La rinuncia
più difficile
Al di là dell'alto muro del convento c'è il misero quartiere
Moti Jheel, con i suoi tuguri e vicoli fangosi. Suor Teresa dalla
finestra della camera vede tanto squallore: bimbi nudi e sporchi, vecchi
sofferenti e moribondi, gente affamata e senza casa. Si rende sempre
più conto che Calcutta non è solo la metropoli dei mercanti,
degli uomini degli affari e della politica, ma che accanto ai grandi palazzi
ci sono i tuguri dove tanti ogni giorno muoiono di fame. Inoltre
dal 1939 tutto diventa più difficile: scoppia un'orrenda guerra
che dall'Europa si estende in tutto il mondo. Anche l'India è
coinvolta: e i poveri diventano sempre più poveri. Finita
la guerra gli indiani festeggiano con danze e sacrifici agli dei.
Suor Teresa sale su un treno che la riporta a Darjeeling per gli esercizi
spirituali. Stretta in un cantuccio, faticosamente conquistato, pensa
alla folla di affamati, storpi, ciechi e lebbrosi che popolano i marciapiedi
di Calcutta. Tante scene che l'avevano sconvolta non può dimenticarle,
vede mani che le si tendono per chiedere aiuto, ode i rantoli dei moribondi
in mezzo alle strade. Per la notte, tanto dura il viaggio, non riesce
a dormire e continuamente ripete «Devo fare qualcosa ... ».
Su quel treno ha una seconda chiamata o, come Madre Teresa in seguito
l'ha definita «una vocazione nella vocazione. Il messaggio
fu molto chiaro, dovevo uscire dal convento e aiutare i poveri vivendo
in mezzo a loro». Ritornata a Calcutta chiede all'arcivescovo
monsignor Périer l'autorizzazione a lasciare la congregazione per
lavorare con i poveri. La prima risposta è un secco «no».
Una seconda
chiamata
"Era giusto che rispondesse così - dirà più tardi
la Madre -, perché un arcivescovo non può permettere alla
prima arrivata di fondare una nuova opera, sotto il pretesto che è
stato Dio a chiederlo». Suor Teresa si rende conto che non
è facile lasciare il convento, ma non si scoraggia.
Un anno dopo, è il 1947, ripete la sua istanza. Per l'India
è un periodo non facile poiché in seguito all'indipendenza
l'antico impero inglese si divide in due Stati: l'Unione Indiana, di religione
indù, e il Pakistan di religione musulmana seguaci delle due religioni
cominciano a combattersi dando luogo ad atroci massacri e a nuove povertà.
Suor Teresa segue i tragici eventi e sente che la vita del convento le
sta sempre più stretta.
Finalmente il 16 agosto 1948 le giunge l'autorizzazione da Roma, con
la firma di papa Pio XII, a lasciare il convento. Così, da
sola, senza un tetto, con l'unica veste che indossa, 5 rupìe in
tasca e una fede incrollabile, inizia la grande avventura. «Lasciare
Loreto - confiderà molti anni più tardi -è stato il
mio sacrificio più grande, la cosa più difficile che abbia
mai fatto». Adolescente aveva abbandonato la famiglia, la casa
patema, il proprio Paese, la propria cultura per andare in una terra straniera
e lontana; ora Dio la chiama a una totale donazione di sé. E' serena
e si sente libera di raggiungere il mondo dei derelitti.
Per 4 rupìe compra un sari di cotone, la veste più comune
e povera delle donne indiane; è bianco bordato di azzurro e sulla
spalla si appunta una piccola croce. Prende un treno per Patna, dove
trascorre tre mesi presso le Medical Sisters per apprendere rudimentali
nozioni di medicina, poi rientra a Calcutta alla ricerca dei più
miseri slums di Tilia e Motijhil. Passa da una baracca all'altra
e inizia l'opera con acqua e sapone: lava i bambini, i vecchi piagati,
le donne sofferenti. Va in giro chiedendo cibo e medicine, mendicando
per curare e sfamare i suoi poveri. Dopo tre giorni apre una scuola,
all'aria aperta, sotto un albero. «Come lavagna - preciserà
- avevamo la terra polverosa dove con un bastoncino disegnavo le lettere».
Dopo la «scuola» comincia a camminare senza sosta per le
strade della città. In pieno centro nelle viuzze di Georgetown
è letteralmente assalita da uno stuolo di mendicanti e di bambini
affamati che urlano: «Niente madre... niente padre... niente fratello
straniera dare dei soldi!». Ai lati, sui marciapiedi, quelli
di cui non si sa se sono ancora vivi o sono già morti. «La
prima persona che tolsi dal marciapiede - racconterà Madre
Teresa - era una donna mangiata per metà dai topi e dalle formiche.
La portai con un carretto all'ospedale, non volevano accettarla, se la
tennero solo perché mi rifiutai di andarmene finché non l'avessero
ricoverata. Poi fu la volta di un'anziana che si lamentava tra i
rifiuti. Nell'indifferenza dei passanti mi sforzai di tirarla fuori,
mentre tra le lacrime continuava a ripetermi: "E dire che è mio
figlio che mi ha gettata qui"».
Ogni giorno la fragile suora dal sari bianco continua la sua opera
per le vie di Calcutta e il suo corpo per gli stenti è tutto dolorante.
Quando è sopraffatta dalla fatica ripensa al convento di Loreto,
alla vita regolare, alla sicurezza. Ma il suo sì ai poveri
è deciso, è convinta che la sua vita sia assieme a coloro
che cascano per la strada consapevoli di morire e accanto ai quali i «vivi»
passano volgendo il capo. La sua abitazione è una baracca
sterrata e lì porta quelli che non sono accolti negli ospedali.
Nel febbraio 1949 Michele Gomez, funzionario dell'amministrazione statale,
mette a disposizione di suor Teresa un locale all'ultimo piano di una casa
di Creek Lane e lì giunge la prima consorella. E' Shubashini, una
ragazza di famiglia agiata ex alunna di Loreto, che spogliandosi del suo
elegante sari indossa la veste a buon mercato e prende il nome di Agnese,
quello secolare della fondatrice. Presto le suore diventano 12 e
la comunità si va formando.
Nasce
la congregazione
Il 7 ottobre 1950 nasce ufficialmente, con decreto della Santa Sede,
la Congregazione delle Missionarie della carità e suor Teresa diventa
Madre Teresa. In aggiunta ai tre usuali voti di povertà, castità
e obbedienza la nuova comunità ne fa un quarto di «dedito
e gratuito servizio ai più poveri tra i poveri». Il 1 febbraio
1965 la società religiosa fondata da Madre Teresa diventa Congregazione
pontificia. Inizia la vita secondo la Regola:- alzata alle 4.45,
preghiera fino alle 7.30, colazione e poi il lavoro nelle bidonvilles.
Data la massiccia affluenza dei malati il piccolo locale di Gomez si
rivela insufficiente. E in più l'esperienza sconvolgente di
molti moribondi rifiutati dagli ospedali rende insofferente la Madre. «E'
inammissibile - dice - che tanta gente muoia senza alcun conforto.
Dei moribondi mi occuperò io». Comincia così
l'affannosa ricerca di un locale dove sistemare delle reti. Dopo
varie e continue richieste il Comune le affida il Dormashalah (casa del
pellegrino»): due ampi saloni accanto al tempio di Kalighat dedicato
alla dea nera Kali. Quando Madre Teresa va a prenderne possesso ai
suoi occhi si presenta una scena apocalittica: tra il denso fumo dell'incenso
e il fetore del sangue degli animali sacrificati alla dea, i pellegrini
- assistiti dai sacerdoti - compivano riti per gli antenati. Altri
sacerdoti meditavano, tra il frastuono e i gemiti, e pregavano in una immobilità
assoluta; i mendicanti frugavano nella polvere per trovare gli avanzi di
cibo e i resti degli animali.
In quella indicibile babele Madre Teresa si insedia con le sue suorine.
Armata di pennello e calce imbianca le sudicie pareti. Pone una statua
della Madonna all'ingresso, sistema delle brandine... e tutto è
pronto per accogliere gli infermi. La Casa per il moribondo abbandonato,
Nirmal Hriday, viene inaugurata: è il 1954. Madre Teresa parte
con il suo carrettino, ormai famoso nella città, per la «raccolta»
dei moribondi di ogni età. «Per molti che qui arrivano non
c'è più nulla da fare, ma se riprendono conoscenza dopo le
nostre cure almeno muoiono amati. Spesso mi sono sentita dire - sono
parole della Madre "Per tutta la vita ho vissuto come un animale, ora muoio
come un essere umano..."».
Oltre alla vita che si spegne la fondatrice guarda anche alla vita
nascente con l'apertura della Casa dei bambini, Shishu bhavan, dove accoglie
i bambini abbandonati, trovati spesso nei bidoni della spazzatura.
La Madre racconta spesso delle notti insonni passate a cullare i neonati
per farli addormentare. «Li rendiamo molto felici qui - afferma -,
ma niente vale l'amore della famiglia. Un giorno ho visto un bambinetto
che non mangiava: sua madre era morta. Ho cercato allora una suora che
somigliava alla madre e le ho detto di giocare col bambino... il suo appetito
è tornato da quando ha cominciato a chiamare la suora "mamma"».
E' con in mente il loro avvenire che Madre Teresa cerca di far adottare
questi bambini.
Costruire
la Città della Pace
Molti progetti della Madre si vanno realizzando ma manca forse quello
più ambizioso: togliere i lebbrosi, i suoi figli prediletti come
li definisce, dagli slum. Va ogni giorno a trovarli e curarli nelle
loro misere baracche ma spera di costruire per loro una città.
Sa già che la costruirà sul terreno di Asansol donatole dal
governo, che dovranno abitarci 400 famiglie di lebbrosi e che la chiamerà
«Città della Pace», Chantinabal ma le manca il danaro.
Puntualmente però la Provvidenza arriva. E' il 1964, a Bombay si
celebra il Congresso eucaristico alla presenza del Papa.PaoloVI incontra
la Madre e constata personalmente il suo enorme e fruttuoso lavoro.
Al momento di partire le lascia un ricordo: una stupenda, lunga auto americana,
decappotabile, tutta bianca con sedili rosso sgargiante con una dedica:
"A Madre Teresa per la sua universale missione d'amore". Appena la
Madre vede la lussuosa vettura s'immagina seduta in quello splendore e
scuote il capo dicendo: «Chissà quanta benzina consuma! No,
meglio il mio carrettino tirato a mano. La metterò all'asta.
Questa è la macchina dei lebbrosi». E infatti con il
ricavato costruisce il primo lotto, dei 14 previsti, della «città
della pace»; la strada più grande la chiama viale Paolo VI.
Due anni dopo, grazie ad altri aiuti e premi, il villaggio della pace
viene terminato: l'antica speranza è diventata realtà.
All'interno della città ci sono i negozi, i giardini, l'ufficio
postale e le scuole. Ormai il nome di Madre Teresa varca i confini
dell'India e cosi la congregazione: viene aperta a Cocorote, in Venezuela,
la prima casa delle Missionarie della Carità. E' il luglio
del 1965.
Così da un angolo dei bassifondi di Calcutta comincia ad irradiarsi
per il mondo l'amore per Cristo attraverso i sofferenti. La minuta
figura di Madre Teresa, il suo fragile fisico piegato dalla stanchezza
e dall'abitudine a curvarsi su ogni sofferente, il suo scarno viso solcato
da innumerevoli rughe sono ormai conosciuti in tutto il mondo. Nel
1979, poi, da Stoccolma arriva il premio Nobel per la pace. Chi ha
avuto la fortuna di incontrare Madre Teresa e ha potuto ascoltarla
sa che da lei emanava qualcosa di eccezionale; sia quando pronunciava parole
«sconcertanti» per la loro semplicità, sia quando, assorta
in preghiera, taceva con il Rosario tra le mani e il sorriso che le illuminava
il volto. Solo allora si capiva che le sue parole, i gesti, tutta
la sua opera provenivano da qualcosa di più profondo che le bruciava
dentro: il grande amore per Cristo attraverso i fratelli.