Perché gli scacchi?

Il gioco degli scacchi nell’immaginario collettivo ha sempre esercitato un fascino irresistibile. Chi non si ricorda le famigerate partite con la Morte trasmesse al cinema o lette e rilette tra le pagine di mille libri e altrettanti fumetti? È quello che si definisce un classico.
Nel folklore irlandese, Finvarra è un abilissimo giocatore di scacchi, imbattibile, astuto e vincitore continuo di tesori e ricchezze strappate a chi decideva di sfidarlo. È quindi un inserimento non per nulla casuale la partita che il giovane Thomas decide di fare con il potente re delle fate in Niahm e gli scacchi del re. Anzi, sotto certi aspetti, la sconfitta del ragazzo diventa il pretesto per iniziare a raccontare le rocambolesche avventure di un figlio pentito che deve a tutti i costi recuperare le proprietà del padre, oramai giocate incautamente e perse irrimediabilmente. E quell’ “a tutti i costi” deve essere preso alla lettera, visto poi che sarà l’esilio il riscatto che pagherà Thomas per riconsegnare le terre alla famiglia.
Dai pensieri di Finvarra, mentre Thomas si avvicina accompagnato da Niahm al tavolo da gioco per la rivincita, è chiaro poi che l’allontanamento dal mondo degli uomini per il ragazzo è già preventivato. È preventivato dal re, che sa già che non può perdere, ma è preventivato anche da Niahm che, pur decidendo di essere misericordiosa con Thomas, è comunque una fata e risponde prima di tutto alla morale del piccolo popolo, mai o quasi mai lineare come quella degli esseri umani.
Spero in futuro di riprendere il personaggio di Thomas, approfondirlo maggiormente e fargli vivere un’avventura nuova ma la tempo stesso analoga a quella del primo numero. Magari su una grande scacchiera, piena di mostri, mondi da evitare e porte da aprire.
Chissà se la giocherebbe questa volta?

Marco Sonseri.