TOTORO

Tra le opere dell'eccelso Miyazaki, la più dolce, romantica, quella che meglio esprime i sentimenti dell'infanzia è sicura­mente "II mio vicino Tòtoro". Questo lun­gometraggio, in poche parole, racchiude in sé molti valori importanti, quali la cele­brazione della bellezza della natura, il rif­lesso di un'età gentile, la dimostrazione della gioia pura della fanciullezza, l'età più bella della vita di ogni persona. E' una creazione animata che scalda il cuore e rin­franca lo spirito, delicata e sensibile. Rinunciando alla violenza che prevale negli anime contemporanei  ed  in moltissime altre espressioni dei media, met­tendo in luce la vita di gente ordinaria, normale, evidenziando aspetti a noi molto più vicini rispetto a quelli contenuti nella maggior parte dei cartoni di adesso, il maestro ci riporta a quando eravamo bam­bini, ci fa rivivere sensazioni uniche, tipiche di quest'età irripetibile. Molto prob­abilmente, questo è il film nel quale l'au­tore Miyazaki si rispecchia maggiormente in cui più forti sono i sentimenti da lui espressi nella maggior parte delle sue grandiose opere. Secondo la leggenda, i "Tòtoro" sono creature vissute in Giappone prima dell'età dell'uomo, mangiano ghiande ed altre noci, vivono una vita senza preoccupazioni nella foresta. Sono creature del bosco, esseri buffi ed interessanti capaci addirittura di volare; dormono di giorno, mentre di notte sono soliti suonare l'ocarina. La storia è  ambientata nella campagna del Giappone subito dopo la fine della guerra, ed è incentrata sulla, vita di una famigliola composta da due ragazze che vivono insieme al padre ed alla madre ammalata; il capofamiglia è uno scrittore affermato, costretto a cambiare casa per stare il più vino possibile all'ospedale nel quale si trova ricoverata la moglie, grave­mente ammalata di tubercolosi. Le due figlie, Satsuki la maggiore e Mei. la minore, si trasferiscono anch'esse, dando una mano per il trasloco. Il primo giorno, mentre stanno mettendo su il mobilio e dando una ripulita, le due ragazzine incon­trano i Makkurokurosuke, piccoli spiritelli neri che vivono nelle case polverose. Già dalla prima sera, questi esseri pelosoni decidono di andarsene di gran carriera, riluttanti all'idea di dover dividere la casa con degli esseri umani. Presto Satsuki inizia la scuola, e Mei passa le giornate da sola esplorando le campagne vici­no a casa, posizionata all' interno di una comu­nità agricola. Saggiamente, la piccola gira per i boschi stando lontana dalla fattoria per non disturbare il padre, intento a scrivere. Nel suo bighellonare senza meta, presto incontra un Tòtoro in cerca di ghiande; ne rimane subito enormemente affascinata, ed in poco tempo riesce a farci amicizia. Ne incontra uno piccolo, bianco chiamato "Chibi Tòtoro", uno leggermente più grande denominato "Chu Tòtoro", ed alla fine conosce anche un Tòtoro enorme, uscito da un gigantesco buco in un albero. Successivamente anche la sorella più grande Satsuki viene a conoscenza dell'esistenza di questi strani esseri, facendo subito conoscenza con loro e diventando amici, e questo da inizio alle avventure fantastiche delle due giovani. I totoro sono stati chiamati in molti modi; esseri "pellicciosi", spiriti simili a conigli, anche se di base essi non sono altro che creature della foresta. Questo non è un personaggio   tipico   della tradizione nipponica, ma è stato creato totalmente dall'im­maginazione   dell'immenso Hayao Miyazaki, tuttavia egli è, ovviamente, una mistura di diversi animali: Tanukis (ver­sione giapponese del pro­cione), gatto, per le orecchie a punta e l'espressione facciale e gufi, per i disegni sulla pelliccia del petto ed i versi che fanno di notte suonando l'ocarina. Il nome "Totoro" viene dall'errore di pronuncia di Mei (i bambini infatti molto spesso balbettando non pro­nunciano correttamente le parole, quindi, probabil­mente, la piccola avrà detto totoro), che è la parola giapponese che significa "troll". Il grande O Totoro è grigio, quello medio (Chu) è blu, mentre il piccolo (Chibi) è bianco. O vuoi dire grande, Chu significa medio e Chibi piccolo. All'interno di questa grande foresta incantata vi è un altro essere molto interessante, il "gatto-bus; egli è un bus che sembra un gatto, o un gatto che funziona come un bus. In Giappone si crede che i gatti abbiano il potere magico di cambiare la loro forma se sono abbastanza vecchi, ed essi sono chiamati "Bake Neko". Il gatto-bus è proprio uno di questi bizzarri esseri, che ha visto un autobus e ne è rimasto affas­cinato, decidendo così di assumere il suo aspetto (pensate se avesse visto un treno!). Il disegno del soggetto è di Miyazaki, tuttavia non si può pensare che egli non si sia in parte ispirato dal gatto di "Alice nel paese delle meraviglie", poiché vi sono diversi ele­menti che richiamano alla memoria proprio il gatto immaginario uscito dalla mente geniale di Walt Disney. Sopra la pelle del cat-bus, vi è la scritta del nome della foresta dove vivono spensierati i totoro, Tsukonari (praticamente l'indicazione della desti­nazione che tutti noi possiamo vedere quando pren­diamo il mezzo pubblico). Quando, preoccupata, Satsuki cerca Mei perdutasi nella foresta, le si fa incon­tro il gatto-bus, che, fermatesi dinnanzi a lei fa scor­rere diverse scritte, quali "Nagasawa", "Ushinuma", ed infine "Mei". Tramite questo espediente egli riesce a convincere la ragazza a salire a bordo (solitamente il cat-bus trasporta solo i totoro) portandola dalla sorellina smarrita. I Dust Bunnies sono piccoli ani-maletti neri lanuginosi, grossi come palline da tennis da tavolo, che vengono chiamati in giapponese "Makkuro Kurosuke", e sono gli stessi che abitavano nella casa della famigli poco lì trasferitasi, che, andandosene via indignati, sono andato ad abitare nei buchu degli alberi dove vivono i totoro. Per farli andare via Satsuki e Mei gli hanno intimato di venire allo scoperto, altrimenti avrebbero cavato loro gli occhi. La malattia che affligge la madre delle due giovani e simpatiche bambine è la tubercolosi; l'ospedale nel quale è stata ricoverata ha una buona reputazione, ed è questo il motivo principale per il quale la famiglia si è trasferita. La casa fu antica­mente costruita da un ricco uomo di città, la cui moglie soffriva la stessa malattia della donna. Il fatto che un personaggio, chive, come la madre delle due protagoniste sia ammalata di tubercolosi è forte­mente autobiografico, poiché proprio la genitrice di Miyazaki era gravemente afflitta da questo terribile male. Gli alberi entro i quali sono soliti vivere i totoro, sono adornati da corde sacre, chiamate Shimenawa, costituite da nastri di carta e paglia di riso, e stanno a sottolineare la sacralità della pianta;questo fa parte dell'aspetto naturalistico dello Scintoismo, la religione nativa del Giappone, che presenta elementi ancestrali mischiati a credenze culturali della tradizione nipponica. Quando il padre e le due bambine legano un fiocco all'albero, lo fanno per ringraziare il suo spirito e quello di tutta la foresta per aver protetto Mei quando si era persa. I totoro, in un certo senso, sono letteral­mente l'incarnazione dello spirito della foresta e degli alberi. All'interno della storia si può notare un vecchio santuario scintoista abbandonato.posto sotto le fronde di un ramo. Nel Buddismo giap­ponese, c'è la tradizione di costruire piccole cap­pelle ai lati delle strade, erette spesso in memoria dei bambini morti, e la figura eretta è quella di OJizou-Sama, una sorta di Dio posto a loro pro­tezione. Durante una violenta burrasca, Satsuki e Mei s'inginocchiano davanti ad uno di questi altari, chiedendo al Dio di restare lì con loro fino al ter­mine del temporale. Anche quando in precedenza la piccola si rende conto di essersi persa, fiduciosa si siede vicino ad una lunga fila di statue raffiguranti il Dio buono, e questo è il mezzo attraverso  il quale Miyazaki ci vuole far intendere che Mei è finalmente salva, pro­prio perché guardata con benevolenza da queste entità superiori.

La storia si svolge nella città di Tokorozawa, nella prefettura di Saitama, la stessa città in cui visse il maestro. E' una comunità agricola circondata dalle colline Saytama Kyuuryou. Il personaggio principale, doveva inizialmente essere uno solo, ma poi l'autore decise di farne due, uno più giovane ed uno più vecchio, e questo è evidenziato anche nome delle giovani con il Mei è una versione giapponesizzata di May (Maggio), Satsuki è invece una vecchia parola giapponese che significa "il quinto mese dell'anno" (sempre Maggio). A Miyazaki, come si sa, non piace fare seguiti, dal momento che proprio non gli interessa continuare una cosa che comunque è già stata fatta, in aggiun­ta a questo, egli non vuole assolutamente che le due bambine rivedano mai più i totoro; secondo lui, se le due giovano fossero rimaste nella foresta incantata, popolata da esseri fantastici e da presenze magiche, esse non sarebbero più state in grado di tornare nel mondo degli umani. Nel finale della sto­ria infatti, la madre torna a casa, e le ragazzine tor­nano normali. Cosa dire ancora di questo anime che non possa ampiamente essere spiegato con le fan-tastiche immagini che state bramosamente osser­vando in questo momento? Un cartone di spessore come questo si colloca sicuramente alle vette più alte dell'Olimpo dell'animazione non solo giap­ponese, ma mondiale! La cosa che più fa imbufalire è il fatto che un capolavoro come questo non abbia visto ancora la luce nel nostro paese, mentre altrove è stato commercializzato da tempo (ad esempio negli Stati Uniti). Speriamo che adesso che la Disney si è impossessata dello studio Ghibli si riesca final­mente ad aver notizia anche qui da noi non solo di Tonar; no Totoro, ma anche delle altre produzioni del genio Hayao Miyazaki.

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