CARNEVALE
  Duminica, Luni e Marti
  'nu si fa nessunu atti
  ma si pensa a mangiare
  ca su i tri jurni di Carnevare

Come si denota dall'etimologia della parola (carnem levare = togliere la carne) il Carnevale stava a significare il periodo in cui, dopo tante minestre di erbe e tanto pane "asciutto" si mangiava finalmente della carne ('e purpette) e della "pasta china", il tutto accompagnato da un buon bicchiere di vino; si denotava un periodo preciso, precedente la Quaresima (tempo di digiuno e di astinenza), di allegria e gioia creata dallo stravolgimento delle monotonie quotidiane, dal capovolgimento delle abitudini, dalla rottura delle regole, sino alla recitazione delle farse, contenute nel testamento du Nannu.
Originariamente si eleggeva un Re per burla, si svolgevano dei cortei mascherati, dei balli in maschera e delle sfilate di carri allegorici.
Tale fenomenologia carnevalesca, storico-religiosa, ravvisava nel carnevale un periodo festivo dello di rinnovamento che tramite il temporaneo e prettamente simbolico caos rappresentato da un Re carnevalesco al posto dell'autorità costituita e da una umanità trasfigurata dalle maschere, poneva al suo termine, una solenne restaurazione dell'ordine normale di una cultura prettamente contadina che, dopo la parentesi, appariva nuovo o rinnovato e garantito per un determinalo ciclo che andava a chiudersi con la successiva festa carnevalesca.
Elementi caratteristici, carichi di valenze devianti, erano (e sono) l'atto del travestirsi o meglio "mascherarsi", le recitazioni di farse e, durante il Martedì Grasso, la rappresentazione della morte del Re o du Nannu (simbolo del medesimo carnevale). La ritualità carnevalesca delle farse, può essere considerata come esigenze di un luogo, di un tempo, di dialogo, confronto, opposizione, vicinanza, collaborazione dei protagonisti di diverso strato sociale; infatti non può essere vista soltanto come luogo di protesta popolare bensì come luogo d'incontro carico di conflittualità dei diversi ceti sociali, portatori di identici e differenti valori.
Il Carnevale era luogo di momentanee trasgressioni alimentari, fuga del paese della faine e rifiuto dell'ideologia del digiuno.
L' "Abbuffata" vera e propria si concentrava nel terzo ed ultimo giorno detto Martedì grasso o anche dell' "Alzata", termini popolari clic denotavano il mangiar ed il bere molto.
Il desiderio di morire per sgregolatezze alimentari il desiderio della "pancia grossa" nascondeva la paura di morire per fame.
Ma in un contesto socio-economico e socio-politico totalmente cambiato, per l'arrivo del capitalismo, dell'emigrazione e dei mutati rapporti produttivi e sociali, Carnevale perdeva così l'antico significato in breve tempo.
In accezione di testa dell'Abbondanza, l'antico carnevale non ha più senso... l'universo che l'aveva espresso e morto anch'esso non nega che, anche oggi, in qualità di festa, si mangia bene ma l'arcaico significato rituale del cibo è venuto a svalutarsi nell'attuale benessere quotidiano. Ancora oggi, in alcuni nostri paesi, durante i giorni che precedono la Quaresima, ragazzi e non, maschere, si aggirano in gruppo nel paese, bussando di porta in porta con t'intendo di farsi riconoscere ed e in tale occasione che gli ospitanti offrono loro dei dolci caratteristici (bugie o chiacchiere). Ma il Carnevale non era soltanto una festa alimentare ... anzi ... i suoi rituali si svolgevano m una pluralità di funzioni affermandone i molteplici bisogni di ritorno, rinascita e resurrezione di una società agro-pastorale tradizionale.
Nel nostro presente, nella nostra Calabria, la quale non è più arcaica ma neanche moderna, le antiche usanze carnevalesche, "squarciano" il velo della dimenticanza e dell'oblio.
Carnevale esercita ancora il fascino di un Re decaduto.
A San Nicola di Crissa, nel catanzarese, l'ultima domenica di carnevale si rappresentava l'incoronazione di Re Carnevale mentre il lunedì il Re si ammalava per aver troppo mangiato e moriva, il martedì venivano eseguiti i funerali.
Sembrano scomparse l'usanza dell'incoronazione ma risultano ancora tradizionalmente eseguite le scene funebri con la recitazione del testamento du Nannu.
… dalle case, dalle vie, dalle piazze partono urli strazianti e pianti sonori ... lentamente procede il corteo funebre ... poi, a tratti, si ferma e recita la farsa che coinvolge le persone di tal .....
Con tale procedimento linguistico, espressione relativamente autonoma delle classi subalterne, dal carattere metaforico, simbolico ed allegorico della produzione folkorica, la farsa non era e non e altro che un messaggio fatto di allusioni e riferimenti sottintesi, non chiari.
In tale forma comica e scherzosa era possibile, finalmente, dire male e prendere in giro, elencare i vizi ed i difetti del "ricco", del medico, dell'avvocato, del prete, e di qualsiasi altra personalità tipica del paese.
Il Carnevale era proprio il simbolo orgiastico della vita stessa, rappresentava l'esasperazione degli elementi vitalistici alimentari e sessuali.
Il riso, le maschere, i cibi rituali, la di menzione sessuale-orgiastica consentivano di immergere la vita nella finzione della morte per farla riemergere più saldamente come vita riaffermata.
La presenza di elementi ludico-rituali e di erotismo sacralizzato nei rituali funerari si iscriveva in una strategia culturale di difesa e riaffermazi6ne della vita.
Il Carnevale si poneva come concentrazione esasperata, caricaturale di vitalità in quanto non morte di questa o quella esistenza, ma morte della vita.
"E' come se il paese, e quindi ciascuno in quanto appartenente alla comunità, giocasse alla morte, per cui nel carnevale - morte mascherata - e maschere della morte si incontrano in una grande metafora per la vita". (Luigi Maria Lombardi Satriani)
Anche nei rituali funerari realistici sono previste occasioni atte a suscitare il riso, percepito come antidoto culturale capace di interrompere il contagio di morte. I rituali funebri carnevaleschi rinviino, con modalità differenziate, a un modello orgiastico, nel quale la vita (i piaceri di essa, l'alimentazione, la sessualità, la coralità ed il rifiuto della normatività quotidiana) si potenzia e si celebra.
La vitalità del gruppo si riaggrega attorno a un morto finto - il Carnevale - che non ha avuto mai spessore realistico.
Il male, la morte vengono individuati ed espulsi, la comunità del "noi-superstiti" celebra la liberazione dello spazio paesano, ritrovando così purificata coesione. Così in tali luoghi, come avviene anche tutt'oggi a Grimaldi, il bisogno del Carnevale si avverte nelle sue "tradizioni carnevalesche" che, pur nella loro ambiguità ed a volte in autenticità, sembrano ricordare l'arcaico Carnevale ed il suo bisogno di vita, di rinascita ... non di una nostalgia del passato ma quella di un differente presente espresso nella cultura dell'apparire e del mostrarsi e non più dell'esserci.
(da Il Grimaldello)