CARD. C. SCHÖNBORN: ESTRATTI DAL LIBRO
“LE SORGENTI DELLA NOSTRA FEDE.
LITURGIA E SACRAMENTI NEL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA”
Ed. JAKA BOOK, 1998
IL SACRAMENTO
DEI SACRAMENTI
I sette sacramenti costituiscono «un organismo nel quale ciascuno di essi ha un ruolo vitale». Ma tra tutti i sacramenti l’Eucarestia ha il significato più importante. Essa è chiamata «il sacramento dei sacramenti»: «gli altri sono tutti ordinati a questo come alloro specifico fine» (CCC 1211).
«Mistero
della fede», dice il diacono o il sacerdote dopo la transustanziazione. Questa
frase significa forse che siamo di fronte ad uno dei misteri della nostra fede?
Da un certo punto di vista possiamo rispondere affermativamente, poiché
esistono molti misteri di fede, cioè realtà che possiamo comprendere e toccare
solo nella fede: il mistero di Dio stesso, uno e trino; il mistero di Gesù
Cristo, vero Dio e vero uomo. «Ciò che il tuo occhio non può vedere, la tua
mente non può capire, lo comprende la fede salda», dice san Tommaso a
proposito dell’Eucarestia nel «Lauda Sion».
Ma la frase
«mistero della fede» possiede anche un altro significato. Tutto quello che la
Chiesa crede e vive viene celebrato nell’Eucarestia. «Tutta la storia della
salvezza – la venuta di Cristo nel mondo con l’Incarnazione, il suo annuncio,
il suo sacrificio sulla croce per la remissione dei nostri peccati, la sua
resurrezione e la sua ascensione – è in un certo senso concentrato sull’altare,
reso presente ed efficace per gli uomini e le donne che insieme e con tutta la
Chiesa celebrano l’Eucarestia» (J.-H. Nicolas, in H. Luthe, Christusbegegnung
in den Sakramenten, 1982).
Per
questo motivo il Concilio chiama l’Eucarestia «fonte e apice di tutta la vita
cristiana» (CCC 1324). In essa i due movimenti della vita cristiana, quello che
discende da Dio fino all’uomo e quello che dall’uomo va verso Dio, si riuniscono.
L’Eucarestia
è in primo luogo il grande dono di Dio agli uomini, il dono del suo Figlio: «Il
pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo... Io sono il
pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il
pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6,33-51; CCC 1336). L’Eucarestia
è «fonte e apice» di tutti i doni di Dio per noi: infatti racchiude Cristo
stesso (CCC 1324), che il Padre «ha dato per tutti noi» e nel quale ci dona
ogni cosa (Rm 8,32). Nell’Eucarestia Dio ci viene incontro; egli ci parla con
la sua Parola, si riconcilia con noi tramite il sacrificio dell’amore, ci dona
la sua vita tramite il «pane di vita», ci manda come suoi testimoni (CCC
1332).
L’Eucarestia
è anche «fonte e apice» di tutte le risposte dell’uomo a Dio. È la preghiera perfetta perché
ricorda il sacrificio di Gesù al Padre; è il sacrificio perfetto perché
possiamo introdurre nel sacrificio di Cristo i nostri doni e noi stessi; è il
sacramento dell’unione intima dell’uomo con Dio (CCC 1323).
L’ULTIMA
CENA DI GESÙ
L’Eucarestia
è stata fondata da Gesù stesso? Non si può seriamente mettere in dubbio che i
quattro racconti dei Vangeli sull’«ultima cena» riportino in modo storicamente
esatto ha sostanza di ciò che il Signore fece la notte prima della sua
passione, durante il pasto serale nella sala di una determinata casa di
Gerusalemme. Ma non possiamo non notare che vi sono delle differenze nei
racconti, le quali lasciano aperte alcune questioni: perché solo i tre
sinottici (Matteo, Marco, Luca) e san Paolo raccontano della cena e non
Giovanni, il quale riporta il «discorso eucaristico» di Gesù nella sinagoga di
Cafarnao (Gv 6), la lavanda dei piedi e il discorso di congedo di Gesù (Gv
13-17)? L’ultima cena di Gesù era la cena pasquale ebraica (così i sinottici) o
ebbe luogo il giorno prima (Gv 18,28)?
Una
cosa è certa: «La Chiesa, fin dall’inizio, ha celebrato l’Eucarestia. La
celebrazione eucaristica è stata sempre il centro della sua vita!» (R. Pesch, Wie
Jesus das
Abendmahl
hielt, Herder,
Freiburg 1977). Sono cambiati i nomi: dallo «spezzare il pane» (At 2,42) dei
primi tempi alla «Eucarestia», alla «liturgia divina» dell’Oriente cristiano,
alla «santa messa» della tradizione latina (CCC 1328-1332). Ma in tutte queste
denominazioni è presente la certezza di realizzare in questa celebrazione il
compito del Signore: «fate questo in memoria di me» (1 Cor 11,24).
Che
cosa fece Gesù nell’ultima cena? In due punti della cena (pasquale) egli compie
qualcosa di nuovo, di inaspettato: all’inizio del pasto, nel momento in cui
generalmente viene recitata la preghiera di benedizione del pane, egli lo
prende, pronuncia la preghiera di ringraziamento (forse con le parole che ancor
oggi vengono utilizzate nella preghiera ebraica), lo spezza e lo porge ai suoi
discepoli con queste nuove parole: «Questo è il mio corpo, dato per voi». Alla
fine della cena, quando secondo l’uso ebraico viene pronunciata la benedizione
sulla «coppa di benedizione», seguono queste misteriose parole: «Questo calice
è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi» (Lc 22,20).
Che
cosa significano queste parole, a noi così familiari, che accompagnano i gesti
di Gesù? Esse parlano della morte imminente di Gesù e si riallacciano ai gesti
e alle parole della tradizione pasquale ebraica. La passione e la morte di Gesù
sarà la nuova Pasqua, che non libera più dalla schiavitù dell’Egitto, bensì
dai peccati («in remissione dei peccati»). La «Pasqua» di Gesù, il suo
«passaggio» fino al Padre attraverso la morte e la resurrezione, è l’«esodo»
nuovo e definitivo (CCC 134) e come il popolo ebraico, celebrando la Pasqua,
ricorda ancora l’uscita dall’Egitto, così noi celebriamo la morte del Signore
«finché egli venga» (1 Cor 11,26; CCC 1344).
Le
parole e i gesti di Gesù durante l’ultima cena non solamente fanno presagire la
venuta imminente della sua passione e resurrezione: essi già la anticipano. Il
Signore, porgendo nella cena il pane e il calice come il suo corpo e il suo
sangue, dona ai Dodici, nel cenacolo, ciò che tramite la sua croce ottiene per
il mondo: la salvezza.
FORMA
E CAMBIAMENTO
DELLA
MESSA
«Nella
liturgia la Chiesa dimostra nel modo più profondo e completo come essa
comprende l’Eucarestia» (H. Vorgrimler, Teologia dei sacramenti, Queriniana,
Brescia 1992). Per questo è importante comprendere la struttura e la forma
della celebrazione eucaristica, le quali esprimono chiaramente il significato
della messa.
Nel
corso dei secoli, la celebrazione eucaristica ha avuto una notevole
trasformazione. Come «spezzava il pane» san Paolo con le sue comunità (cfr. At
20,7-12)? Come si svolgeva la messa nelle catacombe di Roma? Col passare degli
anni sopraggiunge inoltre la suddivisione nei diversi riti, che hanno
sviluppato ognuno forme molto diverse. Chi conosce la celebrazione della
liturgia orientale-bizantina sa quanto profonde siano le differenze tra questa
e la messa del rito cattolico romano.
Tuttavia
vi è una forma fondamentale e permanente dell’Eucarestia, che ha le sue radici
nella liturgia ebraica (CCC 1096) ed è testimoniata già nel II secolo. Il
Catechismo (CCC 1343) cita in modo dettagliato la descrizione della liturgia
cristiana fatta da san Giustino Martire intorno all’anno 135. A questo
proposito, inoltre, dobbiamo considerare anche che i cristiani in pubblico
serbavano il silenzio sul mistero profondo della loro Eucarestia, aperta solo
ai battezzati («Disciplina dell’arcano»).
Giustino
racconta che i cristiani la domenica accorrevano in uno stesso luogo (CCC
1348). Egli descrive in modo chiaro il «ministero della Parola di Dio»:
venivano letti brani tratti dagli scritti degli apostoli e dei profeti, poi
colui che presiedeva li spiegava; infine l’assemblea recitava preghiere per
tutti gli uomini. Questa prima parte si concludeva —come avviene ancor oggi
nella Chiesa orientale — con il
saluto di pace (CCC 1349).
Al
centro della celebrazione eucaristica vi è quella preghiera che dà il nome
alla celebrazione: Giustino parla di un «rendimento di grazie» (eucharistia),
pronunciato da colui che presiede l’assemblea. È la nostra preghiera eucaristica,
preceduta dall’offerta delle oblate e della colletta, cioè la raccolta per i
bisognosi (CCC 1331). La preghiera eucaristica è in primo luogo lode di
ringraziamento al Padre per tutto ciò che egli ha compiuto di grande per noi,
in particolare per il dono del suo Figlio, per la sua morte e resurrezione.
Oggi questo è il contenuto del Prefazio (CCC 1332).
Già
nella preghiera ebraica il ricordo delle opere di Dio non è solamente memoria,
ma un rendere presente. La passione, morte e resurrezione, il dono sacrificale
di Cristo per noi al Padre, diventa presente nella memoria (CCC 1337). Con la
forza delle parole di Cristo («Questo è il mio corpo...») e l’azione dello
Spirito Santo, il sacrificio di Cristo, anzi Cristo stesso diventa presente
nelle specie del pane e del vino (CCC 1333). La celebrazione si compie con la
«cena del Signore», quando si riceve l’Eucarestia, il pane e il vino divenuti
corpo e sangue di Cristo (CCC 1333).
Nonostante
tutti i cambiamenti, questi elementi essenziali costituiscono attraverso tutti
i secoli «la messa di ogni tempo» (CCC 1336).
IL
SACRIFICIO EUCARISTICO
L’espressione
«sacrificio eucaristico» è un po’ fuori uso, ma esprime qualcosa di essenziale
riguardo al significato dell’Eucarestia. Che cosa significa qui la parola
«sacrificio»? Il Concilio dice: «Il nostro Salvatore nell’ultima cena, la
notte in cui veniva tradito, istituì il sacrificio eucaristico del suo corpo e
del suo sangue, col quale perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il
sacrificio della croce, e per affidare così alla sua diletta sposa, la Chiesa,
il memoriale della sua morte e resurrezione...» (CCC 1323).
Qui
sono da evidenziare tre affermazioni in modo particolare: 1) la morte di Gesù
sulla croce fu un sacrificio; un sacrificio fu anche la celebrazione istituita
da Gesù durante l’ultima cena; 2) essi sono in relazione reciproca: per mezzo
del sacrificio eucaristico continua il sacrificio sulla croce; 3) questa
continuazione avviene nella forma di un «memoriale».
Nostro
Signore Gesù Cristo ha vissuto tutta la sua vita sulla terra come offerta al
Padre (CCC 606). La sua vita e la sua passione sono espressione della sua
missione «per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45;
CCC 608). Per poter comprendere e celebrare la messa come sacrificio dobbiamo
ricordare che Cristo ha versato il suo sangue per noi e per tutti «in
remissione dei peccati». Cristo ha dato la sua vita per tutti gli uomini. «Non
vi è, non vi è stato, non vi sarà alcun uomo per il quale Cristo non abbia
sofferto» (CCC 605). La croce di Gesù è il sacrificio perfetto e
incomparabile: rendere Dio benevolo nei nostri confronti non dipende anzitutto
dallo sforzo umano, ma è un dono del Padre: egli ci dimostra il suo amore di
riconciliazione quando Cristo toglie il peso del «no» dei peccati con il «sì»
del suo amore.
Ciò
che Cristo ha compiuto una volta per tutte (CCC 616) ha voluto anche che
continuasse fino al suo ritorno. Per questo egli, nella notte prima della sua
morte, ha istituito la celebrazione che compiamo ancor oggi come lui ci ha
detto. Perché l’Eucarestia è un sacrificio? Per prima cosa essa è memoria
dell’unico sacrificio di Cristo: «fate questo in memoria di me» (1 Cor 11,24).
«Memoria» qui non èsemplicemente ricordo, celebrazione, ma un «rendere presente»
(CCC 1363): se nell’Eucarestia annunciamo e commemoriamo la morte e
resurrezione di Cristo, esse vengono «ri-presentate», cioè rappresentate e
rese presenti (CCC 1366).
Il
sacrificio di Cristo non si ripete: è avvenuto una volta per tutte, è valido
per sempre. Con la celebrazione eucaristica, però, esso viene reso presente e
diventa efficace per noi. Diventa dono per noi. Per questo il Concilio dice,
utilizzando una antica formula liturgica: «Ogni volta che il sacrificio della
croce, col quale Cristo, nostro agnello pasquale, è stato immolato, viene
celebrato sull’altare, si effettua l’opera della nostra redenzione» (CCC 1364).
Se considerassimo queste parole nel nostro cuore, come ci apparirebbe
delizioso il dono dell’Eucarestia!
LA
MESSA: SACRIFICIO DI CRISTO
Il
profeta Malachia aveva predetto: «Dall’Oriente all’Occidente grande è il mio
nome fra le genti e in ogni luogo è offerto incenso al mio nome e una oblazione
pura» (Ml 1,11). Sin dai tempi più antichi gli autori cristiani hanno compreso
queste parole come la promessa dell’Eucarestia, celebrata ovunque sulla terra
da tutti i popoli radunati attorno a Cristo. Il Concilio di Trento (1562)
afferma: «Ecco l’oblazione pura che non può essere macchiata da nessuna
indegnità o malvagità». La III preghiera eucaristica riprende di nuovo Malachia: «... continui a radunare intorno
a te un popolo, che da un confine all’altro della terra offra al tuo nome il
sacrificio perfetto».
Come
dobbiamo comprendere il fatto che si tratta dell’unico sacrificio, nonostante
venga offerto ovunque sulla terra? L’unico sacrificio e le tante messe è il
titolo di un’opera di Karl Rahner. Il Concilio di Trento spiega: «In questo
divino sacrificio, che si compie nella messa, è contenuto e immolato in modo
incruento lo stesso Cristo, che si offrì una sola volta e in modo cruento sull’altare della
croce... Si tratta infatti di una sola e identica vittima e lo stesso Gesù la
offre ora per il ministero dei sacerdoti, egli che un giorno offrì se stesso sulla croce:
diverso è il solo modo di offrirsi» (CCC 1367).
Che
cosa significa per la Chiesa, per noi, celebrare il sacrificio di Cristo? Esiste
l’antica usanza di «offrire la messa», per i vivi o per i defunti, o per alcune
intenzioni particolari della Chiesa, del singolo, della società, donando a
questo scopo anche una certa somma di denaro. Alcuni si scandalizzano di
questo, dimenticando però che nei Paesi poveri l’offerta per le messe spesso è
uno dei pochi mezzi di sostentamento del sacerdote. Certamente la messa non si
può né comprare né pagare; tuttavia l’offerta durante la messa e per la messa
simboleggia che noi stessi, con la nostra vita, le nostre preoccupazioni
e i nostri desideri, ci «introduciamo» nell’unico sacrificio di Cristo. Possiamo unirci all’offerta
di Cristo al Padre per la salvezza di tutti gli uomini, esprimendo con la
nostra offerta visibile l’offerta di noi stessi con Cristo «sull’altare del
nostro cuore».
L’Eucarestia
è il sacrificio della Chiesa, perché la Chiesa è il corpo di Cristo (CCC 1368):
egli per noi, noi con lui —il capo
e le membra — e come la sua donazione
avviene per noi, così noi possiamo collegare con lui la nostra vita, le nostre
sofferenze e il nostro operare. Nell’azione liturgica questa partecipazione è
rappresentata dall’aggiunta di alcune gocce di acqua al vino: «L’acqua unita
al vino sia segno della nostra unione con la vita divina di colui che ha voluto
assumere la nostra natura umana». Il nostro piccolo sacrificio si unisce al
grande e unico sacrificio di Cristo.
LA
PRESENZA DI CRISTO
NELL’EUCARESTIA
In
una catechesi dei primi cristiani leggiamo: «Non prendere il pane e il vino
eucaristici come elementi materiali e comuni. La Parola del Signore ci assicura
che essi sono il suo corpo ed il suo sangue, e se anche i sensi ti suggeriscono
diversamente, ricorda che la fede ti insegna con certezza la verità. Non
giudicare con il palato, ma abbraccia la fede che ti assicura della degnazione
di Cristo di donarti il suo corpo ed il suo sangue» (Cirillo di Gerusalemme, Catechesi
mistagogiche 4,6; trad. it. Siena 1943). E sant’Ambrogio si rivolge così
ai neobattezzati: «Prima della consacrazione non era presente il corpo di
Cristo, ma dopo la consacrazione, ve l’assicuro, oramai è il corpo di Cristo» (Sui
sacramenti 4,16).
Cristo
è presente alla Chiesa in molti modi, ma nell’Eucarestia la sua presenza è
unica (CCC 1373). Nelle sue prediche e catechesi il Curato d’Ars si rivolgeva
sempre al tabernacolo dicendo: «Lui è qui» Meglio di tutti i tentativi della
teologia questa breve confessione di fede spiega ciò che vi è di speciale in
questa presenza del Signore. Il Concilio di Trento dice che egli è presente
«veramente, realmente, sostanzialmente» (CCC 1374). Cristo è presente con
corpo e sangue,
divinità e umanità, con il suo sacrificio, la sua morte e resurrezione.
L’Eucarestia è egli stesso veramente, non una parte, non un mero simbolo della
sua presenza: egli stesso, non nella sua sembianza terrena, ma sotto le specie
di «pane e vino», in «forma sacramentale», cioè nascosto ai sensi e tuttavia
efficace e vero. Questa maniera della sua presenza «non si può apprendere coi
sensi, ma con la sola fede» (san Tommaso d’Aquino; CCC 1381).
Solo
nella fede comprendiamo l’evento tramite il quale Cristo realizza la sua
presenza eucaristica, cioè la mutazione del pane e del vino nel suo corpo e
nel suo sangue. Come la presenza sacramentale di Cristo è unica, così è unica
anche questa mutazione. Tutte le mutazioni accessibili alla nostra osservazione
cambiano qualcosa di esistente: il metallo diventa incandescente, l’acqua
gela, un artista dà forma ad una materia, gli uomini cambiano e tuttavia
rimangono essi stessi. Qui si tratta di qualcosa di diverso: il pane e il vino
non cambiano la loro forma, il loro gusto, le loro proprietà. Cambia la loro
«sostanza»: «Questo è il mio corpo... questo è il mio sangue». Sotto le forme
permanenti Cristo stesso si rende presente. I Padri paragonano questo avvenimento
alla creazione «dal nulla» (CCC 1373; 298): solo la potenza di Dio poteva
realizzare ciò. La Parola di Cristo, annunciata dal sacerdote, opera quello che
nessuna potenza umana è capace di fare: «lo Spirito Santo irrompe e realizza
ciò che supera ogni parola e ogni pensiero» (san Giovanni Damasceno; CCC 1106).
Ci
inginocchiamo davanti al tabernacolo, dopo l’elevazione, prima della Comunione:
questi gesti sono giustificati solo se esprimono la consapevolezza che egli «è
qui», tra di noi, nell’umile forma del pane spezzato.