erano d'un cofanetto la serratura dal cui buco due nude femmine da un lato l'una dall' altro- l'altra allungate e i capelli si toccavano, l'una spiava l'altra voleva spiare. Orafo come Benvenuto, il modellatore della ^ortfarja della palude costruttore di scene eschilee capace di scultura da giganti, toscanamente quella volta, avea voluto sorridere boccaccevole. Altrove, ha trattato le farfalle ed i fiori.

Coloro che del mio amico l'opera multiforme conoscono, quelli che la fatica sua più recente hanno in Grimaldi ammirato, sanno già che la mia poesia, lode solo in tanto in quanto incitamento, non pecca

di esagerazione. Ma perché non paia che io, critico aspro ove c'è 'da criticare, gli amici non sappia altro che laudarli, voglio qui su lui terminare con un augurio, che è anche un appunto.

L'infaticabilità che è una delle sue qualità e che della sua genialità troviamo spesso compagna, avreb­be, io penso e non sono il solo, straordinariamente potenziato le facoltà creative del Gambellotti se i tempi e le circostanze gli fossero stati più favorevoli e gli avessero permesso di moltipllcarsi un pò meno, di selezionare un pò meglio le specie dei lavori in cui s'è profuso. Spazio gli auguro e campo e libertà di creare adeguate. Alla ,'sua J^orjfana non il breve circuito del picciol modello si addice ma degna essa sarebbe di chiudere, vasta come nell'intenzione, un immenso bacino a ricordo della palude in un qualche gran parco dell' Agro risanato. Le forme d' uomini d' animali di piante sulle pagine brevi profuse o sulle brevi pareti o di ceramiche nove a ornamento, quanto meglio sulle piazze maestose od in palagi monu­mentali o nelle cattedrali oranti o in verdi ville e variegati giardini, per l'esteta singolo non già ma per un popolo intero !

Argentina squillando ammonisce la campana di Dante.

 

Prosa e pesia di Sandro Burza

 

Non ci Volea meno dell'occasione d'un monumento ai Caduti per indurmi a pubblicare, dopo lungo intervallo, poesia io che non faccio professione di poeta. Ma al pregiudizio che poesia lo scrivere o l'avere scritto importi menomazione della sana attività pratica già prima della guerra solo un certo allitterato vulgo, e per vulgari scopi e bassi, fingea di credere. La gente di senni sapeva pur allora e sa ora più che mai che anche nella cotidiana pratica vita il poeta riesce meglio se ove c'è vera poesia c'è più intelletto, specie se, come nei poeti degni del nome sovente avviene, arricchito da sana e soda e vasta dottrina. Vero è che della dottrina e dell'intelletto e di tant'altro ancora si può far a meno benissimo a patto che di poesia si manchi assolutamente.

A buon conto, del concilio delle Muse regina è Minerva armata; a conto buonissimo, anche in fatto di poeti e poesia la guerra è stata una grande rivelatrice. La salda volontà del popolo ed il sentimento che la animava ed ha fatto vincere era tutto poesia, poesia i reggimenti calabresi all’assalto del San Michele o vittoriosi in Francia, poesia i ragazzi della leva del '99 fermi al Flave. Così, novo canto sublime al poema aggiungendo della storia perenne, la divina Poesia salvò la Patria al tempo che la prosa avea nome vigliaccheria dei vigliacchi mentre individualmente i poeti, tutti i poeti, quelli che, come Oxilia e Borsi, caddero e quelli che, dal D'Annunzio al Benelli a Carlo Delcroix, mutilati sopravvivono, scuola pratica tennero d'eroismo e, con gli Slataper e i Serra e cento altri, il canto il pensiero lo studio, dell'intelletto primavera sacra, nell'infuocato, cielo della Patria e dei Martiri sollevaronsi alto splendenti. Ivi è una stella che ha nome il Battisti.

Ala d'Italia dal volo sicuro, su Vienna a volerti e corporalmente a condurti non è stata la Poesia ? Quando sopravvenne la prosa con gli scrupoli malcerti, l'Esercito d'Italia a Vienna, non entrò. S'ebbe invece la passione di Fiume.

Questa pausa d'arte tra queste pagine di ricordo e di gloria chiudere non la voglio senza prima rammentare ai calabresi del cosentino che tra gli artisti divenuti eroi della Patria ci sei, falciata speranza in erba, Sandrino Burza, anche tu.

Tu il tuo latino studiavi nel tuo liceo e nessun maèstro ma il fondamento che natura pone apprèso aveati a trattar pastelli e colori ed eri un pittore nato e l'arguzie tua di sveglio ragazzo sapea degli umani volti e degli atti cogliere i tratti essenziali e più volte agli artisti amici miei, più volte al Cambellotti parlai del miracolo ch'era in te; e t'arruolasti e dal Carso inviavi le tue caricature belliche ove il serio entusiasmo dell'anima tua tralucea tra il sorriso, e sul Carso combattendo cadesti fior di Calabria e fior di poesia !

 

I caduti grimaldesi

 

Contro l'avviso di coloro che, riflettendo al campo sterminato del conflitto e alla terribilità di quella mobilitazione di popoli in armi contro popoli in armi, avrebbero voluto l'inclusione di tutti i mobilitati la cui morte anche indirettamente fosse da attribuirsi alla guerra, il Comitato preferì, come abbiamo già accennato, criteri più restrittivi; onde la lista comprende solo combattenti in linea e la cui morte e dovuta direttamente alla battaglia o ai disagi della trincea.

Ma pure di coloro che infelici morirono senza aver visto il nemico sia qui fatto cenno, e di essi pure e della loro sorte miserrima resti memoria. Sono stati parecchi. A conforto di un cuore di madre uno, voglio nominarne, il giovinetto Augusto Raimondo lacheìta fu Antonio, della leva del 1899, morto bagnandosi in fiume a Bettone in quel di Vicenza ch'era in attesa di essere col suo reparto inoltrato al fronte.

Pur se i più rigidi — rigidi non significa eroici; vogliamo   sperare   che  almeno  equivalga   a   dovere compiuto — pensano che non ispetti a costoro nessuna particella  di gloria,   anche. a costoro vada la nostra  pietà  memore  e sia pace anche ad essi nel

seno della Patria !

La lista ch'è sul monumento comprende dunque soli ventiquattro nomi e vi si vedono principalmente affiorare i cognomi senza storia dell'umile gente.

Son contadini i più, anzi quasi tutti, di quella buona adusta razza dei contadini di Calabria che quando la Patria disse loro:

Lascia il bue grasso tra le canne, lascia
II torel fulvo a mezzo solco, lascia
Ne l'inclinata quercia il cuneo, lascia

La sposa a l'ara, balzarono pronti, e taciturni e risoluti s'avviarono e co] fucile o l'efficace come il gladio baionetta all'assalto o nel lancio della bomba il gesto ripetendo del seminatore o manovrando la mitragliatrice con l'impassibilità medesima onde già reggevan l'aratro, difesero la cerchia de l'Alpi o la fiumana sacra come fatto avrebbero della soglia di casa. Per istinto sapevano che era la stessa cosa.

Le  altre  classi, operai artigianato borghesia, vi hanno dei loro.

Artigiano il Parise, di quella destra arte del legno che ha localmente artieri anzi maestri per forza d'ingegno creatori; e usciva da buona scuola; in quale dolina sotto la mitraglia rimasto o in quale assalto caduto e perduto che più non se ne seppe novella ?

Con Achille Notti e il muratore Benincasa, è tra le vittime  oscure  della battaglia, i non potuti raccogliere, quelli che il  Comitato catalogò dispersi in combattimento.

La borghesia della nostra Calabria, a nessun altra seconda nel fornire all'esercito, di carriera od improvvisati, i meravigliosi ufficiali guida ed esempio, molta indolenza e molti difetti ha saputo così riscattare e mostrar ch'eran crosta non fondo ed ora anch'essa seriamente, negli uffici nelle professioni nelle industrie nei campi, assai più che prima lavora. Un borghese, un valoroso ufficiale di carriera, il primo ad eroicamente cadere in uno dei primis-simi assalti, apre la lista di Grimaldi; un borghese, l'ultimo a morire dopo il più lungo patire, la chiude.

I nomi, nell' ordine in che vi si seguono, ma, buon Gesù che fosti per noi crocifisso ed anche a Te i giudei una scritta appiccarono, per le scritte rinviando alla fotografia del monumento ove posson leggersi assieme al grado e alla data di morte, sono:

1.      Anselmo Emilio fu Giovambattista.

2.      Naccarato Pietro fu Francesco.

3.      Saccomanno Giuseppe di Giovanni.

4.      Bruno Bossio Antonio Maria fu Pietro.

5.      Fiorino Antonio di Salvatore.

6.      Fiorino Luigi fu Pasquale.

7.      Filice Pasquale di Giovanni.

8.      Filippelli Pasquale di Vincenzo.

9.      Bruno Giuseppe di Angelo.

10.    Albo Vincenzo fu Antonio.

11.    Fiorino Pietro fu Pasquale.

12.    Bruno Luigi di Antonio Maria.

13. Notarianni Francesco di Giuseppe. 

14. Parise Francesco fu Giovanni.

15. Notti Achille di Fortunato.

16. Benincasà Giuseppe fu Giovanni.      

17. Pietramala Raffaele di Vincenzo.

18. Fata Pietro fu Rosario.

19. Ferraro Flavio Ottavio di Antonio.

20. Rollo Raffaele fu Antonio.

21. Bruno Bossio Pasquale di Geniale.

22. Bruno Michele di Angelo.

23. Vercillo Giuseppe di Pasquale.

24. Amantea Rosario1 di Giuseppe.

 

Il Monumento ne eterna la gloria.

A più particolareggiato ricordo di ciascuno replicatamente proposi la redazione di un Albo d' oro. Non se ne fece nulla.

Ma, . a  glorificare   anch'io   come posso i nostri ventiquattro eroi, tutti eguali nel sacrificio, scelgo tra essi l'ultimo in ordine di lista e di morte. E' mio fratello Rosario.

Di lui posseggo certa e diretta e a perpetua memoria posso offrire la prova dell' alto senso di italianità e dell'animo guerriero e del coraggio indomito e della volontà di sacrificarsi:

Conservo la sua corrispondenza dal campo. E voglio offrirla in umile florilegio alla Patria grande, la cara e santa Italia; poi, con legittimo orgoglio e perché se ne esaltino anch'essi, ai miei concittadini della Patria piccola, Grimaldi.

 

Da Inaugurandosi il monumento ai caduti grimaldesi

di Filippo Amantea Mannelli

Cosenza Tipi de "Giornale di Calabria" 1927

 cfr  monumento ai caduti  

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