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Breve storia della pala dell'Assunta

Posta nella Cattedrale di Cremona

Ed altre interessanti note

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«Dopo il corso di sua vita terrena, Maria fu assunta al cielo in corpo ed anima per virtù divina». Questo determinante passaggio è contenuto nella bolla pontificia «Magnificentissimus Deus» che venne promulgata da papa Pio XII l’1 novembre 1950: essa definisce un dogma di fede cattolica affine a quello dell’immacolata Concezione.

L’Assunzione di Maria Vergine trova ampia testimonianza nella letteratura paleocristiana: la festa liturgica del 15 agosto venne fissata dall’imperatore Maurizio nell’anno 582; la sua universalizzazione si ebbe nel settimo secolo ad opera del papa Sergio I. Le antichissime cronache, in modo particolare quelle apocrife del Nuovo Testamento, parlano di «transitus, glorificatio et incoronatio Mariae Virginis » ed arricchiscono il racconto di particolari che riguardano la tomba vuota, il tempo, il modo e le circostanze. Sono dettagli fantasiosi ma gentili.

Maria Assunta è la patrona del Duomo di Cremona; sull’esempio del maggior tempio diocesano, altre chiese della nostra area sono dedicate alla. «glorificatio», della Vergine: la millenaria basilica di Rivolta d’Adda; la pieve di Soncino; le parrocchiali di Piadena, Sabbioneta, Viadana e Cella Dati; infine, numerosi santuarietti dell’entroterra rurale. Come tema ispirativo, l’Assunzione della Madonna fu feconda di insigni opere che appartengono alla storia dell’arte cremonese. Due di esse meritano il massimo risalto: l’ancona dell’altare maggiore del Duomo e lo spettacoloso affresco dipinto sulla calotta emisferica di Sant’Abbondio.

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«Nell’altar maggiore della Cattedrale, in una assai grande ancona di legno ed intagli, scorgesi un quadro ad olio esprimente la gloriosa Assunzione di Maria Vergine, con sotto soli sei Apostoli, non avendo l’esimio dipintore Bernardino Gatti detto il Sogliaro potuto darlo terminato, per essere tato in tal tempo rapito dalla morte. Si dice che una tale opera sia stata fatta colla mano sinistra, per l’offesa avuta nella destra da un colpo di apoplesia».

Il passaggio è tratto dal volume «Le pitture e le sculture della città di Cremona», edito nel 1794 ad opera di Giuseppe Aglio. I particolari dell’episodio sono puntualizzati anche nella «Corografia d’Italia» dello Strafforello, edita a Torino nel 1872, nonchè nella «Storia dell’arte italiana » data alle stampe nel 1953 dal Baroni.

L’incarico di dipingere l’Assunta venne assegnato al «Sojaro» con un rogito notarile di Domenico Pruo, firmato dalle controparti l’11 aprile 1573: per l’esecuzione del dipinto la Fabbriceria si impegnava di versare la somma di 600 scudi d’oro. Bernardino Gatti era ottuagenario, ma si mise alacremente al lavoro e concretò nella figura della Madonna una delle sue impaginazioni più convincenti.

La paralisi della parte destra del corpo lo colse mentre stava dipingendo i personaggi di contorno; Il Solaro «fu costretto a qualche mese di ospedale e si vide poi obbligato a dipingere con la mano sinistra; nonostante il Suo commovente impegno non riuscì tuttavia a terminare il quadro, che rimase incompiuto (nel bozzetto di preventivo gli apostoli erano dodici). Nessuno conosce la data esatta della morte del pittore: si sa soltanto che il «22 febbraio 1576 era ancora in vita»

Bernardino Gatti lasciò la moglie Ippolita ed i figli Aurelio, Laura, Placida e Francesco. Fu appunto il primogenito Aurelio che convenne in giudizio la Fabbriceria: il verdetto venne emesso da Girolamo Valle e da Antonio Campi, che stabilirono in 280 scudi d’oro il valore deIl’opera incompiuta. Tale somma venne versata agli eredi il 28 dicembre 1576.

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Anche la data di nascita del «Sojaro» è incerta: alcuni biografi la inquadrano tra il 1495 ed il 1500. L’incertezza riguarda anche il luogo e taluno sostiene che Bernardino Gatti abbia visto la luce a Vercelli. E’ una ipotesi che trova comunque uno scarso credito e le città più probabili vengono ritenute Pavia e Cremona. Nei cartigli didascalici delle sue opere l’artista si dichiarò dapprima “papiensis” e successivamente “cremonensis”.

Questo atto potrebbe avallare l’ipotesi più logica, cioè che il Sojaro abbia visto la luce a Pavia e sia poi giunto a Cremona al seguito del padre che era un abilissino fabbricante di botti. L’ambiente del suo praticantato fu sicuramente quello delle nostre «botteghe» pittoriche della prima metà del Cinquecento. Secondo alcuni autori il suo primo maestro sarebbe stato Galeazzo Campi; il giovane sarebbe poi entrato nella cerchia degli aiutanti del Boccaccino, non tiascurando tuttavia la lezione del «Correggio», che fu uno dei poli ai quali si deve la sua maturità e lo svincolo dai modi ritardatari e protomanieristici che aveva caratterizzato le sue opere giovanili. Il ritmo si fece perciò maggiormente aperto e curvilineo e la tecnica della distribuzione coloristica si espanse in piena levigatezza per giungere a traguardi di grande luminosità.

L’«Assunta» del Duomo non è l’unica opera di grande prestigio concretata dal «Sojaro». Tra le più conosciute accenniamo alla «Ascensione di Gesù», affrescata nel terzo scomparto della volta di San Sigismondo (1549); alla «Madonna» della chiesa parrocchiale di Motta Baluffi (circa l’anno 1550); alla «Natività» della parrocchiale di Vescovato (circa il 1554); alla «Resurrezione» ancora del Duomo (1529); infine, allo spettacoloso affresco della «Moltiplicazione dei pani» del refettorio della chiesa cittadina di San Pietro (1552), in cui sono effigiate 226 figure; questo dipinto costituisce il più grande documento iconografico della vita cremonese dell’epoca: Benardino Gatti utilizzò infatti come «modelli» i più noti personaggi della città.

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Abbiamo accennato anche all’affresco di Sant’Abbondio: ne fu autore Giambattista Trotti, detto il «Malosso». La Vergine sembra sorretta da una nuvola di angeli ed offre la continua inipressione di salire continuamente verso in luminosissirno «triangolo» centrale, quasi per superare immanenza della materia per giungere ad una frontiera di importanza trascendentale.

Il «Malosso» fu uno dei più grandi specialisti di immagini mariane del secondo cinquecento italiano, che vennero da lui ripetute in diverse decine di quadri. In Sant’Abbondio Giambattista Trotti ha probabilmente superato ogni sua precedente realizzazione. I toni appaiono disinvolti e sicuri ed il metro classico non dimentica le mediazioni naturalistiche dei Carracci, che il maestro cremonese aveva acquisito durante il suo soggiorno giovanile a Bologna. Un critico ha ravvisato nell’affresco il difetto di un accessivo affollamento di figure. Si tratta di un giudizio opinabile, che perde tuttavia molta impartanza davanti alla soluzione poetica malossiana, basata sulle norme fondamentali del disegno romano, delle ombre veneziane e della nitidezza cromatica lombarda, con richiami che si rivolgono alla tradizione tizianesca e raffaellesca, non per imitarne i risultati, bensì per una convinta assimilazione del processo creativo.

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Il Duomo di Cremona è dedicato da sempre alla Madonna. Fu soltanto nel 1190 che il vescovo Sicardo, consacrando la cattedrale, la pose sotto il patrocinio di «Santa Maria Assunta in Cielo ». Il vecchio tempio, abbattuto per fare posto a quello nuovo, aveva come titolare «Santa Maria Genitrice di Dio». Dopo la rivitalizzazione e gli ampliamenti del Cinquecento vi fu una nuova consacrazione, officiata dal vescovo Speciano: fu allora che si ebbe la definizione attuale, per cui il Duomo è «dedicato alla Beata Vergine Assunta ed ai Santi Imerio ed Omobono patroni». Le loro tre statue, attribuite a Gano da Siena, campeggiano nel protiro della facciata.

 

Articolo apparso sul quotidiano “La Provincia” del 13 Agosto 1980

 

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