Il Corriere della Sera
25 Settembre 1991
FINANZA
Il condono, un suicidio fiscale
GIULIO TREMONTI
In Sudamerica il condono fiscale si fa dopo il golpe. In Italia lo si fa
prima delle elezioni, ma mutando i fattori il prodotto non cambia: il condono è
comunque una forma di prelievo fuorilegge. Dunque, il governo starebbe per
cedere: cedere con fermezza ma cedere. Non è neppure il caso di avviare una
discussione sulla morale fiscale di un governo che fa ora ciò che appena ieri
ha fermamente escluso, perché immorale. E' piuttosto il caso di passare oltre,
per vedere se un condono fatto in questo modo ed in questo momento sia soltanto
una scelta di cinismo fiscale, per tirare a campare, o qualcosa di più o di
peggio: una scelta di suicidio fiscale. Ebbene, ragionando sulle evidenze è
chiaro che si tratta di una scelta del secondo tipo. Per la massa enorme degli
evasori le probabilità di essere verificati sono minime (lo dicono le Finanze),
le conseguenti liti tributarie si possono tirare in lungo senza costo (lo dicono
ancora le Finanze), infine i condoni sono cadenzati ogni decennio: `73, `82,
`91. Vuol dire che il rapporto fiscale si basa su questa ragione pratica: farla
franca, confusi tra milioni di evasori; farla lunga, coltivando con
calma la lite; farla fuori, con poche lire di condono. A differenza che
nel resto d'Europa non c'è più, con questo condono, certezza di tassazione con
saltuari condoni, ma certezza di condoni con saltuaria tassazione.
In questo sistema smontato e rovesciato, in cui a dettare legge sono proprio i
fatti fuorilegge, l'evasione e la furbizia, non bastano i correttivi tecnici che
dovrebbero consentire al governo di cedere con fermezza: non bastano la messa a
regime dei coefficienti per commercianti ed artigiani, l'abolizione del segreto
bancario, la riforma dell'amministrazione. Quella di reintrodurre i coefficienti
di redditività, per indurre commercianti ed artigiani a dichiarazioni
verosimili, è una tesi a lungo sostenuta sul Corriere, tanto che il
documento governativo non solo la realizza, ma usa queste stesse parole.
Tuttavia lo fa con ritardo incolmabile: quella sui coefficienti doveva e poteva
essere un'operazione iniziale e non terminale, passaggio di graduale
risanamento, non posticcio alibi di condono.
Neppure l'eliminazione del segreto bancario è un passaggio risolutivo: che
risulti, l'autorità giudiziaria non ha infatti mai negato l'accesso ai conti
degli evasori. Solo che, a differenza della Guardia di Finanza,
l'amministrazione finanziaria ne ha fatto un uso limitatissimo. Dunque, si
tratta soprattutto di una norma-messaggio, messaggio comunque debole, rispetto a
quello forte trasmesso con il condono.
La riforma dell'amministrazione finanziaria è infine, in questa fase, negativa.
Nel 1971 si è fatta la riforma delle imposte, senza quella
dell'amministrazione. Ora si fa il contrario ma così si finirà soltanto per
accrescere la popolazione dei pubblici parassiti. Senza contare che, attuata in
un momento di crisi fiscale gravissima, così si destabilizza il fisco.
Dall'unità d'Italia manca il precedente di una politica tributaria come questa,
una politica che è riuscita a fare due cose opposte: legittimare l'esplosione
di spese coperte da entrate inventate, far cadere le entrate da autoliquidazione,
che presuppongono una fiscalità autorevole e non ridicolizzata da continue
improvvisazioni e contraddizioni. A questo punto una sola cosa è certa, che
questo governo tira a campare, ma il prossimo scompare sotto il disastro della
finanza pubblica.