Uno dei sogni degli escursionisti che percorrono i crinali del nostro Appennino coltivano in cuor loro è quello di incontrarla: avvistarla mentre sorvola le valli e le gole sospinta ad alta quota da correnti ascensionali. Lei, la signora dei cieli. Mi riferisco (naturalmente!) all’aquila reale (Aquila chrysaaetos).

A volte un grido stridulo attira l’attenzione del viandante sulla sagoma di un rapace, ma di solito si tratta di una specie più piccola e comune: la poiana (Buteo buteo).

            Però l’aquila, per quanto rara e difficile da avvistare, nidifica sulle ripide rocce a strapiombo dei versanti romagnoli del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna. Ne sono state censite due coppie che vivono stabilmente in quest’area.

            L’Aquila reale è una specie scarsa in Italia, soprattutto in Appennino, in cui le aree di nidificazione sono ridotte, localizzate e disperse, oltre che, in vari casi, piuttosto piccole e quindi incapaci di ospitare molti individui.

            Il piumaggio degli adulti è di un colore bruno uniforme con riflessi dorati sulla testa, sulla nuca e sul bordo anteriore delle ali.

            La sua sagoma in volo planato è molto caratteristica, con ali e coda molto lunghe (l’apertura alare varia da 1880-2120 mm nel maschio a 2150-2270 mm nella femmina, che ha dimensioni maggiori). La coda è larga e quadrata e le ali ampie e rettangolari, con estremità molto “digitate” (cioè l’estremità dell’ala sembra quasi una mano con le dita aperte). Le penne remiganti, che appaiono come dita, se osservate da vicino, mostrano una profonda incisione, quasi come se mancasse una parte delle barbe da uno dei due lati. Si vengono a formare così dei vuoti nella superficie alare, vuoti che possono arrivare al 40% di tale superficie e che hanno la funzione di rallentare il volo dell’animale senza fargli compiere sforzi muscolari. L’aquila infatti è un veleggiatore, come si può intuire dalla forma delle ali, grandi ed allungate come quelle degli alianti, che le consentono lunghe permanenze in volo sfruttando le correnti termiche e, quindi, senza sprecare energie.

            Su questo sistema di volo a vela è basata anche la principale tecnica di caccia dell’Aquila reale, che sorvola ed esplora le zone aperte (pascoli e praterie; nel nostro caso una delle sue aree di caccia predilette è l’altopiano di S. Paolo in Alpe) in cerca di prede (in questa zona roditori, insettivori, lepri ecc., ma anche carogne). La vista dell’aquila è infatti molto più acuta di quella umana (si calcola che corrisponda a quella di una persona munita di un binocolo a dieci ingrandimenti). Però questo sorvolo di solito non avviene ad alte quote, ma l’aquila si lascia cadere velocemente fin quasi al suolo e procede rasentando il terreno mentre compie una rapida esplorazione di tutti gli anfratti, gli arbusti ed i cespugli. In questo modo la preda viene colta di sorpresa e non ha modo di sfuggire agli artigli del predatore, che sono molto lunghi (anche 6-8 cm) e incurvati ad uncino: con tali artigli la preda viene afferrata saldamente ed uccisa per soffocamento dalla forte stretta che questi riescono ad esercitare.

            Inoltre è riferito che, sebbene abbia grandi dimensioni, l’Aquila reale sia in grado di compiere notevoli evoluzioni in volo per afferrare altri uccelli, anche molto agili e veloci.

 

Ascolta il grido dell’Aquila

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            Ma forse le evoluzioni più spettacolari vengono compiute tra gennaio e marzo, quando il maschio e la femmina compiono le loro parate nuziali in volo. I movimenti sono lenti e composti, seguono traiettorie ondulate e semicerchi ampi. La coppia sale ad alta quota, ma spesso compie rapide picchiate senza battere le ali; di frequente uno dei due partner si rovescia sul dorso in pieno volo e tocca i propri artigli con quelli del compagno.

            Il nido è fatto di rami e viene costruito sulle pareti rocciose o, a volte, su grandi alberi ed è di grandi dimensioni, soprattutto se viene usato per molti anni, dato che, di anno in anno, la struttura viene rinnovata con l’aggiunta di nuovi rami. Alla sua costruzione partecipano sia il maschio che la femmina. La quale, a partire da marzo, vi depone solitamente 2 uova (ma il numero di uova può variare da 1 a 3), biancastre macchiettate di marrone, che cova per 43-45 giorni (in questa operazione può essere sostituita, occasionalmente e per brevi periodi, dal maschio).

            Nei rapaci la deposizione delle uova non avviene mai in contemporanea: tra un uovo e l’altro intercorrono sempre alcuni giorni (nell’Aquila reale tra i 2 ed i 5). In questo modo anche i pulcini nasceranno in momenti diversi, in modo tale che il primogenito risulti sempre più grande dei fratelli. In questa situazione il più grande è anche quello più affamato, aggressivo e forte e riesce sempre ad accaparrarsi i bocconi migliori ed una maggiore quantità di cibo. Tanto che, in situazioni di scarsità di cibo, i fratelli minori soccombono.

            Tutto questo può apparire crudele, ma corrisponde ad una precisa strategia di controllo della popolazione: infatti la popolazione di una specie che si trova al vertice della piramide alimentare, non può essere composta da un numero troppo elevato di individui e pertanto non può essere troppo prolifica. Capita la stessa cosa per il lupo o per il leone e capitava pure per l’uomo preistorico, quando i nostri antenati vivevano di caccia e di raccolta (in quest’ultimo caso il numero di nascite veniva controllato mediante vari tabù).

            I pulcini di Aquila reale, nidicoli (cioè incapaci di camminare o volare per la prima fase della loro vita, per cui restano nel nido accuditi dai genitori), sono ricoperti di un soffice piumino di colore bianco, e vengono nutriti da entrambi i genitori. A 65-70 giorni di vita iniziano a compiere i primi voli. Gli immaturi ed  giovani hanno un piumaggio bruno come quello degli adulti, ma caratterizzato da ampie aree bianche alla base della coda e sulla pagina inferiore delle ali. Assumeranno la colorazione tipica degli adulti intorno ai tre anni di età. Inizieranno ad accoppiarsi a 4 o 5 anni.

            Allo stato selvatico l’Aquila reale può raggiungere la veneranda età di 26 anni. Ma questo non è affatto facile: nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna (come in altre zone in cui nidifica questa specie, del resto), il territorio non può ospitare nuovi individui a causa delle risorse alimentari sufficienti solo per gli esemplari già presenti. I giovani debbono andare alla ricerca di nuove zone in cui stabilirsi, ma l’abbondante presenza umana al di fuori dell’area del Parco ne determina ben presto la morte: elettrodotti, strade e pesticidi utilizzati in agricoltura sono i loro peggiori nemici (e talvolta, purtroppo, a questo nefasto elenco si aggiunge pure qualche fucilata).

 

 

Bibliografia:

 

I TACCUINI DI AIRONE – traduzione e adattamento da “Cuadernos de Campo di Felix Rodriguez de la Fuente – Editorial Marin, Barcelona 29 (Spagna)” a cura di Maurilio Cipparone – L’airone di Giorgio Mondatori e Associati S.p.A. N. 5, 29 Novembre 1983.

IL MAGICO MONDO DEGLI UCCELLI, Istituto Geografico De Agostini S.p.A., Novara, 1994

 

 

Il richiamo dell’aquila è stato scaricato dal sito: http://www.scricciolo.com/

 

 

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