Il Monte Reventino: un
patrimonio geologico e naturalistico
da salvaguardare e tramandare
Relazione al Festival
del Reventino, Decollatura, ottobre 2004
di Enrico Tavarnelli
Professore ordinario Dipartimento Scienze della Terra Università
degli Studi di Siena
L'ambiente naturale è
un bene prezioso, ed è ormai opinione diffusa che esso vada
adeguatamente salvaguardato. Le ragioni che inducono a considerare
il mare, i monti, i boschi ed i fiumi patrimonio di inestimabile
valore per le comunità sono molteplici: a motivi di natura puramente
estetica si aggiungono non meno importanti motivi di interesse
scientifico. Il paesaggio costituisce infatti per gli studiosi di
scienze naturali un libro aperto dal quale possono essere tratte
informazioni preziose sulla storia della Terra e dei regni animale e
vegetale che la popolano. Esiste tuttavia una diversa percezione
nella lettura del paesaggio: quando si parla di ambiente naturale,
comunemente si evoca l'osservazione di animali e piante, mentre solo
sporadicamente si identifica l'ambiente con i suoli, i minerali e le
rocce. Eppure, è proprio attraverso lo studio di queste ultime che i
geologi sono in grado di ricostruire la storia della Terra,
riportandoci indietro nel tempo per milioni e milioni di anni.
Le regioni che si affacciano sul Mare Mediterraneo hanno da secoli
destato l'interesse dei naturalisti e dei geologi per la varietà
delle rocce che le costituiscono. Questa caratteristica riflette una
lunga storia di movimenti relativi fra due importanti masse
continentali, quella europea e quella africana, che si sono prima
staccate ed allontanate l'una dall'altra durante l'era mesozoica,
poi riavvicinate e scontrate durante l'era terziaria, dando origine
ad imponenti catene montuose quali le Alpi e l'Appennino. I rapporti
fra queste due catene nella penisola italiana sono stati infine
modificati alla fine dell'era terziaria e durante l'era quaternaria
dall'apertura del Mare Tirreno. Una buona parte di questa lunga
storia è fedelmente registrata in una delle più belle regioni
d'Italia, la Calabria. Le rocce che affiorano diffusamente in questa
penisola sono molto diverse da quelle presenti in Campania,
Basilicata, Puglia e Sicilia, mentre sono essenzialmente simili a
quelle che si rinvengono nelle più lontane Sardegna e Corsica, od
addirittura nelle Alpi (1).
Quest'apparente anomalia è stata spiegata da uno dei più grandi
geologi dei nostri tempi, il Professor Walter Alvarez
dell'Università della California, Berkeley, la cui fama nella
comunità scientifica internazionale è legata alla scoperta
dell'origine extraterrestre per l'estinzione di moltissime forme di
vita - prima fra tutte quella dei dinosauri - alla fine dell'era
mesozoica (2). Studiando la geologia di diversi paesi che si
affacciano sul Mediterraneo negli anni settanta insieme a colleghi
italiani delle Università di Siena e di Urbino, il Professor Alvarez
ha mostrato che la Calabria rappresenta un frammento della catena
alpina, successivamente incorporato nell'edificio appenninico.
Questa sensazionale scoperta, annunciata sulle prestigiose riviste
scientifiche Nature e Geological Society of America Bulletin,
rispettivamente nel 1974 e nel 1976 (3, 4), ha destato enorme
interesse nella comunità geologica internazionale, ed è stata
soggetta a rigorose verifiche di vario genere alla fine degli anni
settanta. La domanda che molti geologi si sono posti è la seguente:
"si può dimostrare in modo inequivocabile che la Calabria facesse
originariamente parte delle Alpi e che si sia successivamente
portata nella sua posizione attuale solo in un secondo momento?"
Un'autorevole risposta a questo pertinente quesito è stata fornita
dallo stesso Professor Alvarez in un lavoro pubblicato nel 1980
sulla rivista Geology (5).
La chiave degli "spostamenti" della Calabria è magnificamente
racchiusa nelle rocce che affiorano nella Catena Costiera, ed in
particolare sul Monte Reventino, qualche chilometro a nord ovest di
Lamezia Terme. Le rocce affioranti sulla vetta di questa montagna
sono "scisti verdi" (in Inglese greenschists): si tratta di rocce a
grana fine, organizzate in fitte alternanze centimetriche di livelli
chiari e scuri, che e rappresentano i relitti di un antico oceano,
la Tetide, dalla cui chiusura si sono originate le Alpi e
l'Appennino. Queste rocce appaiono intensamente interessate da
strutture geologiche di dimensioni decimetriche, note come "pieghe
mesoscopiche". La forma di queste strutture è caratteristica per gli
addetti ai lavori, ma non sfugge comunque ad un'attenta osservazione
da parte del visitatore: magnifici esemplari di pieghe mesoscopiche
sono infatti chiaramente riconoscibili sulla sommità del Monte
Reventino. Sulla base di un'accurato lavoro di cartografia geologica
e di analisi delle pieghe, il Professor Alvarez ha mostrato che
l'orientazione di queste strutture non è casuale, ma "distorta"
verso i quadranti occidentali. La spiegazione più semplice per
questo fenomeno è che le pieghe si siano originate durante le fasi
di chiusura dell'Oceano della Tetide, e che siano state
successivamente "distorte" durante il trasporto della Calabria verso
Ovest, mentre si stava costruendo la catena alpina. La Calabria si
sarebbe infine staccata dalle Alpi ed avrebbe subìto un trasporto
passivo fino a raggiungere la sua posizione attuale nell'edificio
appenninico. L'analisi del fenomeno di "distorsione" delle pieghe,
riconosciuto per la prima volta e studiato sul Monte Reventino, è
stato proposto dal Professor Alvarez nel 1980 (5) come un metodo
originale per determinare il senso di trasporto delle masse
rocciose.
L'importanza di questa segnalazione risiede nel fatto che il metodo,
estremamente innovativo per i tempi in cui è stato descritto, ed
ancora estremamente attuale, come dimostrano recenti studi sulla
deformazione delle rocce, è applicabile con successo in tutte quelle
catene montuose - e sono la maggior parte - che si sarebbero
originate a spese di antichi oceani.
In conclusione, il Monte Reventino racchiude nelle piccole pieghe
decimetriche che interessano gli "scisti verdi", non solo la
testimonianza della provenienza alpina della Calabria, ma anche - e
soprattutto - la base della scoperta di un metodo universale
utilissimo per la determinazione dell'origine di masse rocciose
"esotiche" all'interno delle catene montuose, siano esse
l'Appennino, le Alpi, le Ande o l'Himalaya. E' per questi motivi,
per l'inestimabile interesse scientifico, oltre che per
l'indiscutibile fascino del luogo, che il Monte Reventino e la sua
storia geologica meritano di essere protetti da scempio e
devastazione e conservati in tutta la loro bellezza.
Una sfida lanciata coraggiosamente e con lungimiranza
dall'associazione Greenstone e dal suo Presidente, Professor
Raffaele Spada, che da alcuni anni si battono per l'istituzione di
un'area protetta ed un parco regionale. Alla loro posizione si
stanno affiancando ulteriori richieste da parte di organi di
diffusione culturale, come il periodico Agorà diretto da Claudio
Marasco, e di altre associazioni ambientaliste, amici della natura
ed esponenti del mondo accademico, primo fra tutti lo stesso
Professor Alvarez. Vale la pena sottolineare che è in fase di
realizzazione un progetto per la costruzione di un metanodotto la
cui traccia solca la linea di cresta del Monte Reventino, deturpando
il paesaggio e distruggendo la testimonianza dell'importante storia
geologica scritta negli "scisti verdi". Nell'interesse della
salvaguardia di un bene comune, da custodire quanto più intatto
possibile e da tramandare ai posteri, è auspicabile che le autorità
civiche locali, regionali e nazionali non rimangano indifferenti
alla richiesta di istituzione del Parco di Monte Reventino.
Riferimenti bibliografici
1) Haccard D, Lorenz C. & Grandjaquet C. (1972) - Essai sur l'évolution
tectogénétique de la liason Alpes-Apennins (de la Ligurie a la
Calabre). Memorie della Società Geologica Italiana, 11, 309-341.
2) Alvarez L., Alvarez W., Asaro F. & Michel, H. (1980) -
Extraterrestrial cause for the Cretaceous - Tertiary extinction.
Science, 208, 1095-1108.
3) Alvarez W., Cocozza T. & Wezel F.C. (1974) - Fragmentation of the
Alpine orogenic belt by microplate dispersal. Nature, 248, 303-314.
4) Alvarez W. (1976) - A former continuation of the Alps. Geological
Society of America Bulletin, 97, 891-896.
5) Alvarez W. (1980) - Fold distortion: a new indicator of tectonic
transport direction. Geology, 6, 657-660.
Nota sull'Autore
Enrico Tavarnelli si è laureato con lode nel 1987 ed ha conseguito
il Dottorato di Ricerca presso l'Università degli Studi di Siena nel
1993, discutendo una tesi in Geologia Strutturale svolta sotto la
guida del Professor Francesco Antonio Decandia.
In seguito alla vincita di una borsa NATO-CNR, nel 1996 ha
conseguito un titolo di specializzazione post-dottorato presso
l'Università della California a Berkeley sotto la guida del
Professor Walter Alvarez. Dal 1996 al 2000 è stato Ricercatore in
Geologia Strutturale presso l'Università degli Studi della
Basilicata.
Dal 2001 è Professore Associato di Geologia Strutturale e Tettonica
presso l'Università degli Studi di Siena. Riveste la carica elettiva
di Consigliere della Società Geologica Italiana ed è Rappresentante
Europeo del Tectonic Studies Group della Geological Society of
London.
E' autore e co-autore di circa sessanta lavori pubblicati su riviste
con diffusione nazionale ed internazionale. I suoi interessi di
ricerca riguardano principalmente la deformazione delle masse
rocciose nelle catene orogeniche.
E' stato portavoce del Collegio dei Docenti in Scienze Geologiche
della Facoltà di Scienze dell'Università di Siena per la richiesta
di conferimento di una Laurea ad Honorem in Scienze Geologiche al
Professor Walter Alvarez, approvata dal Senato Accademico; la
cerimonia è avvenuta a marzo 2005.
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Un bel panorama
dalla cima del monte Reventino.
Si possono ammirare in lontananza: Cosenza,
Martirano e Conflenti |
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