PRESENTAZIONE
Don Franco Vercillo è nato a Grimaldi (Cosenza). Ha frequentato gli studi ginnasiali e liceali (filosofia e teologia) presso il pontifico seminario di Catanzaro. Al termine degli studi è stato ordinato sacerdote. Parroco di San Giovanni in Fiore, Santo Stefano di Rogliano, Figline, Cellara, Piane Crati, dove ha esercitato il suo ministero sacerdotale con zelo, alto senso di responsabilità, competenza e con molta umiltà da attirarsi l'amicizia e la simpatia di quelle cittadinanze.
PREFAZIONE
Carissimi concittadini' ho creduto opportuno andare alla ricerca di nuove notizie per arricchire di documenti la seconda edizione della pubblicazione "Grimaldi, riti e tradizioni, brevi cenni storici del paese".
Ho potuto far ciò anche perché preziosa è stata la collaborazione della Famiglia Amantea che ha messo a disposizione il manoscritto gelosamente custodito nella libreria di famiglia. Vada ai componenti la famiglia Amantea il ringraziamento mio e di tutti i grimaldesi. Altra collaborazione mi è venuta dall'amico Matteo Saccomanno che ha studiato l'intero volume e ha apportato nuove e preziose notizie su Grinaldi.
Devo precisare che, in questo secondo volume, ho rispettato il manoscritto sia per la trattazione degli argomenti in latino e sia di quelli in altra lingua. Non potevo, e non dovevo, apportare delle modifiche perché avrei travisato importanti documenti del passato. Ringrazio quanti hanno collaborato perché si coprissero le spese. Per me, la seconda pubblicazione è per integrare la prima, lungi da me il tentativo di trarre lucro.
Premi per vedere Pergamena
A chi legge
Sappia Cortese lettore, che essendomi caduto sotto gli occhi un manoscritto intitolato: Descrizione della Baviglia di Grimaldo, mi posi a leggerlo con tutto il desio come che conteneva la origine della nostra Patria; ma leggendolo mi avvidi avesse in qualche parte viziato, per errore forse de’ Copisti, in altro troppo succinti, onde determinai per quanto posso di riformarlo, con correggere gli errori, ed aggiungere esattamente buona parte della memoria che cito; ed ampliare insieme qualche racconto.
Mi protesto che niente scrivo fuori di quello che ritrovo e sugli autori, o manoscritti, o ne’ protocolli, acciò chi legge, e non ha la facoltà di amare i monumenti autentici, stia certo di non essere ingannato. Divido io questa qualunque sia narrazione in due parti.
La prima sarà una copia del cennato manoscritto, che mi cadde sotto gli occhi, senza variare neppure una parola.
Nella seconda poi si trovano le correzioni, le aggiunte, e le ampliazioni.
E per procedere con chiarezza distribuirò questa seconda parte in quattro capi principali.
Nel primo si tratterà di Grimaldo, cioè della sua origine insino al Re Roberto.
Nel secondo dal tempo del Re Roberto sino alla rovina di Grimaldo per il trenuoto.
Negli ultimi sino al tempo in cui scrisse l’Autore del manoscritto.
In appresso ogni capo lo dividerò in tanti paragrafi, quanti bisognano per illustrare quel fatto di cui parlasi nel anzidetto manoscritto, quasi siano altrettante note sul sesto.
Aggiungerò poi altri capi pertinenti allo spirituale governo delle anime, e dichiarerò alcune particolarità sulla Parrocchia Monastero di S. Maria de li Martiri e della Confraternita del SS. Sacramento e Concezione di Maria Vergine.
L’Autore poi del manoscritto è stato il Regio Notar Giovani Iacoe, che lo compilò nell’anno 1651. Si merita credito nei fatti che racconta per più ragioni. Si perché ha letto alcuni manoscritti sui fatti i più antichi che racconta, ed ha letto alcuni processi adesso non esistenti, vide li ruinati edifizi delli Casalotti allora più sensibili; e finalmente in riguardo ad altre cose è testimonio coevo o quasi coevo perché o li vidde con i propri occhi, o le intese da persone che le viddero, a vi furono proposti: così poté intendere dal suo padre o avo le cose ammontante dal 1400 in avanti.
Io non mi dilungo nei fatti particolari che racconta perché nella sostanza le suppongo veri; ne importa discutere alcune cose minute se siano accadute così come egli le racconta perché il mio intento è solo trasmettere a posteri le autentiche memorie delle prerogative della nostra Patria.
PARTE I
Per dar principio di qual paese ebbe Girmaldo l’origine, son per dire che Pandosia, antica repubblica, che per sé si reggeva, e zeccava sua moneta, senza segnarla, perché essendo essa notissima non faceva di mestiere andarlo manifestando. Così come si ritrova nel libro intitolato: "Il Trionfo" di D. Paolo Gualtieri. Fu più, e più volte assediato, ed ultimamente, dopo lunga difesa, fu sfatta e distrutta da Odoacre di nazione Rosso Re di Nanchè, già abitato ove ora è la Valachia, di là del Danubio nel 471, a tempo che passò in Italia con gente innumerabile, e se ne fece padrone di tutta ed ultimamente da Saraceni, nell’anno 845, che cacciarono gli altri che dominavano detta Italia, si disfecero li nuovi edifici, che li Pandosini incominciati avevano, per il che furono costretti a disperdersi nel suo spaziosissimo territorio, che sarebbe lungamente a confinarsi, estendendosi dai confini di Rende insino a territorio di Martirano, nel quale erano folti e densi boschi di querce, castagne ed altri infruttiferi arbori, e per buon tempo così errabundi senza fondarsi edifici se ne stettero insino a tanto che radunatisi alcuni, incominciarono un picciol Casalicchio nel luogo che adesso nominasi Santa Caterina; che poté essere conforme da istoria manoscritta pur la riconoscarsi circa l’anno 872; fra gli abitanti de’ quali vi furono le due famiglie, che ancor regnano, che sono li signori Sacchetti e Silvagni, oltre le altre, che per brevità tralasciansi, e le altre che già son perse di memoria, con l’edificazione della Chiesa detta Santa Caterina.
Reliquie di quelli edifici insino al presente tempo si vanno vendendo. Ed altri accampatisi altrove si adoprarono a far, conforme fecero, un più grande pago e lo nominarono Casal di San Pietro; adesso distrutto chiamasi Timpone di San Pietro, possesso per la Parrocchiale Chiesa di questo luogo, e delle scritture pure antiche vedesi, che le famiglie edificatrici furono quelle delli Jacoi, delli Potestii, di Calderoni, e di altre che per brevità tralasciansi.
Nel qual Casale si edificò Chiesa intitolata San Pietro, della quale sono al presente le mura; e da tutti li vecchi comunemente si dice, che la campanella che adesso si trova nel coro della Parrocchiale, era quella proprio, che si fece nel coro di detta antica chiesa di San Pietro, dove si ritrovò da alcuni massari arando, che furono accusati di aver ritrovato un tesoro.
2. Altri che più discostati si ritrovano, alla novella delle predette fundazioni si inanimarono ad edificare pure altro pago, che nominossi Santo Nicolò, dagli abitanti del quale trassero origine le famiglie delli Maliti, dei Filippi, dei Rogliani, dei Mauri ed altri che per non aver la taccia di troppo prolisso tralascio.
Le reliquie dei quali edifici pure si van cedendo nel presente tempo.
Né furon pigri gli altri che avevan posto li lor padiglioni non molti lungi dalli nominati di sopra, anzi con ogni sollecitezza si adoprarono a fabbricar l’altra loro abitazione, che nomorno Santo Stefano ad onore del quale fondarono una chiesa, che adesso, perché era per antichità distrutta, si riedificò in onore della Santissima Concezione per Congregazione, e conforme è al presente; dai quali abitatori è al presente la famiglia dei Rolli, dei Rossi, di Cari, Anselmi ed altri, che da persone antiche si van dicendo per tradizione dei loro antecessori.
L’entrate di detta chiesa di Santo Stefano ben si sa essere state applicate da Visitatori Apostolici a più tempo fa al Seminario di Cosenza, che annuatim la esige; e le altre dalle altre chiese, e principalmente quelle di San Pietro, e San Nicolò, e dagli altri detti di sopra si esigono dalli Rettori Curati esistenti.
3. Né manco solleciti furono gli altri, che dentro il territorio si trovarono a fare il loro domicilio, che si edificò nel Timpone, che adesso chiamasi della Santissima Trinità, conforme pure vedasi da sue reliquie di edifici, e da vecchi si racconta: né si è potuto ritrovare, né per tradizione intendere qual famiglia ne sia viva di tali albergati. E perché altri in numero maggiore si ritrovarono nel pubblico luogo di Terra di Rocca pure usorno la loro possibile diligenza in fabbricare con prestezza il loro abitato, che nomossi San Stasi volgarmente; e in tal nome si edificò la chiesa, e benché alquanto disfatta sia, pure insino al presente si vede, e da tal luogo poi salirono in nuovo Grimaldo e gli abitatori di quello erano le famiglie di Maio, Caria ed altre finite, e che sono al presente.
Quel numero di Casali chiaramente si vede descritto nel processo, che si pigliò, iuris ordine servato, a tempo sotto pretesto delle continue guerre, e distruzioni che allora per la incertezza delli domini de’ dominanti si andava facendo or da questa, or da quella fazione.
4. Ed essendo stati così disuniti e dispersi per dentro il territorio predetto ( giacché altri, che dimorarno nelle prospique possessioni di detta Pandosia antica, di mendicità, cioè di raccogliere li buoni cittadini, or questo da questo, or quell’altro da quell’altro luogo si forzarono a far detto Casale, che si nominò Mendicino, che insin al presente così chiamasi ) allo spesso e quasi sempre venivan disfatti, depredati e saccheggiati da malandrini, che andavano in molta moltitudine, fanno simil scelerità or questo or quell’altro Casale; e con tutto che si difendessero e facessero staggi crudeli delli loro inquietitori; ad ogni pure sempre venivano predati, e con tutto ciò fermi nelle loro proprie abitazioni.
Ma poi circa l’anno del Signore 1034 cresciuti in buon numero li malandrini più che prima li tormentavano, ed ultimamente oltre li frutti che loro facevano osorno disfacciatatamente pigliarsi una bella donna nominata Caterina, e perché era bella, chiamavasi la "Bella" ed era della famiglia dei Saccomanni, abitante nel Casale di Santa Caterina; e negli Casali commettevano altre enormità.
Per il che alcuni buoni cittadini zelanti desiderosi della pubblica quiete dei loro Casali andarono Casale per Casale proponendo a cittadini che in giorno assegnato, che per essere stato il dì primo di Aprile giorno di festa, si radunassero nella pubblica piazza detta di Varuagnano, sita nel Casale di Santa Caterina che era comune a tutti per doversi pigliar lo espediente necessario a simili inconvenienti; laonde in tal destinato giorno tutti congregati nel riferito luogo, dopo li loro lunghi proposti discorsi, si concluse, che tutti gli alitanti dei Casali mentovati si radunassero in un dei luoghi predetti.
Ma pure vi fu contraddizione, con dirsi, che non era bene l’un godere il suo e l’altro perderlo, per il che fu risposto con ogni convenienza, che non si andasse ad abitare, né ad un luogo, né nell’altro, ma si eligessero sei persone le principali di detti Casali, che andassero scorrendo per dentro il loro predetto territorio, per eliggere qualche luogo, che a lor paresse facile a potersi chiudere e difficile ad abbattersi, il che fu puntualmente seguito, mentre quelli avendo per più giorni scorso or qua or la, all’ultimo andarono nel territorio chiamato Grimaldo, che era facilissimo a chiudersi, difficile ad abbattere e comodo a fabbricarsi, essendovi da tre parti chiusura naturale di pietre, che erano come sono le Costi di Vico, e la Timpa della Rupe, e la Timpa di Serralonga, li carigli, ed altri albori comodi per travi, ed altra legname necessaria; solo vi era la scomodità di acqua vicina, che si superava con cisterne ed altro artificiale.
Dentro lo bosco camminando incontrarono un canuto vecchio che a guisa di eremita se ne stava nel mezzo di quello, che inteso il parere di tali sei persone, si sforzò di sconsigliarli e scoraggiarli con ragioni, che a quelli non gradivano, e principalmente col dir loro, che se si faceva in tal luogo il Casale, benché sarebbe comodo, aveva ad esser bruciato con l’aspersione del sale sopra le case bruciate; dopo se si riedificava si aveva da li a poco tempo per terremoto disfare. Il che poco creduto da quelli, che l’intesero, andarono a riferire come tal luogo di Grimaldo era il più alto, comodo e forte, e che a loro piaceva sommamente.
Per la quale relazione tutti avidi, frettolosi e anelanti si adoprarono nella fabbrica del Casale, che finito che fu con ogni sollecitudine fu dalli suoi edificatori abitato, evitando con schifassi gl’inconvenienti che pativansi nei primi Casali, e stettero sotto il dominio delli Re di Napoli, che di tempo in tempo si facevano, insino al tanto; che il Serenissimo Re Ferdinando di Aragona ne fu natural padrone con la discendenza de suoi.
5. Nell’anno 1027, piacendo così al sommo Dio, siccome in altri luoghi, subentrò morbo molto contagioso, a danno di tetta Patria, per il che molti se ne givano errando per schifarlo nelle montagne, e principalmente in Santa Lucerna, dove trovarono un vecchio eremita, il quale domandò quali fossero i motivi di quell’esodo in massa, ed avendoli da essi saputo, soavemente rispose con quel verso: Contro guai che vuole il cielo non vi è riparo. Tornate nella sua Patria propria ed per stirpar la vigorosità della infermità narratami fate fare una immagine della gloriosa Vergine Maria sotto il titolo di Regina de Martiri, porgendole preghiere, e facciatele qualche dono, che così vi accerto che ne sarete fatti esenti. Il che inteso, senz’altra replica, o dimora si ridusse nel suo abitato a fare sentire il tutto all’universale che eseguito puntualmente quanto riferito li fu con far fare la statua di detta Signora Maria, che è la vera Madre di pietà e rifugio di chi a suoi piedi si piega subito fu liberata ed esentata da si grande pericolo.
6. Era finito il nuovo albergo di Grimaldo, e bel fortificato con le naturali fortezze di Rupe e grosse mura dove non venerano, e ben chiuso con tre porte, una detta della Valle, l’altra del Portello, e l’altra di Serralonga, credendosi li abitatori starsene con perpetua tranquillità, e pace, conforme se ne stettero per molti anni, di modo che li primi abitatori con ogni contentezza tenendosi ricreati nel loro bel ricetto, avendo lo vero tranquillo, latqua come desideranda, territori abbondantissimi, loco bel sicuro, ed ogni altra cosa dilettevole.
Ma il mondo, che non ci da il dolce, che ci diffonde lo amaro, appropinquandosi l’anno 1329 Roberto de Archis conte e senatore del contato di Martirano, fido e valoroso soldato del re Roberto padre della Serenissima Regina Giovanna d’Aragona, ottenne privilegio amoliante e dolatante il territorio del suo contato, nel quale venne compreso Grimaldo col suo tenimento, stante che gl’orpose essere piccola villa, per il che furono necessitati li Grimaldesi pigliarle solite ed antiche armi in difendersi dalla mala pretesa di pigliar quello il possesso e fra tanto s’inviò buon cittadino in Napoli dove il predetto re faceva residenza a rappresentar le efficaci ragioni universali, e se ne fece partibus auditis, lungo litigio, ed ultimamente se ne promulgò sentenza e Regal privilegi, nel 1314 non esser stata volontà del re soggiogar Grimaldo col suo tenimento e fortezza tunc esistenti nella Serra del Castello ( luogo adatto donato alla Chiesa e sua rettoria de Sambuci ) al dominio di tale De Archis; ma voleva che fussa stato nel suo perpetus demanis, come valersi del privilegio in carta pergamena magno cum sigillo.
E pigliato riposo con speranza di quiete, mantenendosi nelle sue ragioni, Odoriso de Archis figlio del già detto Roberto, credendosi poter con minacce ed assalti tener lo intento, cercò per forza occupar quello che il padre per ragion perse, e ben provò l’intuito valore di Grimaldesco popolo, che infin al suo proprio abitacolo lo perseguitò. E per levarsi ogni inquietudine, Pietro Potestio con procura mandarono alla Regina Giovanna che concesse Real suo privilegio nel 1360 confirmanta il già detto, e così reso esente da tal inaspettata molestia con quella gloria ed onore, che aspirar non si puote in questo piccolo fascio da inesperto ma affettuoso cittadino mandato in luce dopo tanti patiti viaggi e scossi lustri.
7. E pigliato con quiete alquanto di lena ( giudico permissione del sommo Iddio per li suoi occulti giudizi proveniva inaspettata inquietudine ) Antonio Siscar conte di Aiello pure valoroso soldato delle Reggia Corte con belli, ma ingannevoli modi andava cercando impadronirsi di buona parte del vastissimo territorio comune allora di Martirano, e Grimaldo, con andarlo frequentando, e fandovi far da suoi vassalli novità, si risolsero i Mendicinesi e Grimaldesi farsi sentire dalla Serenissima Regina Giovanna, che era pietosissima per la difesa del lor tenimento conforme sorti in affetto; posciachè essendoli rappresentate valide scritture restò servita con real privilegio confinar li confini delle parti supplicanti, ad ordinar a trasgressori l’astinenza dell’iniquità con atroci pene nell’anno 1369 come si veda da pubblico privilegio redatto in forma presente da Notar Nicolò Pallone di Scigliano, che tal real carta protocollò, e così per spazio di tempo senza venirli alle mani si sentò da una cavillosa vessazione, che fu poi causa del lungo litigio che appresso si riferirà per ordine.
8. Standosi poi alla sprocurata senza litigio alcuno si fece ordine dal Gran Giustiziero residente in Cosenza, che è Mastrogiurato del luogo sotto pena di mesi di carcere, e di once venticinque d’oro, ogni Sabato, come tutti gli altri Mastrogiurati dei Casali fussesi conferito a riferirli li delitti che si commettevano, e che la Università portasse gran somma di fieno, paglia, e legna annuatim alla Corte, e andar a levar marrame dal Castello, e tanti altri ordini onerosi non ostante li privilegi che tenea Mendicino coi suoi confinil Casali; per il che conoscendo, che le s’inferiva pregiudizio, ebbe ricorso con suo dispendio, che allora poco si stimava, nella Real Corte della Serenissima Giovanna a se pietoso, che confirmò li privilegi da se prima, e da l’altri suoi predecessori concessi, ed ordinò l’esenzione di tali onerosi pesi, con imponere debita pena a pretensori in contrario; e questo vedasi per privilegio esistente spedito in Napoli il 1377, che ad unquam fu eseguito, con particolare grazia, che il Mastrogiurato con semplice lettera di avviso avesse potuto fa l’officio che gli altri Mastrogiurati facevano allora di persona.
9. Ed Antonio Siscar Conte, che dissimo, volendosi per il non ottenuto suo inteso, con vari raggiri andava cerando l’usurparsi quel che non era suo, e fece con astuzia comparire la Università di Aiello dal Serenissimo Re Carlo III; ed esposeli, come la Università di Grimaldo aveva cercato occupare parte del territorio, che a lui era spettato con confinalo; per il che si mosse la Maestà di quello che li cittadini di Grimaldo si avessero goduto il suo, e lasciato lo alieno. Laonde fu resposto ad esser pronti ad ubbidire, ma che mai avevano occupato territorio di altri; e ne seguì, che tal privilegio restò a pro, a benefico del paese di Grimaldo replicante; e questo vedasi da Real carta spedita nel 1381.
E per maggiormente levarsi l’impaccio per ordine della Regina Giovanna poi nell’anno 1369 si conferì a Tinisi, e proprio nel lago di Tinisi, il Gran Giustiziero chiamato Giacomo Caracciolo con gran cavalcata, con la trombetta, e bandiera reale, come delegato dalla Regina a dividere il territorio di Grimaldo e Mendicino dal territorio di Aiello, come già fece, mentre poi personalmente si conferì nelli confini, e fecevi imponere acerni di pietra, ed altri evidenti segni e fece quell’ordini che stimò espedienti per l’evidenza della ragione universale. Il tutto costa da istrumento in forma probante fatto nel 1467 per mano di Notar Nicolò Pallone, notaro specieliter ad hoc delegato.
10. Essendo successo poi al preposto Antonio Conte Paolo Siscar suo figlio, sapendo la importanza avuta dal padre circa la occupazione del territorio di Grimaldo, essendo stato, vivente il padre, pure colle armi in beneficio della Real Corona, e ridottosi ad propria, pure volse provarsi alla impresa, ma non gli riuscì, per il che giurò, audienti quelli di Grimaldo, doversi vantare il suo paterno stato per assaggiare un poco la servitù laonde appattuiti alquanto, non per codardia, ma per la inquietudine, che potesse darli, fecero risoluzione ricorrere alla pietosissima Regina, per ridurli a memoria la fedeltà loro, ed il demanio, come eseguirono, mentre quella si degnò aggregarlo al territorio do Cosenza, con concederli e ratificarli li privilegi prima concessi e la immunità concessa alla medesima città predetta, come il Casale di Grimaldo. Il tutto vedersi dal real privilegio spedito nel 1416.
E con tutto che quello avesse saputo simili concessioni, pure andava vantandosi, che aspettava da ora in ora la vendita, e concessione per li suoi sevizi verso la Corona del cennato Casale di Grimaldo tanto privilegiato; e dubitando non riuscissero di mente le concessioni fattoli, di nuovo si comparse dalla Regina predetta, che ritornò a confirmare con Real carta del 1417 tutti li privilegi concessi, e di nuovo concesse perpetuo demanio come a Cosenza; e così fecesi poi dalla medesima Regina affettuosissima verso Grimaldo pur con special grazia una carta pergamena descritta nel 1419 confirmando il suo territorio, e dichiarando per perpetuo suo demanio Grimaldo, Mendicino, e Fortalizi già ridotti alle sue mani per mano di Carlo Gesuele suo Capitano; atteso che per li molti pretendenti dal possesso del Regno Partenopeo per ogni poco spazio di mesi si mandarono Luogotenenti per le patrie a starsene leali alla Corona Aragonese conforme Grimaldo sempre dimostravasi e con affetto era.
11. E di quando in quando Siscar, come già prima riferito andava disturbando il pacifico, e dovuto possesso del territorio Grimaldese, fandosi a vedere con varia grande armata e gloriandosi esser suo e che sì era ben concesso a chi posseder lo donava, per la qual cosa li zelanti cittadini ad evitandum li gran dispendi, potevano occorrere, ebbero ricorso all’Agustissimo Re Ludovico, e li rappresentarono le loro vive ragioni accompagnate con scrittura demostranti le giurisdizioni, e quello come giustissimo, che era si piegò ai loro preghi a confirmar loro ogni privilegio, grazia, ed immunità prima per altri Re concessa, e di nuovo concedé, attenta la loro fedeltà verso la Real Corona, e repilogò di nuovo la concessione de confini del territorio, che era di Grimaldo, ponendovi nome per nome de limiti ed ordinando, che come concesso da se padrone non fusse da persona di qualsivoglia grado o condizione sotto qualsivoglia pretesto disturbato, usurpato o in qualunque modo diminuito, stante così li pareva, concedeva e per special grazia voleva e restò sevita farne altro privilegio, che in carta pergamena col real sigillo conservasi spedito ad 11 Maggio 1439.
12. Mediante quella concessione stavano in quiete e lasciavan latrare a chi gravoso loro si mostrava insino a tanto, che si vidde usar violenza dal maligno conte, che in tempo di legna andava con i suoi danneggiando le masserie de coloni, che avevano con tanta forza coltivata la terra dal loro tenimento; posciache allora tutti i Grimaldesi cittadini armati colle arme, che allora, si usavano con gran furia ed impeto assaltarono il loro disturbatore, e seguaci, che si posero in fuga e furono perseguitati insino ad Aiello vicino, dove il creato più diletto del conte fu ucciso per mano di Palermo Milinazzo, ed altri feriti dagli altri seguaci e valorosi cittadini, che a nomarli sarebbe superfluo.
Per lo che il conte inviò il più ed accorto vassallo alla Sacra Corona esponendo la causa del fatto, sperando far distruggere non solamente il particolare, ma tutto il pubblico: e non così sorti mentre nel memoriale spedito il 1444 si fece: dominus iustitiarius informationem capiat, qual presa, s’invio al Re, da chi si ottenne dalla Università il liberatorio di chi venne contumace; e circa la pretensione del Conte, e dell’Università privilegiata si fece: liviliter agatur, che durò dall’anno 1444 insino all’anno 1510. Fra quel spazio di tempo, altre tre volte vennero a fatti di armi, e sempre se ne andava con gente mancante, come delli memoriali, che si davan da quello alla Real Corona chiaramente si vede. E nel 1459, essendo pure venuti a fatti di mano nella Bocca del Lacone e fu gravemente ferito nella spalla destra con colpo di freccia per mano di Ormando Saccomanno, ed altri per mano di altri valorosi cittadini pure gravemente feriti, ed uccisi. E ciò si vede, come si è detto di sopra dalli processi accepati dal Giustiziero di Cosenza, a chi venivano commesse le catture dalle informazioni e dalle liberatorie, che si ottenevano.
Il racconto poi dagli altri dispetti, disfida, ad opprobri, che dalli valorosi cittadini Grimaldesi, che armarono perciò in campagna, parmi soverchio ridire, potendosi vedere in un memoriale, che originalmente si conserva con le altre scritture; basti solo il dire che mai si ritrovò restar in tali contese morti di Grimaldo.
13. Ma incominciata tal dispendiosa, e mala contesa col Conte, che fu in detto anno 1444, il Marchese di Cutroni nomato Antonio Cantellis, per il quarto di Madre Ventimiglia ribellatosi dalla Corona del re Alfonso, di chi prima era fido cavaliere soldato mandato contro molti, che inquinavano il Regno, in cambio di usar la dovuta fedeltà verso il suo Re, lasciò soggiogarsi dal suo proprio interesse, che è quello che accieca gli occhi umani, e li far deviar dal dritto colle, usuprò e s’impadonì de Cutrone a questa parte, signoreggiandola, come proprio padrone scordandosi affatto della fede, che doveva avere a chi ingradito lo aveva; per lo che dal Serenissimo Re furono dichiarati rubelli così il Marchese, come li suoi seguaci, e le patrie, che non l’avevano fatto resistenza, e con numeroso esercito si conferì personalmente nelli confini della usurpata provincia.
Ma Grimaldo, che anelava star sotto il vessillo della Maestà legittimo e natural padrone mandò più idonee persone con diretta procura al Magnifico Giacomo Centorotola per poter rappresentare la sua innata fedeltà ed ottenere privilegio di essere esentata, si delle pene che non meritava, ed a concedersili di nuovo il perpetuo e desiderato demanio, così come gli altri eransi compiaciuti concederli colla Bagliva che alcuni avevansi impetrato per servizi, e con la special grazia di non poter essere venduti per nessun conto, e vendendosi, potersi, ad esser obbligati sotto pena di vita naturale a difendersi con le armi in mano, e con altre particolari e grandi immunità, che chiaramente vedonsi concesse col nominarla terra per suo Real privilegio col sigillo pendente fatto nel 1445.
Il leggersi e cosa molto curiosa a chi non vincresce la lettura, e così venne diviso il fedel popolo dal Gran Giustiziero mandatovi dalla Maestà del re Rinaldo de Loliante, e commissario ad hoc destinato, come pure chiaramente da tal privilegio vedesi levato ed esentato dalla tirannica provata di tal Marchese che personalmente andava visitando molto spesso le occupate regioni.
14. Stava sotto il giusto e desiderato governo del lor natural signore con ogni tranquillità quiete di dominio, solo la lite, che pendea ingiustamente col Conte per causa del territorio, ed il litigio cha volsero fare alcuni di Longobardi, di Belmonte, ed altre parti, che non volavano fidare nel territorio di Cocuzzo e parti a quello contigue comuni con Mendicino, sotto pretesto di aver fidato al secondo già fatto; per causa del che furono costretti li Grimaldesi baglivi menare gli animali, che in quello pascolavano, e far altre dimostrazioni solite, e così fecesi decreto, che avessero li pecorari, ed altri bubulci pagato il dovuto ius, che fu il 1448.
15. E s’intese, che il Conte avevasi gloriato, aver ottenuto special grazia del successore di D. Alfonso Re che era Ferdinando di pigliarsi il territorio già limitato, e concesso a Grimaldo, qual cosa donò a che pensare, non per paura di torto, ma di rappresentata falsità a chi forse avesse concesso, e con coraggioso animo s’inviò persona a posta a piedi dal detto Re Ferdinando, che compiaciutosi, stante la visura degli altri privilegi, concesse di nuovo e ratificò tutte le immunità, grazie, indulti, concessioni, e capitoli degli altri concessi al casal di Grimaldo coi suoi Casali, e Fortalizi con speciale ordine a Casali convicini, che non avessero avuto ardire a disturbare, molestare, e fare novità alcuna contro la forma del tenore della sua concessione, e ne spedì particolar privilegio in carta pergamena col dovuto sigillo nel 1476.
Il che se fu di contentezza agli ottentori, si lascia considerare a chi sa, che cosa sia la quiete, ed il pericolo di perderla.
16. E poi nel 1475 il malvagio, ed iniquo Conte Aielloto credendosi di essere persi di coraggio li strenui cittadini di Grimaldo non numeroso stuolo alla sprovvista si affaticò di saccheggiare, come in parte fece al territorio di Grimaldo, a tempo che le biade incominciarono a biancheggiare per la propingua raccolta; ma non ci guadagnò, percioche venuta la nuova alla patria da frettolosi coloni, che viddero il gran danneggiamento, che si faceva col caldo sangue de’ danneggiati a volo con le solite armi si opposero alla violenza degl’insolenti armati dal Conte, e ne fecero tremenda stage, con persegutarli insino alla propria lor abitazione, con brugiar pure la biada degl’inimici invasori, ed allora giurò, ad intesa dello stuolo Grimaldesco, il Conte di dover vantarsi il stato, e quanto aveva, ad usar ogni suo potere per comprar Grimaldo, e dar il castigo, che per mano delli Reggi Ministri ottener non poteva; ed accommodatosi il necessario per la partenza di personaggio simile con gran cladezza giunto in Napoli presso la Maestà del Re Ferdinando, dopo lungo tempo ottenne che Grimaldo fussa stato col suo vassallaggio, come posto nel suo territorio; e stante la necessità delle guerre, sburzò due mila docati, cioè mille per Griamldo, e mille per Altilia, e pure per li suoi servizi fatti alla Corona, e se ne ritirò, e come bizzarra volpe con ogni umiltà cercò di pigliar il possesso della chiusa e forte terra; ma non li venne permesso dalla unione de’ cittadini che di uniforme volontà trovansi. Ed all’ultimo fatto audace cercò con violenza impossessarsi del paese, che era veniente a darli il possesso avvalorato delli suoi privilegi, grazie, ad immunità e dell’intendere, che l’ottenuto era surrettizio; ma non li riuscì essendosi ben difeso; per il che credendosi di dover ponere in effetto quale che prima ottener non avea potuto, scrisse per staffetta straordinaria alla Real Corona cosa , che puossi considerare come fusse stata atta a commuover qualunque cuore piacevole a farne strage; ma quello veramente benigno, e guidato dallo Spirito Santo niuna accedenza donò al suo esposto;.........(16) e poi asseriva essersi virilmente difesa; ma fa ordine al Gran Giustiziere di Cosenza, che fussa col Conte Paolo Siscar suo soldato conferitasi in Grimaldo a darli il possesso, e mostrandosi renitente ne avesse fatto quella dimostrazioni, che in simil fatto si richiedono. laonde ricevuto simil real dispaccio per eseguire l’ordinato, col Conte medesimo, ed altra comitiva, che in simil circostanza opportuna ere, personalmente se ne conferirono vicino Grimaldo la sera a tempo che erano chiuse le porte, conforme solevasi, a fatto quello picchiare, perché si aveva avuto nuova del tutto, per sopra le mura ascesero e viddero il lor odioso Conte, e cominciarono a dirli delle villanie, ed a spenserarlo dal suo intento. Il che inteso dal gran delegato Giustiziere, con mite dolci parole fecesi a sentire, esser tale, quale ho detto che fu riferito a principali cittadini, Mastrogiurato, eletti a pubblico, che nell’intender simil novella, se ebbero pena, e rammaricò lo lasciò a piangere a chi è privo di libertà. E convocati a pubblico parlamento si conchiuse post multa, che si fusse dato lo inganno per evitar quel che poteva succedere; e già entrati con quelle miti, e piacevole parole, che a placar un popolo irato erano di bisogno, proprio solo quel che da sua Maestà ordinaro li veniva, e costrette a dare il possesso al Conte che si offeriva esser loro dolce, e placido padrone: e già la mattina seguente, che fu nell’anno 1481 pigliò il possesso. Ma la Università per non pregiudicarsi alle sue immunità, e privilegi notificò protesta, che per non contravvenire agli ordini reggi non facevano quella resistenza, che a loro si ordinava per li di loro privilegi; e di altro modo, conforme parse loro opportuno dominarla non con tanta tirannia, quanta si presupponevano insino al 1483 a tempo, che andava cercando di caricarsi di pesi, posciache in tale anno andandosene il Conte al suo Aielloto castello. Li zelanti cittadini fecero in parlamento pubblico congregar tutto il popolo a doversi pigliare il rimedio opportuno per levarsi dalla servitù indebolita per la grazia da tanti serenissimi Re a loro concesse ed allora di dispare volontà, per il primo ritrovaronsi, posciache altri dicevano, e principalmente le concessioni da lui medesimo, che si compiacerà, visti li privilegi, principalmente le concessioni da lui medesimo, n’esenterà dalla servitù, e gli riporti il denaro, che furono mille ducati della vendita per riscattarne da simile schiavitudine. Altri furono di opinione di discacciarlo per forza, sarvata la forma delle concessioni Reali; ed altri di altro modo andavan disponendo. Ma poi alcuni vecchi cittadini curvi per gli anni risposero: Noi siamo li peggiori del popolo, e poveri, ad ogni modo, purché si eseguisca la proposta, vendemo alcuni buoi, e pecore, che avemo, per contribuire a quel tanto vi è di bisogno; ed ognuno ben sa che gli animali irrazionali racchiusi in gabbie, con tutto che siano accarezzati, sempre van cercando la libertà, e noi che siamo razionali andiamo danneggiando da nostri antecessori, e dalla nostra naturalezza, e stiamo pigri per paura di povertà a vendere quanto avemo, e non si giudica che chi ha la libertà è ricco, e non lo sa. Ed una vecchia detta Antonia Palmieri che stava intendendo il tutto pure si fece a sentire: purché ci scompriamo ho sei carlini di vendita di ova e dieci carlini, che li ho buscati per filare, ce le dono; e così un’altra simil vecchia die risposta di tenere altri dieci carlini buscati a far la liscia, a darcele, e conclusesi secondo la opinione de’ principali, che si mandasse persona apposta dal Re con il denaro del ricatto, e con le altre necessaire scritture, e così si risolse fare il denaro fra breve termine. Ed essendone scarsi per li tanti dispendi fattisi per l’addietro, si venderono molti giovenchi in questa, e di quell’altra patria, e fecesi il denaro del ricatto, e del necessario per le altre cose, e giunto da sua Maestà, ed appianò informandolo delli privilegi, ed in specie da quello concesso dalla Maestà sua, e dalla antica inimicizia col Conte, e presentatoli per li bisogni della guerra mille di carlini con la supplica di esenzione, e liberà, e della revocazione della vendita, e concessione al Conte, si piegò a loro preghi, e concesse favorevole privilegio nel 1483 sotto il di 3 Dicembre col pendente sigillo, promettendo di mantenerlo nel perpetuo demanio, e di non venderlo mai più, e dando per cesse, irrite, e nulle tutte, e qualsivogliano vendite che per qualunque modo si facessero, ed ordinando loro che si fussero difesi con le armi in mano da qualunque, che forse la volesse occupare, etiam per vendita, che se ne facesse; dichiarante cessa, irrita , e nulla, e di nessun vigore la vendita fatta al Conte Paolo Siscar, ordinando di più a Cosenza, a Carolei, che sempre difendessero Grimaldo per lo demanio; e concedendoli la Bagliva, ed altre immunità che gli si domandarono, come per tal Real carta chiaramente si vede con parole si favorevoli che danno maraviglia a chi le legge.
17. Ritornatisi li tre cittadini mandati, e portato simil tesoro con avidità aspettato, non subito lo presentarono al Conte, ma differirono insino al giorno di Domenica ed allora con ogni onesto modo fecero a sentire a quello, che mediante Real privilegio non era più lor padrone, e che se ne andasse; il che non volendo quello eseguire, dopo tante parole con ogni riverenza dette, avvalorati dalla Real concessione fecero fa spontaneo quel che la videnza richiedeva; e già in tal anno restarono alla primiera loro libertà; dal che più che, prima restò morsicato il Conte, ed aspettò il tempo, per farne qualche vendetta, come con inganno fece; mentre a capo di pochi anni essendo venuti li Francesi ad occupar la Calabria, dalla Maestà re Ferdinando, che dominava numerosissimo esercito si inviò contro quelli per levarli dal possesso, che ingiustamente pigliato avevano, conforme le levorno, e fatta gran strage, delle occupate città, e cento vari capitani generosissimi se ne venivano ad estripale del tutto. Ed in Cosenza conferissi il capitano Conselvo Ferrandez con potestà di distrugger quella patria, che alli suoi ordini non dava udienza in da soccorso li già riferiti, e fatto ordine a tutti li Casali di farsi andare in Cosenza per giurar fedeltà, e soccorrere nelli bisogni: In Grimaldo, ed Altilia per difetto del corriere che si sgomentava camminare, non si ebbe di ciò notizia; per il che il Conte, che assisteva per ordine del Re con detto Capitano, veduto, che da tutti li Casali erano a più giorni giunti cittadini ad eseguire gli ordini, e di quello delli già escusabili paesi non esserne andato uno, fece sentire inaudita bugia alle orecchie del credulo Capitano, con dirli che da tutti i paghi erano partiti li Francesi discacciati, ma non da Grimaldo, ed Altilia, che essendo con fortezze, le tenevano per non soggiogarsi alla Corona, e con altre parole simili accendenti il furor di quello, che per allegro, che era per la vittoria attenuta si fece mestissimo, e sì tanto in collera, che convocò molti capitani inferiori, e fra gli altri uno di casa Caputi di Rogliano, ed ordinò loro che subito partissero la volta di Grimaldo, distruggerlo, che esso con il Conte se ne veniva appresso per gettar sale alle arse reliquie. Quel ordine inteso, come feroci leoni, e famelici lupi a volo se ne vennero ad eseguire lo imposto loro, e giunti in Grimaldo, che del tutto era ignorante, e se ne stava alla sprocurata, incominciarono ad uccidere chi loro si faceva innanzi, ed a bruciar le case; laonde gli uomini piccoli e grandi dell’uno e dell’altro sesso a simil inaspettata novità, considerando, che non del fuggir tutta la vita onora si posero in fuga lasciando il loro avere in mano di chi lo metteva in sacco; e quanto più presto venero il Conte, ed il capitano, tanto più presto si vidde incendio grande fra poche ore allo edificato con tanti stenti, con averne mandato il Conte le campane della parrocchiale chiesa di S. Pietro, e della Congregazione al suo contato di Aiello con altre cose ecclesiastiche.
Ed era in tal modo stizzato il Capitano per la istigazione del Conte che aveva ordinato che non si lasciasse entrare in presenza sua persona veruna, che fusse Grimaldesca. Ma Iddio, che per la sua infinita misericordia non lascia, che gl’innocenti periscano, permesse, che un’Eremita vecchio per la intercessione della gloriosa Vergine Regina de li Martiri ( in presenza della statua di quella, uno ebbe ardere tirare colla lancia ad una donna gravida, che vi era confugita, e vi partorì per la ferita un figlio maschio, per lo che essa rivolse la sua testa addietro, che poi da nostri Grimaldesi fecesi dirizzare ) si appresendo dinanzi del feroce Capitano, che si meravigliò per dove fusse entrato, e chi entrar l’avesse lasciato, e come a pericolo della vita si fosse quello esposto, e così incominciò a dirgli: Magnanimo Signore meravigliar non ti dai, se qui mi mena il piede del eramo loco, e tetra caverna, mentre devono gravemente essere ripresi li sprezzatori delle leggi, e de santi precetti, conforme con vostra licenza dico esser voi, avendo posto sacco, e bruciato questo paese per pretesto di seguir li Francesi per semplice relazione datavo da maligno ed odiato contrario della destrutta patria, non dovendosi credere senza prima provarsi con testimoni, o persona legittima esperienza. L’uomo saggio pensar deve prima quel che poi ritrattar non può; e con altre iaculatoriere prensioni e trastante, che così ragionavasi dello Eremita canuto, ecco, che un stuolo di soldati ben ligato, ed incatenato traevano un altro maschio vecchio, chiamato Cittadino Potestio, e Pietro Iacoe, che la Università, intesa la venuta delle destruttori aveva intanto mandato a portar le chiavi della patria, e giunti innanzi baciorno li piedi del Capitano, e lo pregavano a dar loro licenza di parlare, ed ottenuta dirse uno di loro: Saggio Signore, con ansia desiderorsi sapere la causa della nostra destruzione, per defendere le case nostre: e spiegatoli il tutto, rispose: Credito dar non si doveva a chi ha cercato a tempo occiderne, e distruggerne, tanto più che sempre fedele della Real corona Grimaldo è stato, come da privilegi possi vedere; ma per la innocenza di tanti occisi, e danni fattansi sarà Iddio, che farà vendetta del colpevole, con dir la causa della antica inimicizia, ed odio avuto col Conte, che in tali proposte fu severamente ripreso dal capitano, e Cavalieri, che ivi erano. E tra tanto il buon Eremita, che fece far ordine, che si lasciasse la destruzione, e si perdonasse la vita a chi vivo era versato, senza farsi altra demostrazione; ed il Capitano tutto pentito lasciò la cura allo Eremita, e con suoi fanti, e soldati si avviò in Aiello, e fece liberare li carcerarti che presi erano stati, ed in Altilia mandò un prete nomato d. Angelo Serra, che avesse amministrato li sacramenti a feriti; e sparì l’eremita, che dicasi in un libro in verso scritto per tal destruzione, che fusse stato Santo Elia, e fecesi poi la nota de morti, e furono sessanta.
Ma quel che diede meraviglia fu, che gli Aielloti, quel di Savutello, Pietramala, Terrati e Lago in intender l’incendio vennero a pigliar, chi bovi, chi le bestie, chi comprar da soldati robe, mobili e stigli, e chi più tardo venne a pigliarsi e schiodar li chiodi delle mazze porte, e chi porci, e chi gatti, e chi una cosa, etiam minima, e chi un altra; ed in specie due vecchie chiamate per soprannome l’una Dragne, e l’atra Querchia eran venute tardi, e ritrovarono cenere, cavatila credendosi esser farina, la pigliarono, e con tutto che poi se ne accorsero, non avendo trovato altro, se ne la portavano, e nel passo del Mulino furno incontrate da un giovanotto, che fu curioso a domandare, che portassero, ed intesa la risposta essere onuste di cenere, altro non avendo per la lor tardezza ritrovato, in tal modo salì in colera, che alzata in due volte la ronca, che in collo portava le uccise, e poi con altra gente perseguitarono gli altri rubbatori, che lasciarono molto della preda fatta.
18. Questa destruzione, ed incendio di Grimaldo fatto, non posso ben saper l’anno, non avendo possuto leggerlo in carte, che di ciò trattano, ne in un libretto scritto a rima vi è posto. Non essendo poi cosa tanto necessaria, dico che così fu la profetizzata devastazione di Grimaldo compresa in si picciola carta. Avendone poi ottenuta la remissione, e del detto Evan Capitano, che personalmente, e con propri occhi vidde la innocenza delli fedeli Cittadini e del Re, che n’ebbe da quello la relazione, si tornorono a redificare li destrutti edifici ma non con quella comodità, che prima avevansi avuto, e con star senza le campane; per le quali si degnò poi il Re far ordine al Siscar Conte di doverle restituire, che non restituì per un pezzo, sempre replicando con varie opposizioni, insino a tanto che gravemente ammalato un suo figlio maschio, fa voto, e giurò di restituirle, e ne restituì una; e quello morto non volle restituire l’altra, non ostante, che poi nel 1503 per special ordine si ordinò, che avesse restituito. E si dica al presente essere quella, che è nella Chiesa Parrocchiale di detta terra di Aiello sotto il titolo di S. Maria; e la restituita è proprio quella grande, che è nel nuovo campanaro di Grimaldo nel tempo presente.
19. E non per questo il Conte si quietò, ma sempre poi con vari ordini subrettizi ottenuti cercava pigliarsi buona parte del nostro Territorio allora diviso con Mendicino, Carolei, per il che il buon Grimaldo con li suoi cittadini di Mendicino, Carolei, e Domanico, e Casali posti nel lor territorio fece ordine per nano del Notar Antonio Rende di Carolei ad esser tenuti in solidum, atquer malius alla difesa del loro, ed ogni danno, spese, ed interezza fusse corsa in comune. Vedasi il tutto da pubblico istromento in forma probante redatto poi dal Notaro nel primo di Giugno 1448. Ed in detto anno 1448 la Università pure per pubblico parlamento, et istrumento crea suoi procuratori, ad assister per la decisione di simil suo litigio a Cittadino Potestio, Antonello Iacoe, ed altri al numero di dieci i nomi di quelli per schifar la prolissità tralascio, che con gran caldezza assistettero, mentre ottennero più decreti, che poi dal Conte si revocano, e durò, come accennai simil lite per lungo tempo. Si consideri il gran dispendio, ed interesse, che si pativa e con tal esempio non si schifi di spendere, quando si tratta difesa di antica solito, e dal 1488 infino al 1510 sempre si litigò con tal Conte, e suo successore Antonio Siscar, che pure avendo rincrescimento il luogo litigar fece trattar concordia e comunemente con la Università Grimaldesca il Mastrogiurato, Eletti, Sindico, e cittadini in gran numero si conferirono con Notar Gabriele de Simone di Santo Stefano nella Scala del Cariglio, dove si fece a ritrovar detto Conte Antonio figlio di Paolo con il Sindico, Eletti, ed altro di Aiello, e stipularono una convenzione, dove si annotarono i confini dell’Aria de la Rijo, Valle del Monte, Tavolara, Petra, ed altro, con la dichiarazione di pescar acqua, ed erba comune con Aiello, ed altre condizioni, a patti che spiegati si vadano in detto istromento in forma probante redatto dal Notaro predetto sotto li 30 Giugno 1510, che si conserva con altra copia in carta; e d’allora in poi se ne stette un pezzo in quiete per simil carta, e par oltre; solo li accorsero alloggi di compagnie ed altre non tanto degne di memoria.
20. Non devo lasciar di dire come ritrovandosi nel 1566 la Università gravi ordini del Giustiziere di Cosenza congiunta con Altilia, non li piacque simil unione per molte legittime cose, che non mi para proposito dirle qui per la prolissità, che vi sarebbe, per il che se ne comparse nella Reggia Audienza, e se ne attirò lungo litigio, mentre quella non diseredava la separazione, opponeva tante opposizioni con dire, che sempre erano state unite le terre predette, e lo provò con testimoni. Ma la Università Grimaldese per difesa fece esaminare li Preiti di Grimaldi, Cittadini di Paterno, di Dipignano, e di molti altri paesi, come Grimaldo costava da diversi Casali, esprimendo li nomi, li privilegi la divisione con Mendicino; lo esser uno Arciprete in Grimaldo, ed un altro in Altilia, e con sedi della Curia Arcivescovile, e della Reggia Camera, come erano stati numerati divisi in pieno consilio, decreto, che fusse stato separato delli pagamenti, contribuzioni, ed altro delle Università, che la ragionava, come il tutto per processi, fedi, e tante altre scritture, e per decreto dato il 1581, copia del quale si ritrova in forma probanda, ed in molte alte carte autentiche. E fattasi simile separazione, dalla Università Altiliese, si pretese parte alli contadini, dal che pure si attirò lite, laonde si fece ascolto da un Signore Auditore sopra la faccia del luogo con chi a persone di Altilia, e di Grimaldo, e domandato la gente Altiliana, come si chiamasse il luogo dove si faceva parte per parte lo accesso, sempre rispondevano, non saperlo per il che restarono, mediante pure il privilegio della Regina Giovanna ed ultimamente del re Ludovico presentati in actis vinti, superati, e delusi del lor mal desio con molto lor dispendio, e d’allora in poi non pretesero simil vane pretensioni.
21. Ed essendo poi il Contato di Aiello ricaduto all’Illustrissimo Principe di Massa, gli Altiliani non avendo possuto con altro dimostrar la intorna malignità, che li fomentava, con special persona, e messo andarno ponendo discordie con li Luogotenenti, e Governatori di detto signore con tante insinuazioni; ma poi riconosciuto i soliti, le convenzioni fatte col Conte Siscar già citate e le altre universali giurisdizioni ritornarno con la Università pure di Aiello a confermare con la Università nostra le condizioni prima fatte e repilogare gli usi, consuetudini, ed a dichiarare li soliti per la Valle del Monte, Destre, Tavolara, ed altri, come per istromento in forma probante esistente fatto per mano di Notar Giulio Guercio a 7 gennaio 1585 a tempo fu Governatore Giuseppe Stefani del che poi fattava abitazione il Governatore, e la Università fattene lettera, restò copia e cinto Alberico Cibi Principe farne confirma con contentarsi del tutto, ed esplicare li gironi delle fatte condizioni, come vedasi per sua particolar confirma spedita sotto li 21 Maggio 1886 ed altra copia pigliatane ad esistente con le altre scritture.
22. Non mi par di lasciar da parte, come tenendo la Università la chiesa di Santa Maria delli Martiri, che dissimo, con molta entrate per inspadronato universale supplicò la Sacra Congregazione per concederli un Monastero de Padri Carmelitani, e dià si concesse per il Padre Frat’Angelo Emiliano Provinciale allora con il dovuto breve venne, e pigliò possesso della Chiesa, e vi fondò un bellissimo Monastero nell’anno 1565 con molte entrate, e si abitò insino al terremoto, che appresso si dirà.
23. Ne si deve preterire, come il 1590 a prima Agosto pure ad istanza della Università si pigliò possesso da Padri Paolini nel Monastero dello Spirito Santo della Chiata, ch’era stato fabbricato da un eremita detto Fra Desiderato Saccomanno, come per valide scritture, che conservasi appare; ma poi fu abitato per causa della discolezza, che successe allo eremita e Paulini.
24. Nel 1596 fu venduto Cosenza con Casali, ed essendosi poi transetto, si costringeva Grimaldo a contribuire alla transazione, ma non lasciò forzarsi avvalorato da tanti suoi privilegi, che promettevano mandenerlo nel perpetuo suo dominio, come per promissione si vede in talamo spartita.
25. Nel 1599 si aggregò la Confraternita del Santissimo Sacramento eretta in Grimaldo all’Arciconfraternita della Minerva di Roma come per bolla presentata al Vicario Generale Fabio Buonomo sotto il di del detto anno 1599.
26. E divisasi Grimaldo d’Altilia, come insendestino, retto comune il Mastrogiurato da farsi un anno della Università Grimaldese ed un altro anno dell’Altiliano; e vedendosi le tante forfandorie per dir così alla paesana, che si andavan facendo da quello nel tempo, che a loro spettava, post motam litem, e processo compilato, il Signor Flavio Sacchetti buon’anima per parte della Università si adoprò a far ottenere decreto, che ognuna Università si facesse il suo Mastrogiurato, e fecevi venire per la osservanza due promisioni spedite dalla Eccellenza del regno esistenti, e questo fu l’anno 1634; e allora in poi come più prima ora, cosi si e osservato, e si osserva. Ciò fu cosa molto grata al pubblico di Grimaldo.
27. Essendo de’ Predicatori far sermoni, non mi metto a dire che per li peccati il più delle volte vengono le avversità, e flagelli proceduti dalla Divina mano, ma solo dico, che il 27 marzo 1638 Sabato delle Palme orrendo terremoto successe; per lo che si destrussero molti, e molti paesi, e fra gli altri venne radictus a disparsi lo affamato Grimaldo con tanti stenti due volte edificato con la perdita di ducento persone fra mascoli e femine, piccoli e grandi, e di ventisei mila docati in circa di perdita, come per una relazione fattasi da Fabrizio Sacchetti eletto, Francesco Antonio Milito Sindico, Filippo Iacoe eletto, e Carlo Saccomanno Mastrogiurato, Gio:Vincenzo di Filippo Cancelliero sotto il 21 maggio 1638.
Non lasciando di dire, che dopo fracassatisi cogli altri edifici la Chiesa si bruciorno per opera di una donna, che volse far caldo ad una sua figlia, che per mezzo era oppressa da una trave, e pietre, e non potevasi dalla madre lavare; come successe a molti altri, che stavano oppressi chi per un piede, chi per tutte le cosce, chi per un braccio ( cosa che raccontando si fa muovere a pietà qualsivoglia impietrito cuore ) e prece il danno fu comune, considerarsi il duolo universale, li gemiti, e pianti, uno piangendo il padre, l’altro il figlio; per il che furono constretti gli abitatori restati farsi tuguri, che in un luogo, chi in un altro, con intenzione di non dover per un pezzo fabbricare; ma poi vedendo la loro scomodità si risolsero partirsi dal diruto Grimaldo, ed edificarne un altro nuovo in un pubblico luogo detto Chiata, che era commodo si di acqua, come nelle possessioni, e non si curarono della molta fatica bisognante per cavar le pietre, che nel primo luogo erano pronte, quale edificazione si cominciò nel 1639, come da persone viventi in numero universale mi si riferisce, e da molti epitaffi scrittivi, che in alcune case si vedono, e principalmente nel posto della via sottana, così stanatato: Philippus Iacoe hoc fieri fecit anno 1639; e fra lo spazio di pochi anni si fecero quasi tutti li edifici per il residuo del Vecchio Griamldo; e di quanto in quanto per li loro eredi se ne van facendo continuamente. E li Carmeliti del Convento sotto il titolo di Santa Maria delli Martiri si ritirarono nel Convento della Chiata detto dello Spirito Santo, dove ora, come è la capanna fatta dell’eremita descritto. E per li tanti danni patiti della Reggia camera si concesse moratoria d’anni cinque, si al pubblico, come al particolare per qualunque credito; ma con tutto ciò pure fu necessario pagare gran somma per ciascuno per il donativo, che s’impose; e tal morosità si spedì nel 1639.
28. Il 1644 poi afflictio afflictus dere fuit mentre si vendevano li Casali di Cosenza a Vincenzo Salviati marchese, che il 1645 pigliò il possesso con procura il Cavalier Saracini, che destinò per parenza Capitano, ed in questi fu, il Capitan Giacomo Spinello che fece ordine al Mastrogiurato, che era allora Filippo Iacoe, che avesse fatto osservare tanti bandi, quanti si vedono in alcune carte, che si tengono. Quale vendita era invalida per li tanti privilegi che teneva Grimaldo e Cosenza, a gli altri Casali circa il perpetuo demanio; per confermazione dal quale Grimaldo, cioè suoi Mastrogiurato, Eletti e Cancelliere che pure era detto Filippo si protesero in presenza del Signor Gio:Maria Calei destinato da S. Eccellenza, a non pregiudicarsi a sue ragioni, e di non intentersi compreso alla vendita, come per tal protesta presentata il 1644; quale poi compreso nella vendita, come altri della Città di Cosenza s’inviorno nella Reggia Camera, che post discussionem dichiarò, stante li privilegi presentati, invalida la vendita fatta, come per copia di sentenza in stampa esistente vedasi spedita a diciotto Ottobre 1646 con farsi transazione. E con tutto questo non si voleva desistere da possesso; per il che avvalorati li Capitani della decisione precedente, e di lor privilegi, e dalla stensiazzione, che già per ricattarsi erasi fatta, fecero far per violenza quello, che per spontanea volontà eseguir non volevano li cavalier Saraceno, Locotenente e Capitani delle paranze. E di Grimaldo il principalissimo Cittadino Giulio Cesar Sacchetti ed altri compatrioto fu il primo a difender le ragioni avvalorati dalli privilegi e decreti. E lode a Dio, dalla servitù attentata restarono in libertà, il che fu causa della obliviscenza delli danni patiti per il già riferito orrendo terremoto, cosa memorabile a chi vede e vedrà le reliquie delli destrutti edifici.
29. Nel 1647 poi Masaniello con li figlioli messe la ribellione, già a tutti nota, a Napoli per causa della nuova gabella, che imposta vi erano, come dicevasi, e donò esempio a molti popoli di fare il simile, come fece Cosenza, ed ultimamente li peggiori uomini della patria di cui regiono, alla intesa di tali quanti si commossero contro Francesco Antonio Milano Sindaco e fattore, sotto pretesto di voler le seta, che data li avevano per li fiscali, ed essendosi quello mostrato ritroso, lo sbandirono, ed avendo posto fuoco alla casa, solamente briggiorono la porta e fecero danno in alcune robe mobili con la estrazione della preziosa seta e poi si rivolsero contro il Sig. Fabrizio Sacchetti Sindico difensore, e li brugiarono le case; e poi contro Filippo Iacoe cancelliero per cassa che non volse dar loro le obbliganze che fatte quelli avevano a loro creditori, e l’imposero pena a dover stare fuori Grimaldo per più anni, e brugiarono quasi tutti li libri di candele, che si conservavano: Ed ultimamente ritrovandosi fora terra il Sig. Giulio Cesare Iachetta, per accommodare litigi d’altre parti, si fecero a sentire dal Sig. dottore Annibale Sacchetti suo nipote di voler le armi universali, che par non dalisi loro si tosto bruggiarono la sala, e Camera ed altre robe, e perseguitarono detto dottore, del che poi la giustizia fece strage di chi vi fu causa, e più se ne faceva, se non veniva indulto, e restò il tutto mitigato col ritorno delli discacciati fra breve termine nelle stanze, e patria. Il dippiù lascio parlare, per non dar tedio a chi legge.
30. Il 1651 Francisco Peri di Aiello volse innovar cosa contro la forma del solito, convenzioni e patti già gravemente riferiti, non volendo, che si sbarrasse nel di del Santo Natale il territorio di Persico ed intendendo di far comprendere il Filicetto per il Conte di Aiello, essendo di Grimaldo, con farsi carcerare alcuni coloni, che coltivavano le masserie, del che l’Università di Grimaldo, come per lo addietro avvalorato da privilegi, convenzioni, e soliti ben se ne risentì; giacché il Sig. Giulio Cesare Sacchetti principal cittadino, e tanto zelante per la difesa giusta della sua patria con il Sig. Arciprete, ed altri Preti, e laici in buon numero personalmente si conferirono nel di dello sbarro con la continuanza nelli luoghi, per li quali volevasi fare innovazione; e né il Governatore, né altri a suo nome si fecero a valere. E con tutto ciò detto Sig. Sacchetti universali nomine supplicò la reggia Audienza che fece scarcerare li suoi cittadini, ed ordinò la osservanza del fattoli costare con special ordine presentato e ricevuto sopra caput dall’universale e dal predetto Governatore di Aiello, e così d’allora in poi ad unguam senza innovazione alcuna si è usato, e si usa.
31. Il 1652 non par donarsi preterita, dal Sommo Romano Pontefice si supressero molti monastera, fra le quali venne suppresso il monastero de’ Padri Carmelitani abitanti nel monastero della Chiata detto dello Spirito Santo, per il che fu servita per più anni la Chiesa da Preti celabrandoci li pesi delle messe, che vi erano infino a tanto che lo Arcivescovo di Cosenza Gennaro Sanfelice in actu visitationis trasportò la rendita nella Chiesa parrocchiale, dove al presente vano, con doversene pagare al Seminario e procuratore della detta parrocchiale certa somma.
32. Il 1656 in Cosenza e molti Casali successe contagioso morbo, del che Grimaldo, che ben si fece la guardia con molto zelo, fu esente, lode a Dio, e per intercessione della Gloriosissima vergine Maria Concetta senza peccato originale, alla quale dallo universale si fé voto solenne scritto per mano di Notar Giuseppe Schettini a 2 Dicembre 1657 digiunar la sua festa nello otto di Dicembre con farne la vigilia, e spenderci docati quattro annui per farne solamente la sua festa, e donarono per reparazione della Chiesa il territorio del Pizzone, conforme il tutto si osserva al di di oggi.
33. Il 1663 si fece de’ numeratori delegarti dalla Reggia camera la numerazione universale, ed in Grimaldo venne Andrea mastro Procuratore Fiscale di quella, e si discusse, e liquidò la numerazione in Scigliano; del che si fece fede, essendo cosa notoria alla liquidazione della Università, e restò liquidato con peso di fuochi centocinquantuno; ed anche si fece la nova scelta de’ soldati a piedi, ed a cavallo.
Il 1665 a cinque Luglio si pigliò il posesso del convento suddetto de Carmeliti della serafica religione de’ Riformati avendone ottenuto per mezzo del zelo del Sig. Giulio Cesare Sacchetti buon cittadino, dopo tante parlamenta, et industrie, decreto della Sacra Congregazione, che fu informata per suo ordine dallo Arcivescovo di Cosenza, che feci fare lo accesso dal suo Vicario, per vedere se lo esposto in quella era vero; dal che si fece pubblico istromento per mano di Notar Domenico Ortale di Belsito con l’obbligo del sostentar li Padri, e contribuire alla spesa della fabbrica, e necessità del concento.
34. Il 1668 si fece di Cantoni la fontana di Dardano lavacri, e bevituro con la spesa, che da conti universali si puol vedere; stando che usciva da un sol canale e bagnava per la sua abbondanza a chi vi si accostava per empir barili e veverci. Si lascian da parte la fattura della Silica, et altri accenni, non facendo a beneficio universale curiosità.
35. NOTA DELLE CAPITOLAZIONI UNIVERSALI
CHE SI OSSERVANO COME LEGGI NELLA DETTA PATRIA
1. La capitolazione sopra la creazione del Mastrogiurato, suo salario, ed obbligo. Si tiene per Flavio Rollo detentore della scheda di Notar Gian:Pietro Pizzuto
2. La capitolazione della creazione delli Eletti, e lor parlamento pure dal detto si tiene per mano di detto Notaro.
3. La capitolazione del tenersi la Corte de’ Baglivi, e del ius del Baglivo, e Mastrodetti con la Concessione dovuta, pure si ha nel protocollo di detto Notar Pizzuto.
4. La Costituzione delli affitto delli Comuni, e lor solito con li patti si ritrova pure in poter detto con molte capitolazioni in altri tempi fatte per tali carte.
5. La capitolazione del ius, e pena della Difesa di Santa Lucerna e del modo, come si ha da inviare, e de suoi confini si veda nel libro de’ Parlamenti vecchio esistente in potere di Giovanni Iacoe odierno Cancelliaro fatta sotto il di es. Qui non si dichiarano per essere cosa lunga, e poi facile a vedersi dal detto libro de parlamenti e delli detti protocolli esistenti. Per Santa Lucerna vi sono mandati in potere dal Sig. Giulio Cesare Sacchetti.
36. CONSUETUDINI UNIVERSALI
1. Tiene ius, e solito antico la Università sbarrare nel giorno di tutti i Santi le castagne esistenti nel territorio detto il Timpone di San Pietro, Visciglietto possesso per il rettore della porzione de Sambuci; e nel giorno del Santo Natale gli glianditi di esso territorio, con potersi in ogni tempo. fuorchè nel tempo di castagne, e delle gliandi pascolare l’erba, e di poter lignare a legname omnino morta, e dalle cime a basso tagliar la frondature. Ma questo non s’intende, nelle compre fattevi da particolari cambi. E dello istesso modo può sbarrare, e pascere nel territorio detto Valle di Chiesa possesso per il Borghicioaro delle Vitalve.
2. Ha tenuto, e tiene antico ius, e solito di sbarrare nel di del Santo Natale il territorio detto di Persico giusta li fini con l’altri soliti nel territorio di Aiello, e di sbarrare nelli tre di marzo la Foresta di Rupe di Cerno, conforme da tutti, per essere cosa antica si sa, e però non bisogna più chiaramente esplicarsi, tanto più che se ne tengono le dovute scritture colle carte universali.
3. La predetta Università si ritrova ancora il possesso da tempo immemorabile, e non vi è memoria di uomo in contrario di sbarrare in tempi stabiliti alcuni stabili detti la Raya, Terrarucca, Vignicello, Pecale, ed altri, che furono delli Signori Scaglioni, ed al presente ritrovansi posseduti dalli magnifici Marsici di Altilia siti e posti dentro li limiti del suo limitato territorio, e concesso per più privilegi, come si è annotato, sin dal tempo del Serenissimo Re di Aragona. Da quali Marsici si è andato pretendendo, che gli uomini della predetta Università de Grimaldo non si andasse nelli statuti tempi, conforme si descrivono nel precesso dicendo, di sbarrare, e pascolare, sarvata la forma di tal solito antico, che non fu mai per nessun predetto di un bando penale spedito della gran Corte della Vicaria ed istanza delli suddetti Magnifici Scaglioni, i quali tanto vero, che non intesero valersene contro li naturali della detta Università, che non lo notificarono ed in effetto mai se ne valsero, non potendosene pure avvalere, stante gli allegati soliti. Oltre che il detto bando tiene le sue nullità; mentre a camparir da questi ultimi fini di Provincia in Napoli da solamente tempo otto giorni; che non si fa mano in atrocissimis con l’abbreviazione del termine. Oltre il non essere stato notificato, neppure nella Città di Cosenza e Casali comincino simili bandi penali, etiam spediti validamente, nelli luoghi aperti, come quelli sono; ed applicandosi la pena del bando alla parte, cosa che se caminasse, o fosse caminata, sarebbe stata altro, che la Dogana di Foggia. ed essendosi pure, dopo spedito, aggiunte le robe proprie de Marsici ultimi possessori, e per altre cause. E da tempo in qua li suddetti Marsici hanno andato cercando tal chiusura sotto tal vano pretesto, e della Università sempre è continuato il sbarro solito, mantenendosi le sue Regioni, e giurdizioni. E li Marsici ne hanno avuto ricorso a Superiori, de quali più volte si per il civile, come per il criminale sono state commesse informazioni, e da quelle è costato la gran ragione universale, e signatar della informazione pigliatane dal Giudice del luogotenente, quale poi ad istanza di detti Marsici rimane nella reggia Udienza, dove in atto si ritrova il processo con gli altri atti. E trattandosi della espedizione della causa, e vedendo aver nulla ragione, ne appellarono nella Gran Corte, dove non curarono mesi trasmettere gli atti, conoscendo di non poter mai accampar il loro intento contro le notorie universali ragioni, che dopo molti processi fatti loro, che con effetto trasmettessero gli atti, ottennero da detta Gran Corte la revocazione di due promisioni, che omnia reducantur ad pristium, et Regia Audientia provideat: per lo che si fecero più precetti e monizioni ed ultimamente partibus auditis, si propalò decreto, che il Sig. Uditore Filippo Capascio Commissario della causa fusse conferito nelli territori suddetti e vedere, se erano aperti o chiusi; giacche essi esponevano essere chiusi quod decreto notificato colla oppressione del giorno dallo accesso, il predotto Visore sotto li cinque di Agosto 1670 con molti si conferì sopra li menzionati luoghi, e territori, che si riconobbe apertissimi, e senza alcuna chiusura con la via per mezzo, conforme il tutto della relazione fattene esistente nel processo appare di che di nuovo appellarono nella gran Corte della Vicaria; e con tutto ciò la Università si mantiene nel dovuto possesso, e presentata la provvisione di appellazione nella reggia udienza, fu detto quod intimetur parti che replicò, e fatti molti precetti ancor non si non trasmessi gli atti, e la Università osserva li soliti. Lascio da parte, che quando li detti Marsici hanno andato cercando per via di malignità e potenza fa giustizia a quelli della Università predetta, hanno andato facendo esperienza della giusta difesa a chi far ha voluto novità fatta colle mani; del ne hanno esposte più volte, ed in specie l’anno 1670 predetto alcuni creati loro con gente armata volevano menare certe pecore e porci da Terrarocca, furono assaltati, e con molte a quelli dispiacevoli maniere furono costretti a fuggire. E sempre dalla Reggia udienza, che ha veduto li processi accepati, e si è provisto quod sui pensa criminalitate civiliter agatur. Il dappiù da molti processi criminali e civili si può ben vedere.
37. Tiene ancora consuetudine, come per tradizione ha inteso, e da un processo esistente negli atti della Corte de Baglivi possi vedere, che quando muore il marito, alla moglie le tocca la gonnella, ed altro; e morendo la moglie al marito li tocca il letto. Ed in tali casi sempre si ha riguardo al grado, alla dote, e condizione de coniugi: li vecchi più chiaramente ne possono fa fede. Le altre, e molte consuetudini, essendo notissime a figliolo, e non di tanta importanza, le lascio da parte; pregando a chi legge ad amarmi per escusato, se sono stato troppo prolisso.
Finis.
Fin qui il citato scritto compilato da Notar Giovane Yacoe di Filippo di Grimaldo nello anno 1671 copiato da verbo ad verbum, solo ha variato alcune date di anni che per errore de’ copisti erano falsificate, ed altre poche parole, nelle quali si era preso abbaglio, o dalla Autore, o da copisti.