LETTURA
DEL SIMBOLO DELLADVENTUS DOMINI
IN
UNA FORMULA DEL CANTO GREGORIANO
Era
nota alla meditazione patristica greca e latina una concezione
complessa dellavvento del Cristo: adventus Domini era
non solo la venuta di Cristo fra gli uomini nella nascita (adventus
in carne o in humilitate), ma anche la venuta
definitiva nel giudizio finale (adventus in maiestate). Ricordiamo,
per tutti, un passo di Agostino:
«[Christus]
opportuno tempore venit ad nos, primo humilis, postea venturus
excelsus. Primo venit ante iudicem staturus; postea venturus est
iudex sessurus ut ante illum stet pro merito suo genus humanum».1
Nella
scultura e nellarte romanica, in genere, il tema delladventus
Domini è posto costantemente in risalto; il soggetto era
infatti congeniale alla visione escatologica, apocalittica, che a
ragione viene indicata, dagli studi in materia di arte
figurativa, come caratteristica propria dellarte romanica
in genere.2
La centralità o comunque la speciale considerazione
riservata al tema dellavvento di Cristo è provata,
nella scultura, dalla collocazione del tutto privilegiata che
ricevono le immagini riconducibili alladventus stesso:
vogliamo riferirci alla collocazione sul portale della chiesa. La
porta del tempio è un punto focale della scultura
romanica se è vero che essa è, secondo il passo del
vangelo di Giovanni, immagine di Cristo stesso: «Ego sum ostium.
Per me si quis introierit salvabitur» (Gv 10, 9)3 Ebbene al
momento di entrare nella chiesa, nel luogo della salvazione, «il
fedele è spesso accolto da figure che gli offrono, componendosi
variamente, unimmagine delladventus del Cristo»:
così si esprime Salvatore Settis in un contributo sulliconografia
dellarte italiana.
Lillustre
studioso prosegue quindi rifacendosi alla concezione che abbiamo
appena riportato: «I teologi distinguevano un adventus in
humilitate, che poteva essere reso dallannunciazione
o dalla nascita, da un adventus in maiestate, a
cui possono corrispondere la resurrezione, lascensione, la
visione apocalittica e il giudizio finale».4
Dunque,
una gran parte della varietà iconografica che contraddistingue i
portali delle chiese romaniche sottintende lespressione di
un unico concetto.
Quella
concezione dellavvento di Cristo era talmente radicata che
se ne possono seguire le tracce in tutta lesegesi tardo-antica
e medievale. Abbiamo citato Agostino (+ 430) e citiamo, ancora
sulla scorta di Settis, Sicardo, vescovo di Cremona (+ 1215), il
quale in un passo del suo Mitrale5 riporta la distinzione
ormai consolidata tra adventus in carne e adventus in
maiestate, introducendo fra queste, pure senza distaccarsi
dalla tradizione, un terzo tipo di avvento, ladventus in
mente: questultimo era provocato nel fedele, nella
preghiera liturgica come nella decorazione della chiesa, dalla
memoria o dalla speranza rispettivamente delle altre due venute
del Cristo.6
Afferma Sicardo commentando unorazione dellAvvento:
«Tres sunt adventus: primus in carne, secundus in mente, tertius
in maiestate»; e con riferimento diretto alla nascita e al
giudizio finale: «Praecedentes enim patres Dominum Patrem
deprecabantur ut Filium mitteret; aut Filium, ut ad redimendum
veniret. Moderni vero petunt Patrem ut Filium mittat; vel Filium,
ut ipse Filius ad iudicandum et remunerandum veniat».
Il
canto gregoriano possiede una formula che costituisce lo
diciamo subito il simbolo delladventus Domini. Nel
fondo autentico, cioè tra le melodie più antiche, questa
melodia formulare ricorre tre volte: la sua rarità induce già a
considerarla con attenzione. Più ancora colpisce il fatto che
tale formula si trovi in cadenza finale: quando la composizione
si avvia alla conclusione e potrebbe di fatto concludersi
assumendo uno dei consueti schemi formulari il canto
gregoriano ne conosce molti ecco, inattesa, una melodia
originale, inusitata. La rarità e la posizione enfatica della
formula di cui vogliamo occuparci sono le caratteristiche
evidenti, di immediata percezione, che pongono la questione del
motivo delluso della formula stessa.
Nel
communio Ecce virgo
Nellanno
liturgico la formula compare per la prima volta al termine dellAvvento,
cioè del tempo che apre lanno liturgico: si trova nel
communio Ecce virgo sulla parola Emmanuel:
Questa
antifona di comunione è riportata due volte, nei più antichi
codici di canto, nel tempo che precede il Natale: la prima volta
il mercoledì della terza settimana dAvvento; la seconda
volta alla quarta domenica dAvvento. In origine la quarta
domenica non aveva messa propria; quando ne fu dotata, a partire
dallVIlI secolo circa, riprese testi e canti dalle ferie
precedenti. Il communio, in particolare, è ripreso, come si è
detto, dal mercoledì.7
Al
di là delle circostanze storiche e liturgiche che hanno indotto
questa ripresa del canto, resta il fatto che la scelta sia caduta
su questa antifona: si poteva così udire in due occasioni
liturgiche differenti, poco prima del Natale, la profezia di
Isaia: «Ecco la vergine concepirà e darà alla luce un figlio e
il suo nome sarà Emmanuele». Su Emmanuel dunque troviamo
per la prima volta questa formula atipica che sottolinea quel
nome proprio di Cristo il cui significato si ricollega
direttamente alla sua venuta fra gli uomini: Emmanuel
cioè Dio con noi.
La
profezia di Isaia è levidente espressione delladventus
in carne; tuttavia il tempo liturgico in cui essa si colloca,
lAvvento, la pone anche chiaramente nella prospettiva delladventus
in maiestate, nel giudizio finale. Nella concezione liturgica
più antica, infatti, non si aveva di mira tanto il Natale quanto
la venuta di Cristo alla fine dei tempi. «Il termine latino adventus
(venuta) fu dapprima applicato a significare un periodo
preparatorio, non tanto alla nascita di Gesù, quanto alla sua
seconda venuta sulla terra, la parousìa. I testi dei più
antichi sacramentari sono abbastanza espliciti al riguardo, né
si spiegano altrimenti le pericopi evangeliche della fine del
mondo, del giudizio universale e dei richiami alla penitenza di
Giovanni Battista».8
In particolare proprio alla quarta domenica dAvvento,
dunque nella stessa messa che si conclude con il canto Ecce
virgo, si leggeva un passo della prima lettera ai Corinti (4,
1-5) che si riferisce direttamente alla parusia del
Signore: «Nolite ante tempus iudicare quoadusque veniat Dominus».9
Nel
communio Psallite Domino
Una
seconda volta la stessa formula si presenta nel communio dellAscensione
sullespressione ad Orientem:
Si
può osservare innazitutto che, pur in un contesto che non lo
suggerisce direttamente, Oriens è, nuovamente, un
attributo di Cristo, sole che sorge; in secondo luogo si può
ipotizzare, logicamente, un motivo del ripresentarsi della
formula nella connessione che si suggerirebbe in tal modo fra la
discesa e lascesa di Cristo. Ma nellAscensione si
riafferma soprattutto, ancora, il concetto delladventus
in maiestate. Il testo dellintroito di questa festa
termina infatti con le parole: «Quemadmodum vidistis eum
ascendentem in caelum ita veniet»; riporta cioè il passo
degli Atti degli Apostoli (1, 11) in cui si narra che due angeli (duo
viri in vestibus albis) ammonirono i discepoli che stavano a
fissare il cielo, dicendo che Cristo, come era salito al cielo
sotto i loro occhi così sarebbe ritornato. Ita veniet, così
verrà: lattesa della parusìa del Signore, della sua
venuta nel giudizio, trova il presupposto, in occasione della
festa dellAscensione, nellammonizione udita nellintroito,
alla luce della quale si pone anche il testo del communio.10 A
ragione, dunque, come si è visto più sopra, Settis può
ricomprendere con sicurezza nellunica categoria delladventus
in maiestate le raffigurazioni dellascensione e del
giudizio universale. Nelliconografia medievale i due tipi
iconografici paiono addirittura sovrapporsi e quasi confondersi:11 in
alcuni portali, agli angeli ammonitori accanto al Cristo che
ascende, sono accostati, ad esempio, lalfa e lomega,
o altri angeli suonatori di tromba o ancora le figure del
tetramorfo (i quattro esseri viventi dellApocalisse, poi
anche simboli degli evangelisti),12 tutti insomma emblemi
chiari del Cristo del ritorno, cioè del giudizio
universale.
In
due immagini del manoscritto Angelica
123
Prima
di passare a considerare il terzo caso della formula in oggetto
vogliamo suggerire ancora una riflessione iconografica, questa
volta però con riferimento diretto ai manoscritti neumati.
Fra
i più antichi codici di canto gregoriano, uno, in particolare,
si presenta ricco di immagini: si tratta del codice Angelica 123 (cod. Roma, Bibl.
Angelica 123, sec. XI primo terzo, Graduale - Troparium, Pal.
Mus. 1/18). Siamo certi del valore di questo manoscritto come
fonte autorevole del canto ed è quindi lecito supporre anche
nellartefice delle miniature una sensibilità parallela,
per così dire, a quanto esprimeva il neumista, in linea ed in
sintonia con la tradizione più genuina.
Osserviamo allora le seguenti immagini, due grandi raffigurazioni a tutta pagina:
La
prima è lincipit, liniziale A dellintroito
della prima domenica dAvvento Ad te levavi; la
seconda precede lintroito Viri Galilei e apre così
la solennità dellAscensione. In entrambe il Cristo è
raffigurato in modo simile, racchiuso in uno spazio circolare,
mentre regge con una mano un libro. Al di sopra dellimmagine
che apre il Tempus Adventus troviamo le parole: «Haec
caeli Deitas, haec est et summa potestas» e nella croce del
nimbo lattributo: Rex; inscritto sul festone
circolare che incornicia il Cristo, al di sopra del gruppo degli
apostoli nellAscensione, si legge invece il passo del
vangelo di Mt 28, 18: «Data est mihi omnis potestas in
caelo et in terra».13
Il riferimento alla potestas in entrambi i testi,
così come il termine rex, rende esplicito il significato
del linguaggio iconografico: in tutti e due i casi si rappresenta
il Cristo che viene con potenza. Significativa nellimmagine
dellAscensione la difficoltà a rappresentare il movimento
ascensionale se non forse nel turbinio delle vesti:14 il
Cristo appare come già assiso sul trono del giudizio. Decisiva
ancora in tutte e due le immagini la presenza del libro, prima
chiuso, poi aperto. E un motivo assai ricorrente: il libro
è quello di cui si parla nellApocalisse (cap. 5), quel
libro che solo Cristo può aprire, cioè il «liber scriptus in
quo totum continetur» (per usare lespressione della
sequenza Dies irae).15 Anche le
miniature del codice Angelica
sembrano allora adombrare il concetto teologico più volte
illustrato. Lapparato iconografico delle due immagini è il
medesimo perché unico è il significato che vuole suggerire. Nel
Cristo atteso durante il tempo dAvvento, così come nel
Cristo dellAscensione, è già presente il Cristo giudice.
Nel
communio In salutari tuo
Troviamo
di nuovo la formula nel communio di una domenica del Tempo
Ordinario: la ventisettesima domenica fra lanno, secondo la
liturgia attuale, la ventunesima dopo Pentecoste nella liturgia
precedente la riforma del Vaticano II. Essa è posta sul vocativo
Domine Deus a formare la cadenza finale, integrata da una
clausola classica su meus, cioè dallo scandicus
subbipunctis resupinus con clivis non corsiva:
Per
la comprensione del testo del communio, tratto dal salmo 118,
ricorriamo ancora al commento di Agostino.16 In linea,
naturalmente, con la consolidata meditazione patristica, egli
vede nella frase: «In salutari tuo anima mea, et in verbum tuum
speravi» lespressione dellanelito a Cristo
salvezza di Dio, parola di Dio di tutte le generazioni dei
credenti dalla creazione alla fine del mondo: «Quis hoc dicit
nisi genus electum, regale sacerdotium, gens sancta, populus
adquisitionis, ab origine generis humani usque ad huius saeculi
finem, in eis qui suo quique tempore hic vixerunt, vivunt,
victuri sunt, desiderans Christum?». Anche questo communio si
apre dunque in una prospettiva escatologica, apocalittica.
Questa
prospettiva viene così approfondita dal santo dottore: «Non si
appagò infatti allora questo desiderio dei santi, né è pago
attualmente nel corpo di Cristo che è la Chiesa, finché non si
giunga alla fine dei tempi quando verrà il Desiderato da tutte
le genti secondo la promessa del Profeta. In vista di ciò scrive
lApostolo: Mi attende alla fine la corona della
giustizia, che darà a me in quel giorno il Signore, giusto
giudice; e non solo a me, ma a tutti quelli che amano la sua
manifestazione. Il desiderio di cui stiamo trattando nasce
quindi dallamore per la manifestazione di Cristo [...]. Ciò
significa che nei tempi della Chiesa decorsi prima che la Vergine
partorisse ci furono santi che desiderarono la venuta del Cristo
incarnato, mentre nei nostri tempi, a cominciare dalla sua
ascensione al cielo, ci sono santi che desiderano la sua
manifestazione in cui verrà a giudicare i vivi e i morti. Questo
desiderio della Chiesa, dagli inizi del mondo fino alla fine è
senza interruzione, se si voglia escludere il periodo che il
Signore incarnato trascorse con i suoi discepoli. Per cui molto a
proposito si applica allintero corpo di Cristo, gemente in
questa vita, la voce: La mia anima è calata verso la tua
salute ed io ho sperato nella tua parola».17
A
rafforzare la visione escatologica segue la domanda: «Quando
facies de persequentibus me iudicium?», domanda che ancora
Agostino interpreta come voce dei martiri di cui si legge nellApocalisse
6,10: «In Apocalypsi est ista vox martyrum, et eis imperatur
patientia donec fratrum eorum numerus impleatur».
Sulla
parola iudicium la composizione del communio potrebbe
terminare: si raggiunge infatti su questo termine la corda finale
con una cadenza perfetta, in tutto simile alla cadenza finale
vera e propria.18
Ma
ancor più colpisce a questo punto la frase che inizia su iniqui.
Sembra trattarsi della consueta intonazione salmodica che
conduce alla ripresa del communio, ma non è così: lo schema
salmodico è subito interrotto e la composizione si conclude,
questa volta, con una cadenza di cui è parte essenziale la
nostra formula sulle parole Domine Deus meus. Il
versicolario in appendice al codice di Einsiedeln 121 (Stiftsbibl.
121, sec. X seconda metà, Graduale, Pal. Mus. 1/4) non
indica infatti la consueta ripresa dellintero communio dopo
il versetto salmodico, ma soltanto la ripresa dalla parola iniqui;
il che conferma lautonomia di questa parte del canto.19
Il
vocativo Domine Deus meus, inoltre, non si trova nel testo
del salmo, ma è unaggiunta operata dal compilatore-compositore
del testo del communio e come tale anchesso è indice di
una precisa intenzione.20
La sottolineatura che riceve così lultima frase dellantifona:
«Iniqui
persecuti sunt me, adiuva me, Domine Deus meus», non si
comprende se non come adeguata preparazione dellinvocazione
finale al Cristo giudice.
Sintesi
Abbiamo
esaminato così, nellordine in cui si presentano nellanno
liturgico ed è il medesimo ordine delle fonti più
antiche i tre casi della formula. Non cè dubbio che
nella mente di chi li ideò e, ancor più, nella meditazione di
chi li cantò, quei tre passi si richiamassero a vicenda
collegandosi inscindibilmente. Non si poteva invocare lEmmanuel
senza stabilire un nesso immediato tra le due verità del Credo (descendit
de caelis e ascendit in caelum); non si poteva
cioè cantare del Dio con noi senza ricollegare
questa immagine sonora a quella perfettamente identica nel suo
aspetto melodico del Signore che ascende nei cieli ad Orientem.
Ma non basta: allo stesso modo, verso la fine dellanno
liturgico, allEmmanuele e al Cristo ascendente si
sovrappone la figura del Cristo giudice evocato dalle lapidarie
parole del salmo 118. Le tre espressioni testuali, rivestite dellidentico
ed inconsueto, anzi straordinario materiale sonoro, traspaiono
una nellaltra fino a confondersi nellunico concetto
delladventus Domini. Questa formula assume cioè il
valore di un vero e proprio simbolo delladventus Domini:
le sue specificazioni (in humilitate, in maiestate) vengono
ottenute attraverso luso di testi diversi, più
precisamente di attributi diversi di Cristo, ma in ognuna di
queste specificazioni riecheggia, grazie alluso dello
stesso simbolo sonoro, ununica idea. Si componeva così
nella mente del cantore un quadro analogo a quello esposto dallesegesi
di Agostino ai versetti del salmo 118. Non è un caso che,
parlando delladventus in iudicio, Agostino individui
le espressioni più forti, contenute nella storia della salvezza
e nella Scrittura, relative allattesa della venuta finale
del Cristo, proprio nella nascita dalla Vergine e nellAscensione.
Gli stessi riferimenti costituiscono il significato della
composizione gregoriana: anchessa mirava a provocare, per
riportarci a quanto illustrato più sopra, ladventus in
mente.
Per
noi è necessario compiere uno sforzo di adeguamento culturale
per comprendere il valore simbolico ed esegetico di questa
formula; si pensi, tuttavia, e ci si riporti idealmente, ma in
termini concreti, a quelluniverso di tradizione mnemonica
che precede la comparsa dei codici neumati. Per più di dieci
anni, sappiamo dalle fonti, il cantore si doveva esercitare per
impossessarsi dello sterminato repertorio: ciò poteva fare
grazie ad una consumata mnemotecnica i cui strumenti basilari
sono stati ricostruiti dagli studi attuali. Quel modo di
cadenzare doveva rappresentare un vero colpo per 1
organizzazione mnemonica delle melodie studiata dal cantore,
proprio perché veniva in un momento, lapprossimarsi della
cadenza finale appunto, che era solito seguire moduli
predeterminati. Ma ancora più del fatto tecnico deve convincere
il riferimento allambiente spirituale in cui il canto
nacque. Segno di quel clima culturale è il diffondersi della
leggenda secondo cui fu lo Spirito stesso a dettare le melodie a
Gregorio Magno, unico santo artefice di questo canto divinamente
ispirato. Il cantore dunque, nella venerazione del testo e del
canto sacro, doveva riportare una forte impressione da questi tre
attributi di Cristo espressi da ununica melodia; il rinvio
immediato che quella formula induceva da un caso allaltro
sembra, infine, poter reggere e congiungere con un legame
sottile, ma saldo, una gran parte dell anno liturgico.
Appunti
sul metodo
A
questo punto è forse opportuno introdurre qualche sottolineatura
di metodo come corollario a ciò che si è osservato.
Se
è vero che il canto gregoriano nasce dal testo sacro, è
altrettanto vero che il canto stesso resterà un linguaggio
cifrato finché non si sarà condotta sul testo unesegesi
adeguata. Le traduzioni che spesso si pongono con zelo al di
sotto del testo latino con il buon proposito di avvicinare i meno
preparati, talora rischiano di raggiungere lo scopo contrario,
poiché insinuano 1illusione di aver accostato, ad un primo
livello almeno, il senso del testo stesso. Ma inadeguata o
comunque non sufficientemente mirata sarebbe anche lesegesi
moderna, che ha come oggetto le fonti, i testi originali. E
necessario, invece, cercare di capire come quel testo veniva
letto nellambito in cui il canto è stato creato, quali
echi suscitava in coloro che hanno posto mano alla composizione,
in senso lato, delle melodie, e prima ancora alla compilazione
letteraria del testo stesso. Il canto gregoriano non è altro, in
gran parte, che la traduzione sonora della spiritualità
medievale. La nostra spiritualità, come la nostra moderna
esegesi per altri versi, non è in grado di stabilire
immediatamente, ad esempio, il senso cristologico del versetto
del salmo 118: «In salutari tuo anima mea et in verbum tuum
speravi», quale doveva apparire al monaco medievale.21 Una
traduzione del tipo: «Lanima mia attende la tua salvezza e
ho sperato nella tua parola», non rende alcuno dei significati
illustrati da Agostino di attesa della parusia, poiché per noi salutare
e verbum non sono più, al contrario di come erano per
la spiritualità medievale, modi ovvii per riferirsi a Cristo,
quasi sinonimi del nome di Cristo stesso.
La
patristica, dunque, deve sicuramente costituire una fonte
principale per lo studio dei testi dei canti.22 Uno strumento di pari
importanza per decifrare il linguaggio spesso oscuro dei canti è
lo studio liturgico. Anche in questo campo lanalisi di
alcuni testi e di alcune formule ha già dato qualche risultato.
Si è potuto osservare, ad esempio, che alcuni moduli e tipi
formulari sono riservati a determinati tempi liturgici; allo
stesso modo si possono comprendere certe caratteristiche dei
canti solo considerandoli non isolatamente, ma come parte di unità
liturgiche ben precise, alla luce delle letture e dei testi
liturgici in genere che li circondano, alla luce ancora degli
altri canti e del momento liturgico che si sta
celebrando.23
Anche
in questo scritto, perciò, il riferimento alla liturgia ha
cercato di essere costante: siamo sicuri, inoltre, che buoni
frutti potrebbe ancora dare lo studio delle letture e dei canti
che costituiscono la Messa conclusa dal communio In salutari
tuo, anche se tale studio va oltre i limiti che ci siamo
imposti. Così, ad esempio, linvocazione del giudizio, che
si è visto costituire la peculiarità del communio stesso,
sembra già intuitivamente essere in linea con le invocazioni di
Giobbe contenute nei versetti delloffertorio della stessa
Messa (Vir erat in terra).
Ancora
una precisazione. Non deve costituire una pregiudiziale negativa
allo studio dei paralleli culturali del canto gregoriano
il fatto che sullepoca di composizione delle melodie, o
meglio sull epoca come sul luogo di assestamento del
repertorio gregoriano, parecchie questioni siano ancora aperte.
In altre parole: come ipotizzare si potrebbe obiettare ad
esempio un parallelo con larte medievale, in genere,
se non conosciamo con esattezza lepoca in cui si costituì
il repertorio gregoriano autentico? E ancora: è possibile
trovare motivi comuni, analogie di fondo fra le melodie scritte
nel IX-X secolo (ma concepite quando?) e le sculture dellXI
secolo o, addirittura, i commenti dei Padri dei V secolo? A
queste obiezioni che si preoccupano della possibile mancata
perfetta sincronia delle forme di espressione che si vogliono
porre a paragone (scultura, arte figurativa, esegesi, melodie
liturgiche) è facile rispondere che il depositum culturale
e spirituale in quei secoli non si disperdeva, ma si consolidava,
si tramandava, cresceva nel solco di una tradizione. Per quel che
ci riguarda, ad esempio, si è constatato che la concezione delladventus
Domini passa da Agostino a Sicardo, dunque dal mondo tardo
antico al tardo medioevo; allo stesso modo linterpretazione
simbolico-allegorica dei testi sacri e della liturgia, se nasce
in occidente in epoca carolingia, conosce uno sviluppo di secoli.24 La
cristianizzazione che nel medioevo conobbero le popolazioni
europee, è probabilmente uno dei motivi delluniformità
culturale di fondo che caratterizza per secoli le espressioni del
mondo medievale.25
E
vero, daltra parte, che la ricerca gregorianistica deve
sempre aver presente la natura stratificata del repertorio, nello
stato in cui si trova contenuto anche nei codici più antichi, ed
i problemi che questa stratificazione fa sorgere. Gli stessi
manoscritti più venerabili presentano canti in cui una stessa
formula è usata in modo contrastante rispetto ad altri canti che
la contengono e che sono sicuramente più antichi. E noto,
per fare soltanto un esempio, il caso del cattivo adattamento
della melodia dellintroito della prima domenica di
Quaresima Invocabit me allintroito della festa della
Trinità Benedicta sit, introdotta in epoca più recente.26
Una
formula derivata?
Questo
scritto voleva avere ad oggetto i soli tre casi considerati: sono
gli unici tre casi del repertorio, infatti, lo ripetiamo, che
presentano quello stesso materiale melodico e ritmico27 nonché
un analogo schema modale. Tuttavia, tenendo presente la
stratificazione cui si è appena fatto cenno, vogliamo da ultimo
osservare, con curiosità, un caso che pare derivare direttamente
dalla formula studiata fin qui:
La
formula che ci occupa ora è quella che chiude il brano sulle
parole in illum diem, o secondo alcuni manoscritti in
illa die. Le analogie con la nota formula sono evidenti: la
posizione in cadenza finale; la forma cosiddetta a V,
cioè quella struttura melodica in cui ad un movimento
discendente segue immediatamente, specularmente, un movimento
ascendente. Proprio questa parte costituita dal movimento
ascendente di quinta per gradi congiunti è uguale, in tutto,
alla nostra formula. Anche qui, infine, la cadenza finale è
enfatizzata essendo preceduta da unaltra cadenza. Ma la
derivazione della formula finale di questo introito dalla formula
delladventus Domini, sembra essere confermata dallanalisi
di altre componenti.
Si
tratta qui dellintroito della festa della Conversione di
san Paolo (25 gennaio), che è sicuramente di introduzione
relativamente più recente rispetto al fondo liturgico originario.28 Il
testo dellintroito è tratto dalla seconda lettera a
Timoteo e precisamente dal capitolo primo (v. 12). E una
lettera di commiato dal mondo; lApostolo, contemplando la
sua fine, si dice convinto che colui nel quale ha creduto,
Cristo, ha la potenza di «conservare il deposito che mi è stato
affidato fino a quel giorno». Nellultimo capitolo una
frase riassume il contenuto dellintera lettera, dicendo
esplicitamente ciò in cui spera lApostolo per quel
giorno: «Ora mi resta solo la corona di giustizia che il
Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno» (2 Tm
4, 8).29
E la frase che abbiamo già trovato citata da Agostino nel
commento al versetto 81 del salmo 118 di cui abbiamo parlato più
sopra: la citazione di questo passo dalla lettera a Timoteo in
cui si parla di Cristo, iustus iudex, appariva ad Agostino
uno dei richiami obbligati, unespressione forte, nella
Scrittura, di quellinvocazione e di quellattesa dellavvento
di Cristo di cui il santo dottore stava trattando in quel punto
del suo commento. Dies illa, è evidente, è il giorno del
giudizio: dunque, proprio su in illa die si trova uneco
della formula delladventus Domini, cioè una
derivazione da quella formula.
Il
Graduale Cisterciense30 presenta al
proposito una particolarità non irrilevante. Questo Graduale contiene
una versione del canto gregoriano successiva alla cosiddetta
riforma del 1134, posta sotto lautorità di san Bernardo
stesso:31
la versione rispetta, in genere, la linea melodica oltreché,
naturalmente, il testo,32
per cui si può davvero parlare di una versione tardiva del
canto gregoriano. Ebbene, lintroito della Conversione di
san Paolo nella versione del Graduale Cisterciense suona
così:
Passando
subito alla frase finale, notiamo che su in illum diem non
compare la formula esaminata: la melodia cisterciense riprende,
per analogia, le melodie appena udite poco prima in questo stesso
introito (cfr. quia potens est). La formula della versione
gregoriana autentica la si trova, invece, sulle parole iustus
iudex che già ben conosciamo (la nota quilismatica è
scomparsa, come di regola nel Graduale Cisterciense).
La
versione cisterciense, cioè, ha un testo più lungo
rispetto alla versione gregoriana, a causa dellinserzione
dellattributo iustus iudex e, si direbbe, per poter
introdurre solo su questo termine la formula delladventus
Domini, o comunque una sua derivazione. Non sembra allora la
versione cisterciense quasi una glossa rispetto alla
versione gregoriana? La versione tardiva, in altre parole,
esprime con chiarezza quello che nella versione più antica è
significato attraverso il linguaggio del simbolo: su in illa
die si doveva leggere lespressione dellavvento
del iustus iudex.
Conclusione
Scrive
Erich Auerbach sintetizzando efficacemente: «Larte nel
medioevo ha unimportanza ben maggiore che nelle altre
epoche della storia europea. Questa affermazione può parere
sorprendente, ma è un fatto naturale. Dalla fine del primo
millennio, le popolazioni europee sono profondamente
cristianizzate: lo spirito dei misteri cristiani le riempie e
suscita in esse una vita interiore ricchissima e feconda. Unica
possibilità di espressione di questa vita interiore erano le
arti, poiché i popoli non sapevano né leggere né scrivere [
];
sia dal punto di vista attivo, quello dellartista, che dal
punto di vista passivo, quello dello spettatore, larte fu
la più importante, quasi lunica espressione della vita
interiore dei popoli. Ne consegue che larte medievale è
colma di significato ed è dottrinale molto più di quella
dellantichità o dei tempi moderni. Non è solo bella, non
è pura imitazione della realtà esteriore, ma cerca di
concretizzare nelle sue creazioni, anche nellarchitettura e
nella musica, dottrine, credenze, speranze».33
Se
ciò è vero per larte che stava alla soglia della chiesa
abbiamo parlato dei portali tanto più
profondamente devono valere queste osservazioni per unarte
che costituiva la parte più intima della liturgia, a contatto
diretto, per così dire, del testo sacro.
Questo
scritto è iniziato prendendo a riferimento le sculture del
portale romanico: si è cercato di dimostrare che la concezione
teologica sottintesa da molte espressioni di quella forma darte
si ritrova nel canto gregoriano. Vero è che siamo di fronte ad
unidea esegetica particolarmente solida e radicata, un caso
macroscopico per certi aspetti, tanto che, come si è avuto modo
di sottolineare, se ne ritrovano espressioni nellarco di
secoli; tuttavia non credo che si possa ridurre ad un caso
isolato. Ancora gli studiosi di storia dellarte così
come, per altri versi, sottolineava Auerbach con le
considerazioni appena citate ci suggeriscono che si può
ritrovare qualcosa come un lessico dei simboli dellarte
medievale. Ben poco sappiamo al riguardo del canto gregoriano.
Parlando degli animali e dei mostri di ogni genere che si
affollano attorno alle facciate delle chiese, afferma ancora
Settis, in modo assai equilibrato, che «è certo vano cercare
per ognuno di essi un preciso significato e volerne costruire
come una nascosta grammatica dei simboli; altrettanto vano è
pretendere di liquidare in blocco il gran bestiario delle
cattedrali come mera decorazione».34 Così per il canto gregoriano
non tutto si potrà ridurre a simbolo, ma si rischia di non
comprenderne o, peggio, di fraintenderne una parte essenziale
limitando lanalisi alla considerazione di un pur mirabile
apparato melodico e delle sue articolazioni musicali. La
semiologia ha compiuto in parte sta ancora compiendo
un restauro radicale delle sculture sonore erette dai
neumi gregoriani. Possiamo già osservarne con sufficiente
chiarezza le linee; la loro simbologia, il loro significato in
genere, mi pare tuttavia ancora velato.
MASSIMO
LATTANZI
Note:
1) Agostino, Enarrationes in psalmos 98,
1. Si veda anche: «Cristo Signore, Dio nostro, Figlio di Dio, al
suo primo avvento si rese presente in modo velato, ma la sua
seconda venuta sarà manifesta. Quando venne in forma velata non
fu riconosciuto che dai suoi servi; quando verrà in forma palese
lo vedranno i buoni e i malvagi. Quando venne sotto il velo della
sua umanità, venne per essere giudicato; quando verrà
manifestamente verrà per giudicare» (Agostino, Discorso 18,
1).
Per
la tradizione patristica orientale : «Noi annunziamo che
Cristo verrà. Infatti non è unica la sua venuta, ma ve nè
una seconda, la quale sarà molto più gloriosa della precedente
[...] Nella sua prima venuta fu avvolto in fasce e posto in una
stalla, nella seconda si vestirà di luce come di un manto. Nella
prima accettò la croce senza rifiutare il disonore, nellaltra
avanzerà scortato dalle schiere degli angeli e sarà pieno di
gloria [...]. Il Salvatore verrà non per essere di nuovo
giudicato, ma per farsi giudice di coloro che lo condannarono» (Cirillo
Di Gerusalemme, Catechesi 15, 1)
2) O. Beigbeder, Lessico dei simboli
medievali, Milano 1988, p. 271.
3) Ibidem, p. 124.
4) S. Settis, Iconografia
dellarte italiana, 1100 - 1500: una linea, in Storia
dellarte italiana, parte prima, vol. III, Torino
1979, p. 193. Devo al carissimo amico Vincenzo Farinella lavermi
consigliato fin dal suo apparire la lettura di questo saggio; a
lui, che ne è conosciuto studioso, devo anche lincitamento
a coltivare lelementare conoscenza o meglio la curiosità
verso il fenomeno iconografico che appare in queste pagine. Come
opera di riferimento generale si veda: A. GRABAR, Le vie della
creazione nelliconografia cristiana: antichità e medioevo,
Milano 1983.
5) PL 213, 100.
6) S. Settis, Iconografia [...], cit.,
p. 193. Il concetto della triplice venuta è presente anche
nell ultimo dei padri latini: ÇConosciamo una
triplice venuta del Signore. Una venuta occulta si colloca
infatti tra le altre due che sono manifeste. Nella prima il Verbo
fu visto sulla terra e si intrattenne con gli uomini, quando,
egli stesso afferma, lo videro e lo odiarono. Nell ultima
venuta ogni uomo vedrà la salvezza di Dio e vedranno
colui che trafissero. Occulta è invece la venuta intermedia, in
cui solo gli eletti lo vedono entro se stessi, e le loro anime ne
sono salvate. Nella prima venuta dunque egli venne nella
debolezza della carne, in questa intermedia viene nella potenza
dello Spirito, nellultima verrà nella maestà della gloria».
(Bernardo di Chiaravalle, Discorso 5 sullAvvento, 1).
7) M. Righetti, Storia Liturgica, II, Milano
Genova 1945, p. 50. Aggiungiamo per completezza che questo
canto si trova, anche nei più antichi codici neumati, In
Adnuntiatione Sanctae Mariae, ricorrenza denominata oggi Annunciazione
del Signore (25 marzo); esso è neumato, come di consueto,
soltanto la prima volta.
8) Ibidem, p. 39.
9) Ibidem, p. 50.
10) Ibidem, p. 234.
11) O. Beigbeder, Lessico [...], cit.,
p. 129.
12) Ap 4, 6 (cfr. anche Ez 1,5-10);
M. Lurker, Dizionario delle immagini e dei simboli biblici, Milano
1990, pp. 78 sg.
13) Questo passo è il testo di un communio di
questo tempo liturgico.
14) O. Beigbeder, Lessico [...], cit.,
p. 129.
15) M. Lurker, Dizionario [...],. cit.,
pp. 110 sg.
16) Altri riferimenti patristici in: I padri
commentano il salterio della tradizione, a cura di J. C. Nesmy,
Torino 1983, pp. 637 sg.
17) Agostino, Enarrationes in psalmos 118,
Disc. 20, 1-2; il testo italiano è la traduzione di V.Tarulli,
Esposizioni sui salmi, III, Roma 1976, p. 1290. Si noti
che il testo del communio omette il verbo defecit, mentre
nel commento di Agostino il testo è il seguente: «Defecit in
salutare tuo anima mea et in verbum tuum speravi».
18) La notazione quadrata è da correggere:
nelle fonti più antiche manca il quilisma.
19) Queste mancate riprese dellintera
antifona alla comunione non sono infrequenti nel codice
Einsiedeln 121; il loro fine pratico, evitare una ripetizione del
testo cfr. E 424, 4 o la loro intenzionalità
espressiva cfr. E 417, 18; 420, 18 sembrano chiari,
ma necessiterebbero di uno studio approfondito. Riguardo allintensità
dellattacco su iniqui si veda anche G. Jopppich, Die
rhetorische Komponente in der Notation des Codex 121 von
Einsiedeln, in Codex 121 Einsiedeln, Kommentar zum
Faksimile herausgegeben von Odo Lang, Weinheim 1991, p. 187 nota
66.
20) Cfr. Le psautier romain et les autres
anciens psautiers latins, Édition critique par R. Weber,
Roma 1953, p. 301.
21) I. Gargano, La lectio divina, Bologna
1988.
22) Mi permetto di rinviare per un esempio di
analisi in tal senso al mio : Valore esegetico della
composizione gregoriana in un versetto del Tractus Qui
habitat, «Studi gregoriani», III, 1987, pp. 159-165.
23) J. B. Göschl, Laetare Jerusalem.
Gedanken zu einer ungewöhnlichen Intonation, in AA.
VV., Kleine Festschrift Berliner Choralschola, Berlin 1990,
pp. 12-14.
24) M. Righetti, Storia [...], cit.,
p. 46.
25) E. Auerbach, Introduzione alla filologia
romanza, Torino 1963, p. 127.
26) Cfr. P. Ferretti, Estetica gregoriana, Roma
1934, p. 36; M. Lattanzi, Il torculus ritorto sangallese in
una particolare figura neumatica, Rivista
internazionale di musica sacra, VI, 1985, p. 70; M.
Righetti, Storia [...], cit., p. 247.
27) Si noti latipicità anche dello
schema ritmico, insieme alle grafie neumatiche che lo esprimono.
28) P. Jounel, Le culte des saints dans les
basiliques du Latran et du Vatican au douzième siècle, Roma
1977, p. 218. Devo questa citazione e altre contenute in questo
articolo allamico Daniele Piazzi, studioso di liturgia e
per me costante punto di riferimento per questa materia.
29) Cfr. La Bibbia, a cura di La
Civiltà Cattolica, Roma 1974, p. 2321, e lintroduzione
alla lettera, p. 2317.
30) Graduale cisterciense, Westmalle
1934, p. 347.
31) M. Huglo, Les livres de chant liturgique.
Turnhout 1988, p. 128.
32) E interessante studiare queste tradizioni devianti, per così dire, da quella gregoriana autentica: accanto ad evidenti corruzioni si trovano conservati particolari melodici preziosi, gli stessi testimoniati dalle fonti più antiche, che lEdizione vaticana non ha ritenuto.
33) E. Auerbach, Introduzione [...], cit., p.
127.
34) S. Settis, lconografia [...], cit., p.
191.