Il ghiro (Glis glis), nella nostra cultura, è sinonimo di dormiglione a causa del lungo letargo in cui cade durante l’inverno (alle nostre latitudini trascorre circa metà della vita dormendo e, in climi più freddi, il letargo arriva ad allungarsi ulteriormente), ma in realtà, quando è in piena attività nella stagione estiva, è un agile e veloce arrampicatore ed un equilibrista perfettamente adattato alla verticalità della foresta. Il suo aspetto è infatti molto simile a quello di uno scoiattolo, con una lunga e folta coda che gli serve come equilibratore nei movimenti sui rami e quattro zampette prensili per afferrarsi saldamente alle fronde. A differenza dello scoiattolo, però, il suo mantello è di un grigio uniforme (ed inoltre, in media, le sue dimensioni sono leggermente più piccole), la testa è più simile a quella di un topolino con due piccole orecchie nere, prive, alla loro sommità, di quei buffi ciuffetti di pelo che caratterizzano invece le orecchie degli scoiattoli.

            Gli occhi del ghiro sono molto grandi, talvolta bordati di nero, tipici di un animaletto dalle abitudini notturne. Infatti è dal tramonto del sole fino all’alba che la bestiola esce dal suo rifugio per compiere le proprie attività, la prima delle quali è la ricerca del cibo.

            Per tutta la primavera e l’estate l’alimentazione del ghiro è molto varia e comprende principalmente vegetali e frutti del bosco, ma viene integrata con insetti, uova e nidiacei di uccelli ed addirittura viperidi. Delle abitudini nutrizionali siffatte, spiegano il grande successo ecologico di questo roditore che è diffuso in tutta Italia, in qualsiasi formazione vegetale, dalle poche residue delle pianure (siepi, boschi riparali ecc.) a quelle d’alta montagna che lambiscono i 2000 metri di quota. Anche se, avendone la possibilità, preferisce l’ambiente collinare e montano al di sotto dei 1000 metri di altitudine, con boschi misti di querce, castagni e conifere.

            Quando poi sorge il sole il ghiro si rintana per dormire in cavità naturali, nidi abbandonati di picchi o di altri uccelli, oppure in un caratteristico rifugio di forma globosa che si costruisce tra i rami intrecciando stecchi e fronde.

            La stagione degli amori inizia in maggio e dura per tutta l’estate, ma, a differenza degli altri roditori che sono sempre piuttosto prolifici, si verifica un solo parto all’anno, tra giugno ed ottobre, quando, dopo una gestazione di circa un mese (29-30 giorni), nascono dai cinque ai sette piccoli. Questi, inizialmente, sono ciechi e nudi e solamente dopo tre settimane apriranno gli occhi ed inizieranno a nutrirsi da soli.

            Spesso capita che due o tre femmine partoriscano ed allevino i piccoli nello stesso nido: infatti il ghiro è un animale gregario, a differenza degli scoiattoli o del suo cugino moscardino, ed è abbastanza frequente trovare alcuni individui che condividono anche il rifugio in cui trascorrono il letargo.

            E veniamo perciò al comportamento del ghiro più conosciuto: il letargo.

            Quando l’estate volge al termine l’alimentazione del piccolo roditore diviene a base di ghiande, castagne ed altri frutti del bosco particolarmente nutrienti, che trasformano la bestiola in una palletta di grasso: in questo periodo, infatti, l’animaletto giunge a pesare anche 200 o 300 grammi, contro un valore che va dai 70 ai 180 nel periodo estivo. Questo tessuto adiposo sarà la sua scorta di nutrimento per i mesi a venire.

            In passato, però, questa sua capacità di accumulare lipidi costituiva spesso la fine per il piccolo roditore. Non certo per eccesso di colesterolo nel sangue, quanto per il fatto che i montanari catturavano i ghiri, li chiudevano in una bigoncia e qui li nutrivano finché non diventavano belli grassi. Dopodiché li arrostivano. Se per l’animaletto era una fine ingloriosa, per i montanari era una voce importante dell’alimentazione, in cui il ghiro forniva un notevole apporto di proteine nobili (sempre piuttosto rare nella dieta degli abitanti delle montagne) e di grassi utili per superare i rigori dell’inverno.

            Mentre il ghiro si preoccupa di aumentare di peso, contemporaneamente accumula grandi riserve di cibo nel rifugio in cui in autunno inoltrato cadrà in letargo. Queste non gli serviranno certo durante l’inverno, quando il suo metabolismo e la sua attività nervosa si ridurranno al minimo, tanto che la sua temperatura corporea si abbasserà dai normali 35,5°C fino a diventare simile a quella dell’ambiente. Bensì gli saranno utili al momento del risveglio, in primavera avanzata, quando, ormai dimagrito ben oltre la metà del suo peso, non avrebbe le energie sufficiente per uscire alla ricerca di cibo.