A CANTINA

Un tempo, a Grimaldi, nei terreni situati nelle zone più calde,(i Vasci) crescevano rigogliosi i vigneti. L'impianto era il risultato di molto lavoro e la messa a dimora dei vitigni avveniva dopo che il terreno era stato zappato in profondità (a famosa scippa) e sapientemente squadrato. Dopo un anno si procedeva all'innesto con marze di gaglioppo, malvasia, greco bianco, "pecureddra", con uve pregiate, così da ottenere il vino Savuto unico nel suo genere per le squisite proprietà organolettiche: odore e sapore.
La vicina Aiello, come riporta Vincenzo Padula in "Calabria prima e dopo l'Unità" si forniva del vino che sì produceva da noi: "Il vino vi va da Grimaldi". Estese e numerose dovevano essere le vigne, il toponimo Vigniceddru sta, appunto, ad indicare che un vasto territorio veniva coltivato a vigna e, per la maggiore, andava anche il vino che si produceva a "Monte Orso (il compianto zio Avenzino Ferraro lo vendeva subito "su vampuliìavanu") e a "Chiattedonnicu". Non solo la qualità, ma anche la quantità: da un vigneto che si estendeva su tre tomoli si potevano ottenere, nelle buone annate, fino a 100 barili di mosto, da quaranta litri. In ogni casa vi era una botte e un buon bicchiere di vino accompagnava sia i pasti principali, sia "u murseddru", e, la bevuta, era sempre preceduta dalla esclamazione "Prosit!": "Vi giovi! Buon Pro! Ma, pur avendolo a casa, andare a bere un buon bicchiere di vino "ara cantina" era tutt'altra cosa, soprattutto, per quell'atmosfera d'allegria, di spensieratezza che si creava quando il gomito si alzava più del solito. La cantina, posta al di sotto del piano stradale, formata da due o tre stanze, in una delle quali, scavata nel tufo, erano sistemate, al fresco, le botti, si presentava con un arredo scarno: un bancone, uno o due tavoli, poche sedie, un lavandino con un porta bicchieri attaccato al muro e al centro del soffitto una lampada, dalla luce fioca. Quando uno dice cantina, pensa di aver detto tutto. Ma non è così. La cantina ha segnato la storia di intere generazioni che, intorno al vino, discutevano del lavoro nei campi, del raccolto, dell'andamento stagionale e, spesso, si addiveniva a contratti per la vendita di animali o per la prestazione di mano d'opera, di solito a baratto. Di tanto, in tanto, la serata veniva allietata anche dal suono di un organetto e, qualcuno dei presenti, al ritmo della tarantella era sollecitato a fare quattro salti. Si giocava a carte, briscola e tressette o a scopa in due e si organizzavano "passatelle ccuru patrune e sutta". Animate le discussioni per la distribuzione del vino e capitava che il padrone, delle volte, faceva di tutto, lasciando "all'umbra u sutta", per bere da solo. Dalla cantina, durante il Carnevale, il martedì, "usciva u nannu", una persona di solito alticcia che trovava il coraggio di sistemarsi nella bara per essere trasportato lungo le vie del paese e, a richiesta, "nannu cchi cce lassi a?... disponeva delle proprie sostanze, non senza un filo di ironia che suscitava l'ilarità dei presenti. Diversi negozianti, a cui va il nostro deferente ricordo, non sono più tra noi, ma per quanti li conobbero e li stimar6no restano vivi il sorriso e la signorilità di Francesco Caria, l'affabilità di Nicola Sicoli, la bontà del figlio Peppino, le battute scherzose di Totonno Anselmo, la fierezza di "zu" Filiciantoni, la cordialità di Fiore Falsetti, la benevolenza e l'affabilità di "zu" Peppinu Albo. Intorno al vino sono stati tramandati proverbi e modi di dire che racchiudono le considerazioni e gli ammonimenti della saggezza popolare:
"Ominu e vinu centu u carrinu, (carlino, moneta napoletana corrispondente a 12 centesimi di lira) chine è amicu du vinu de iddru stessu è nimicu, u mmegliu vinu se fa acitu, quannu u cantineri è supra a porta, u vinu è acitu, vulire a vutta china e ra mugliera mbriaca, a frevarti puta paru, a vera puta è a marzu, ma chine puta è pazzu, l'acqua fa male e ni vinu fa cantare, aru tempu de l'uva e a ru tempu de ficu te dimentichi l'amicu, a Santu Martinu ogni mustu è vinu.

Da "La Voce del Savuto" - Gennaio 2002 - di Antonio Guerriero