Piazza Giuseppe Amantea ieri e oggi
Ricordi degli anni '50- '60
Piazza Giuseppe Amantea è situata nel centro storico di Grimaldi. Chi vi accede dall'inizio di corso Umberto, trova davanti a sé la facciata nord della chiesa Madre con il campanile, alla cui base è posto il monumento ai caduti della prima guerra mondiale.
Oltre che da corso Umberto vi si può giungere dalle vie Bruno Amantea, Fontanella e Samuele Anselmo.
Essa porta il nome di un illustre grimaldese, nato il 24 marzo 1885, Giuseppe Amantea, che fu professore di fisiologia nell'Università di Messina, dal 1925 al 1930, mentre dal 1930 al 1949 fu professore ordinario di chimica all'Università di Roma e, dal 1949, di fisiologia umana presso la stessa università.
Fu autore di numerose pubblicazioni scientifiche, maestro di valorosi allievi, docente di varie discipline biologiche nelle università italiane.
Inoltre fu socio dell'Accademia Nazionale dei XL, dal 1958, e scopri l'epilessia sperimentale riflessa, fenomeno che porta il suo nome, epilessia di Amantea.
Oggi la piazza è diventata un luogo di parcheggio per le macchine dei grimaldesi che abitano nella zona, è frequentata solo dai cittadini che intorno ad essa e nei pressi hanno la loro abitazione, la solitudine e la monotonia sono rotte soltanto da coloro che si recano presso lo studio medico della dottoressa Iachetta, dalle persone che vanno in chiesa e dai soci del Circolo di Riunione, fondato nel 1884.
La vecchia pavimentazione a selciato è stata sostituita dal porfido, la fontanella in ghisa non c'è più.
La piazza non vive più il fervore di un tempo quando, fino ad alcuni decenni fa, era ancora il cuore del paese.
In piazza ci si dava appuntamento, gli amici vi facevano crocchio, persino vi si passeggiava. Un noto detto paesano dice: "No tutti ponnu avire a casa ara chiazza!", questo a significare che non si può avere tutto ciò che si vuole e, nel contempo, a indicare la piazza come luogo privilegiato, centrale, rispetto agli altri del paese.
"Vaju ara chizza" dicevano i ragazzi afle mamme, gli uomini alle loro donne.
Su di essa si affacciavano il vecchio palazzo del municipio, ora sede del suddetto Circolo di Riunione, la caserma dei Carabinieri, botteghe di vario genere. I nostri genitori ricordano: "Marianu", "Zu' Pasquale Gagliardi con la moglie", "Za' Maria Giuseppa", "Guerino", "Za' Tiresina", "Silvio Pucci", i tessuti e le stoffe di "Za' Ortenzia", il tabacchino con l'edicola di "Zu' Pasqualino Fiorinu", l'oreficeria, con l'annesso laboratorio orafo, di don Raffaele Tartaro.
In piazza abili artigiani svolgevano la loro attività quotidiana: "Mastro Ernesto Pettinato" vi esercitava il mestiere di barbiere, "Mastro Terenzio De Cicco" faceva l'orologiaio, "Mastro Amedeo Iacoe" il sarto, Sostituito, poi, da "Mastro Ernesto Barone e discepoli", "Mastro Bruno Berardelli" il calzolaio. In piazza c'era anche l'ufficio della "Società elettrica Iachetta e Marinaro" (addetta alla produzione e all'erogazione dell'energia elettrica nel paese e nelle zone vicine), ed anche la sede della Democrazia Cristiana.
I contadini, dalle campagne vicine, quando l'emigrazione non le aveva ancora spopolate, venivano a vendere in piazza la frutta, la verdura, le primizie di stagione, le uova fresche, i polli ruspanti.
I nostri genitori non possono dimenticare i "mazzetti di ciliegie", i 'fiscini", i canestri e i cesti stracolmi di frutta varia, in particolare fichi, uva, arance, fichi d'india, questi ultimi venivano sbucciati e mangiati sul luogo e, a volte, si gareggiava a chi ne mangiava di più.
Le bilance per la vendita pubblica stazionavano sul posto. Le donne della vicina Conflenti, in provincia di Catanzaro, avvolte nei loro caratteristici costumi (" 'e Cujjentare") offrivano "mostaccioli" (tipici dolci calabresi fatti con ingredienti genuini quali, farina e miele) dalle forme più fantasiose: grappoli, pie scetti, canestrelli, culluriell4 taraffi rustici o zuccherati e "'nginetti" che facevano venire l'acquolina in bocca ai bambini di allora, che non sempre disponevano di spiccioli per comprare, perché fino agli anni '60 si è vissuto in stretta economia e si comprava soltanto il necessario e i più guardavano con molto desiderio quei dolcetti.
Le voci dei contadini, delle "Cujjentare", si mescolavano a quelle dei pescivendoli che, da Amantea, con muli, venivano a vendere, in un nuvolo di mosche e vespe, le alici e le sardine; allora il pesce azzurro era il più conosciuto e consumato.
Da tutto ciò si può capire come la piazza vivesse una vita che adesso non esiste più ma che resta viva, impressa, nella memoria di quanti hanno vissuto quei momenti e quelle abitudini.
Ora il municipio, la caserma, il tabacchino, sono siti in zone del paese più accessibili e nuove.
Vanno, per lo più, scomparendo i mestieri artigianali, vanto di numerosi grimaldesi, le piccole botteghe di generi alimentari sono sostituite da moderni supermercati.
I contadini, le donnette e i pescivendoli non offrono più i loro prodotti, ma un mercato settimanale che si tiene il sabato soddisfa le esigenze di acquisto dei grimaldesi.
Piazza Giuseppe Amantea viveva momenti di allegria, di entusiasmo, di vera comunione paesana e di "gloria", se così possiamo dire, durante la settimana che precedeva la festa della "Madonna di Maggio", la più importante delle feste religiose che si celebra tuttora, ma con minore enfasi, la terza domenica del mese di maggio.
Allora si preparava nella piazza un palco di legno colorato che, specialmente nelle sere della vigilia della festa, veniva tutto illuminato e in esso si riunivano bande musicali anche famose, come quella, per esempio, di Acquaviva delle Fonti, venuta appositamente per l occasione a rallegrare e intrattenere i grimaldesi con le arie più famose dell'opera lirica.
La piazza, tutta risplendente di luci, si popolava di gente fino a tarda notte: diversi i giochi popolari, c'era pure la pesca, c'erano le bancarelle di giocattoli, di torroni e di zucchero filato, per la gioia dei bambini, finalmente!
In quei giorni, in onore della Madonna, ognuno aveva il suo giocattolo (al massimo costava cento lire) e il suo zuccherino.
In occasione della festa, venivano pure i cantastorie e i "lettori della fortuna", che facevano estrarre la sorte, scritta su bigliettini colorati, a pappagallini variopinti. Immensa la gioia delle ragazze quando leggevano che un principe azzurro era prossimo per loro.
Le nostre mamme, i nostri papà, ricordano con nostalgia quelle tiepide, festose sere di maggio, preludio dell'estate imminente, a cui molti ricordi della loro fanciullezza e adolescenza sono legati.
In piazza arrivavano accattoni, raccoglitori di capelli che, in cambio di trecce e di code di cavallo, le tipiche acconciature delle ragazze di allora, sacrificate alla moda del momento che voleva i capelli corti, regalavano oggetti vari; venditori ambulanti, imbroglioni, gente che estorceva alle donnette, ignare, oggetti d'arte e di valore, quali mortai e bracieri in ottone, cassapanche di legno intarsiato, lumi ad olio o petrolio, barattati con secchi, bacinelle, oggetti vari, orribili bambole in plastica.
Molta gente, alla fine degli anni '50, aveva la mania di disfarsi del "vecchio" che ricordava la miseria, in nome della "modernità"; la plastica ben la rappresentava!
Ancora in piazza si tenevano, in occasione delle elezioni politiche e amministrative, infuocati comizi, allora, gli amici delle passeggiate di tutti i giorni, delle partite al bar o in osteria, dimentichi, si guardavano in cagnesco per l'intera durata della campagna elettorale, in nome di questo o quel partito.
Altri tempi, altra vita!
Ora tutto questo non è più. Il paese è cambiato, molti suoi "personaggi" caratteristici non sono più, il progresso ha stravolto ogni cosa e modi di vivere.
Ma, passando dalla vecchia piazza, ogni ricordo affiora alla memoria, molti volti sembrano ancora guardarti...
Ognuno al proprio posto, sembra riudire le voci del passato che vi hanno echeggiato.
E' il cuore antico del paese che torna a pulsare più forte che mai, come a chiedere aiuto, per tornare a vivere, per non morire.
Segni della storia in piazza Giuseppe Amantea
Nella nostra piazza, come ho già ricordato, si può ammirare il solenne monumento ai Caduti della prima guerra mondiale 1915-1918, posto alla base del campanile della chiesa Madre. La tragicità e l'orrore della guerra sono magistralmente espressi dalla scultura in bronzo, su calco in creta, realizzata negli anni '20, dal prestigioso artista Duilio Cambellotti, romano (10 maggio 4876 - 31 gennaio 1960). Questi, oltre che scultore, fu pittore, incisore, illustratore, scenografo, costumista e decoratore. Nella sua scultura, come possiamo direttamente notare, c'è una proposta di serenità, un istintivo richiamo alla bellezza, al sentimento, alle emozioni occasionali, una tematica fondata su una semplicità viva e cordiale che fa parte integrante dell'avanzata ideologia sociale dell'artista, che collocò al centro dell'universo sociale.
L'Uomo e il suo Lavoro e che si manifesta, soprattutto, nella mancanza di abbellimenti e nella tendenza al bassorilievo.
In tutte le sue realizzazioni artistiche si riscontra rigore tecnico, padronanza di mestiere, un linguaggio nuovo che lo individua tra i più autorevoli artisti capaci di trasmettere a chi contempla le sue opere, il gusto dell'arte e l'abitudine alle più alte manifestazioni di forma e di pensiero.
Forse pochi grimaldesi sanno che siamo fruitori di un'opera preziosa ed irripetibile di un grande artista italiano dalla poliedrica capacità creativa.
Anche i caduti di Terracina e di Fiuggi sono stati immortalati dall'arte di Cambellotti.
Nel monumento ai nostri caduti sono rappresentati due soldati rannicchiati, con l'elmo in testa, uno ha un pugnale nella mano destra, gli scudi sollevati, quasi a protezione-difesa dell'Italia, che sta in mezzo a loro e separa le loro teste, nelle sembianze di un volto solenne di donna.
Sulla lastra, in pietra dura di Puglia, su cui poggiano i due bronzi, sono incisi i nomi e la data di morte dei caduti, così suddivisi:
Caduti sul campo:
Capitano Anselmo Emilio fu Giovan Battista 27 luglio 1915
Soldato Naccarato Pietro fu Francesco 9 agosto 1916
Soldato Saccomanno Giuseppe di Giovanni 17 maggio 1917
Soldato Bruno Bossio A. Maria fu Pietro 29 maggio 1917
Caporale Fiorino Antonio di Salvatore Il giugno 1917
Soldato Fiorino Luigi fu Pasquale 24 dicembre 1917
Soldato Filice Pasquale di Giovanni 9 gennaio 1918
Soldato Filippelli Pasquale di Vincenzo 23 marzo 1918
Soldato Bruno Giuseppe di Angelo 14 settembre 1918
Soldato Albo Vincenzo fu Antonio 4 ottobre 1918
Dispersi in combattimento:
Soldato Fiorino Pietro fu Pasquale 7 dicembre 1915
Soldato Bruno Luigi di Antonio Maria 2 luglio 1916
Soldato Notarianni Francesco di Giuseppe 20maggio 1917
Soldato Parisio Francesco fu Giovanni 6 giugno 1917
Soldato Notti Achille di Fortunato 1 novembre 1917
Soldato Benincasa Giuseppe fu Giovanni 10 dicembre 1918
Morti in prigionia:
Soldato Pietramala Raffaele di Vincenzo 9 agosto 1917
Soldato Fata Pietro fu Rosario 2 novembre 1918
Sergente Ferraro Flavio di Pietro Antonio 10 novembre 1918
Morti per malattia contratta al fronte:
Soldato Rollo Raffaele fu Antonio
Soldato Bruno Bossio Pasquale di Geniale
Soldato Bruno Michele di Angelo
Soldato Vercillo Giuseppe di Pasquale
Brigagliere di Finanza Amantea Rosario di Giuseppe
L'epigrafe che sovrasta il monumento, incisa sulla facciata nord del campanile della chiesa Madre, è stata scritta dall'avvocato, dottor Filippo Amantea Mannelli, nostro concittadino e uomo di grande cultura.
1915/1918
MCMXV-MCMXVIII |
Alla base del monumento, a protezione dello stesso, c'era fino alla seconda guerra mondiale, una recinzione in ferro battuto, di pregevole fattura, eseguita dai fratelli Pasquale e Antonio Fiorino abili artigiani del luogo, poi rimossa, in conseguenza della raccolta dell'oro e del ferro per la Patria, ad opera del governo fascista.
Si auspica, per l'avvenire, maggiore attenzione e cura per il monumento, di quanto non ne abbia goduta fino ad oggi, perché, a parte il fatto che è stato realizzato da un artista geniale, ricorda a tutti noi il sacrificio di quanti hanno combattuto per la patria, contribuendo, così, alla realizzazione, nella nostra soci età, dei valori di libertà e democrazia, ai quali deve essere improntata la vita e l'azione di ogni singolo cittadino.
La facciata nord del campanile della chiesa Madre porta incisa un'altra epigrafe, in lingua latina, in cui si legge della costruzione dello stesso in cemento armato, ad opera dell'architetto Vincenzo Del Vecchio, quando era parroco Don Michele Anselmo. D.O.M. A Dio Ottimo e Massimo
D.O.M. |
L'orologio della Chiesa ha segnato le ore fino a pochi anni fa, quando un fulmine, abbattendosi sul campanile, lo ha fatto tacere, rendendo lo stesso pericolante a tutt'oggi.
La facciata principale del vecchio palazzo municipale ricorda invece, le elevate doti umane, civili e professionali di tre grandi medici grimaldesi, dottori Antonio Silvagni, Ernesto Giardino, Giovanni Iachetta, che, nel paese, si prodigarono nella lotta contro le malattie a sollievo fisico, morale e materiale di quanti ricorrevano a loro. Tre epigrafi, incise su lastre di marmo, ci ricordano la loro personalità e la loro opera:
Scienza, virtù, abnegazione |
Breve ma radiosa |
Dottor Giovanni Iachetta |
Infine, l'immagine della Vergine Immacolata, calpestante il maligno, in una nuvola, con la corona in testa, veste celestina, mantello azzurro stellato, testimonia la grande devozione dei grimaldesi verso la Madre del Signore.La figura a modello della statua che si venera nella Chiesa della Concezione, viene fuori da un insieme di maioliche colorate, poste sul muro di una casa che fa angolo con Corso Umberto, rinchiuso da una cornice eseguita dal maestro Luigi Funari.
L'opera è stata realizzata in occasione dei festeggiamenti per il primo centenario del Dogma, nell'anno 1954, come, per l'appunto, vi si può leggere.
ALLA LORO CELESTE PADRONA |
Si ringrazia, per la preziosa collaborazione,
la dottoressa Elvira Razzano Nigro,
Dirigente Scolastico