Storie di emigranti:
Un dirigente con la passione del calcio
Ho male al cuore pensando al posto lasciato. Gli occhi di Antonio Foresta diventano improvvisamente lucidi nel momento in cui inizia il suo racconto.
E’ difficile la vita da emigrante E' dura con quei pensieri "che bucano il cervello". con il tempo che scivola inesorabile, tra le pieghe di giornate che non bastano a guadagnare da vivere. E’ affamata l'emigrazione. E’ smarrita, si nasconde nelle povere case. Cerca di sfuggire dalle dispense vuote. Dalla diffidenza, dal pregiudizio. dalle equazioni frettolose che avvicinano tutti gli italiani alla "mano nera", la mafia del Nord America. Ci sono i selfmade man, fra gli italiani. quelli che riescono a non far appassire l'ingegno. Ma c'è anche un’emigrazione minore, silenziosa, piena di coraggio.
Antonio parti il 13 giugno 1963. a ventidue anni, il giorno del suo onomastico. Prese l'aereo a Roma. "Avevo ventidue anni. Appena finito il militare, presi la decisione di andare in America. L'incertezza e la paura dell'ignoto era tanta: "Ma dove andrò a finire?", mi chiedevo. Sentivo parlare di queste parti lontane dove non c'era niente di bello. Ma una volta arrivato dovetti ricredermi. Mi sono trovato subito bene. Rispetto ai miei compaesani partiti anni prima fui più fortunato. Con l'aereo il viaggio era più facile. veloce. Arrivai a Toronto dopo nove ore. Ad aspettarmi c'era mio fratello Ercole partito quattro anni prima di me. Mio fratello, a differenza di me, era un uomo Indipendente. Prima fece l'assicuratore, poi aprì una gelateria. Fu uno dei primi a fare i gelati italiani. Purtroppo però un cancro lo ha stroncato a 51 anni. Una famiglia sfortunata la sua. Perse prima un figlio in un incidente stradale. poi la moglie e un altro figlio. Sono rimasti ora tre nipoti". Scuote la testa Antonio e il racconto per un attimo si ferma, poi prosegue. "Non sono rimasto a Toronto. però. mi sono trasferito e stabilito definitivamente a Oshawa. Grazie all'aiuto di mio fratello e al fatto che giocavo a pallone. mi sono subito ambientato. Facevo il portiere della squadra del Grimaldi. Così quando sono venuto in Canada tutti ml cercavano. Ho conosciuto tanti amici del nord e del centro. Entrai così a far parte dell'unica squadra italiana di calcio. la "Oshawa Italia" che vinse due Ontario cup, e nel '65 la Esten Canadian championship. Nessuno finora ha raggiunto questo traguardo". Ma il calcio certo non poteva bastare per vivere dignitosamente.
Appena arrivato Antonio si da subito da fare. Obiettivo imprenscindibile il lavoro.
"Ho iniziato da subito a lavorare. Ho fatto tanti mestieri. Lavoravo mezza giornata in una ditta che costruiva automobili. Poi giocando a pallone ho conosciuto qualcuno che mi ha offerto un altro lavoro come tappezziere. Nell'agosto del '63 ho iniziato a fare divani, sedie. poltrone. La ditta si chiamava Sklar. Iniziammo a lavorare in un sottoscala, poi con il passare degli anni si espanse fino a diventare un mobilificio, ad esso erano collegate altre otto aziende. Era gestita da una famiglia di ebrei. Alla morte del padre i figli non hanno voluto continuare l'attività così l'hanno venduta. Dopo quattro anni mi venne offerto il compito di dirigere l'azienda. avevo quindici dipendenti. Dopo quindici anni arrivai a dirigere 300 persone. L'obiettivo era quello di arrivare a 500 pezzi al giorno. Poi nel 1988 ho raggiunto i punti necessari e sono andato in pensione. Guadagnavo, avevo un lavoro. alla fine della settimana ti davano i soldi e ti dicevano che avevi lavorato bene. Io ho la quinta elementare. Sono stato uno dei pochi emigrati ad arrivare a dirigere un'azienda di trecento persone. Io non so scrivere in inglese, e non me ne vergogno, so solo leggerlo. e dovevo scrivere una lettera al padrone andavo dalla segretaria. Quando mi assunse misi le cose in chiaro dall'inizio, così glielo dissi "io non so scrivere inglese". "Tu non ti preoccupare a me basta - mi disse il titolare della fabbrica - io ti voglio per fare quello che tu sai fare. per scrivere c'è la segretaria. Per ogni cosa di cui hai bisogno vai da lei e te la fai fare".
Ma Antonio in America non ha avuto solo l'opportunità di lavorare e svolgere l'attività che ha sempre desiderato fare con grandi soddisfazioni, ha conosciuto anche l'amore. "Dove lavoravo nei primi cinque anni di vita a Oshawa. ho conosciuto una ragazza. Maddalena. Era originaria di Messina, emigrata prima In Francia. Dopo undici anni uno zio che abitava ad Oshawa le propose di venire in America perché le aveva trovato un buon lavoro. Fu assunta nella mia stessa azienda. Appena l'ho vista mi sono subito innamorato. Dopo sei mesi l'ho sposata. E’ stato un po’ duro all'inizio conquistarla. Molti ci misero i bastoni fra le ruote. Feci in modo di accompagnarla dal lavoro a casa tutte le sere. iniziammo così a conoscerci meglio, a parlare. raccontarci le nostre esperienze. i nostri sogni. Dopo due mesi ci siamo fidanzati e poi sposati. Abbiamo avuto un figlio maschio che si chiama Pino e una femmina. Elvira, hanno lo stesso nome di mia mamma e mio papà. Mia figlia lavora in una scuola. mio figlio nella stessa compagnia di mia moglie".
Antonio intanto si integra sempre più nella cittadina, si fa tanti amici. "Non è stato per me duro il Canada. Il momento più difficile fu due anni fa quando mia madre morì. Le ero molto affezionato". A questo punto il suo racconto si interrompe un momento. la commozione ha il sopravvento, la voce è quasi rotta dal pianto. "Non sono riuscito a salutarla per l'ultima volta. Mi trovavo in Messico. ad Acapulco, quando ricevetti la notizia, il 22 marzo mia figlia mi telefonò: "La nonna non c'è più", disse. Mi crollò il mondo addosso. Avevamo parlato una settimana prima al telefono. le avevo annunciato il mio arrivo a giugno, ma non siamo più riusciti a vederci".
Ma il legame di Antonio per Grimaldi, nonostante abbia raggiunto il benessere economico e si sia integrato perfettamente in Canada. non si mai spezzato. In lui ciò da sempre il desiderio di tornare definitivamente.
"Non appena però i miei figli e mia moglie che, lavora, da 25 anni, in un'azienda che produce sedili per auto, raggiungerà i punti necessari per la pensione pensiamo sinceramente di tornare qui. Abbiamo aggiustato la casa l'anno scorso. Grimaldi è la mia vita. quando metto piede sull'aereo il mio corpo non ha più dolori. mi vengono i brividi anche solo a parlarne". Mentre lo dice Antonio si accarezza il braccio. l'emozione si ripete. "Poi devi lasciare e tornare di nuovo in Canada e il cuore ti si spezza ogni volta. Ma la decisione ò presa ormai e non vedo l'ora". Gli occhi azzurri di Antonio si illuminano e si caricane di speranza.
L'agognato ritorno al suo paese tanto amato non è stato mai così vicino.
Da "la Provincia" 14-08-2002 di Claudia Vaccaro