L'eternità stessa è nel temporale: intervista a Régine Pernoud su Giovanna d'Arco
di Stefano M. Paci

Giovanna in armi"C’era un grande progetto politico portato avanti dagli intellettuali, dai professori universitari, da alcuni vescovi e da chi deteneva il potere. E improvvisamente una ragazzina, guardiana di pecore, si era messa in mezzo. Rischiava di farlo fallire. Inoltre, diceva di parlare in nome di Dio. Ciò era intollerabile. Erano loro, gli intellettuali e i politici, i difensori della Chiesa. Erano loro, i vescovi e i chierici, gli unici ad avere il diritto di parlare in nome di Dio, e suscitare entusiasmi nel popolo. Quella ragazzina era una pietra d’inciampo. Bisognava eliminarla. E così avvenne. Per farlo, il potere si servì di uomini di religione e di un processo ecclesiastico. Giovanna venne tradita dai suoi. In nome della Chiesa si uccise colei che Péguy definisce "la più grande santa e martire, santa due volte", perché il suo martirio avvenne "in seno alla cristianità". Il suo processo è un esempio di clericalismo che ancora oggi, cinquecento anni dopo, fa ribollire il sangue".

Ha 88 anni Régine Pernoud, la più celebre storica del Medioevo. Ma si accalora come quando era giovane, mentre racconta di Giovanna d’Arco. A lei ha dedicato una quindicina di volumi. E, nel 1973, ha fondato il Centro Giovanna d’Arco ad Orléans. Siamo venuti a trovarla nella sua bella casa di Saint-Germaine-des-Pres, nel centro di Parigi, per parlare del processo che Giovanna subì e della sua successiva riabilitazione. Nella stanza, accanto a volumi sul Medioevo, spiccano quadri e splendidi gouaches di Henri Matisse, che fu confidente della Pernoud per molti anni. "La prima volta che mi vide" racconta mentre mi mostra i quadri del grande pittore "mi disse: il medioevo è la luce, il Rinascimento buio. Divenimmo subito amici. E a volte, mentre parlavamo, lui prendeva dei fogli colorati e con le forbici ritagliava distrattamente delle figure che cadevano a terra. Io gli dicevo, "Henri, che fai, le butti?". Le trovavo bellissime: le raccoglievo e poi le incorniciavo. Ed ora eccole qui. Era un grande uomo, e anche lui condivideva la passione per il Medioevo. E per Giovanna d’Arco".

Madame Pernoud, quale era questo progetto su cui erano d’accordo professori, politici ed ecclesiastici e che scatenò l’odio contro Giovanna?

RÉGINE PERNOUD: Era un progetto elaborato all’Università di Parigi. Il trattato di Troyes aveva concesso la doppia corona di re di Francia e d’Inghilterra al discendente di Enrico V di Lancaster e di Caterina di Francia. Di fatto, si trattava di far diventare la Francia una provincia dell’Inghilterra. Si era in un periodo di transizione, con un quadro politico molto confuso, e sembrava ormai che questo progetto non dovesse più trovare oppositori. L’Inghilterra offre soldi, vantaggi e prebende a tutti quelli che possono servire al suo scopo. Gli intellettuali sono sedotti. L’Università di Parigi è tutta a favore del re d’Inghilterra. E anche molti potenti, come il duca di Borgogna e quello di Normandia, e molti vescovi. Quando, nell’ottobre 1428, gli inglesi pongono l’assedio alla città di Orléans, cioè al cuore della Francia, tutti comprendono che la nazione è ormai perduta.

Però, improvvisamente, accade una cosa del tutto imprevista. Nel marzo 1429 una giovane contadina si presenta al re. Dice di chiamarsi Giovanna. Non sa né leggere né scrivere, ma dice di essere inviata da Dio per liberare la Francia. Esorta il re a fare un nuovo sforzo di guerra. Incredibilmente, riesce a convincerlo, e poche settimane dopo questa ragazzina è a capo delle truppe e in soli otto giorni libera Orléans. Dopo questo exploit, riesce a convincere il re ad andare a Reims per essere incoronato.

È facile immaginare l’odio che Giovanna suscitò non solo negli inglesi, ma in tutta quella lobby universitario-politico-ecclesiastica che aveva così accuratamente messo a punto il progetto, e che ora se lo vede incredibilmente sfuggire dalle mani. E quando, abbandonata da un re pusillanime, Giovanna finalmente cade in suo potere, venduta per duemila pezzi d’oro, questa lobby decide di regolare i conti. E istituisce un processo che la condanna a morte.

Quello che più sorprende è che si tratta di un processo ecclesiastico condotto da un vescovo. E che Giovanna, così obbediente e fedele alla Chiesa, viene condannata per eresia.

PERNOUD: Sì, i membri del tribunale hanno perfetta coscienza che si tratta di un processo ecclesiastico. A capo c’è il vescovo di Beauvais, Pierre Cauchon. Lui stesso aveva preparato, elaborato e messo a punto il progetto di cui abbiamo parlato.

Quello di Giovanna d’Arco è un processo di inquisizione. Questi processi erano iniziati nel 1231 per permettere di contrastare il manicheismo, una eresia penetrata in profondità nei punti chiave della Chiesa medioevale. Ma i tribunali ecclesiastici non rimasero a lungo luoghi di Chiesa. Filippo il Bello, per esempio, se ne serve per i suoi scopi, e utilizza degli ecclesiastici che gli sono legati a doppio filo per condannare i Templari. Il processo ai Templari è un orrore come quello a Giovanna d’Arco. La Chiesa si "prestava" al potere politico al punto di istituire a suo piacimento dei tribunali. Perché si riteneva essa stessa una potenza. Ma questo clericalismo non appartiene solo al XIV secolo. Anche oggi c’è questa tendenza: fa parte della vita della Chiesa. La differenza è che adesso si presenta sotto forme diverse. Ma credo che attualmente questo sia più riscontrabile in Italia e in Germania che in Francia.

Si può dire che il vero nemico Giovanna l’ha incontrato all’interno della Chiesa?

PERNOUD: Sì. La sua più grande battaglia l’ha combattuta con i fratelli che condividevano la stessa fede cristiana. E non si può immaginare peggior supplizio. Ma anche se sa di avere davanti a sé un tribunale ecclesiastico, ad un certo punto Giovanna esclama: "Voi non siete la Chiesa". Nessuno era mai stato audace come lei nella sua totale adesione alla Chiesa, ma in questa difficile situazione riesce a distinguere bene cos’è la Chiesa e quello che sono quei professori parigini mossi solo da scopi politici. La sua lucidità è ancora più ammirevole se si pensa alla subdola astuzia alla quale ricorrevano per poterla confondere e condannare per eresia. Ad un certo punto i giudici insistono per farle fare una distinzione tra Chiesa militante e Chiesa trionfante. Ma lei non sa il significato di quei termini. E risponde: "Dato che tutta la Chiesa è di Dio, la differenza non deve essere poi molto importante". E ha ragione: Cristo e la sua Chiesa sono un tutt’uno. Stabilire queste distinzioni è una cosa che può essere interessante per dei teologi, ma non compare nel Vangelo.

E re Carlo, in tutto questo periodo, come si comportò?

PERNOUD: Anche se le doveva tutto, re Carlo non si interessò mai di lei durante la lunga detenzione e il processo. Giovanna si dovette sentire tradita anche da lui, dal re cristiano. Perché questa era la coscienza che aveva di sé Carlo VII: un re che poteva giudicare ed entrare nelle cose della Chiesa. Bisogna rendere omaggio a chi, nei tempi moderni, ha voluto la separazione della Chiesa e dello Stato. Ha avuto degli effetti estremamente benefici, anche se magari non era facile rendersene subito conto. Ma adesso appare con evidenza. E quando ci sono sovrapposizioni, magari nascoste, tra potere politico ed ecclesiastico, ancor oggi accadono disastri.

Perché a Giovanna fu fatto un processo ecclesiastico?

PERNOUD: Per una necessità politica. Se si riusciva a dimostrare che Giovanna era una strega, o una eretica, ecco che la consacrazione di re Carlo avvenuta nella Cattedrale di Reims perdeva il suo senso sacro. E sarebbe crollata anche la considerazione che i francesi avevano del loro nuovo re. Ma questo processo, a cui parteciparono sei professori universitari parigini che svolgevano un ruolo molto attivo, prelati venuti dalla Normandia e dall’Inghilterra, canonici di Rouen e avvocati del tribunale ecclesiastico, ottenne in realtà uno scopo diametralmente opposto.

Quale?

Il supplizio di GiovannaPERNOUD: Quello di consegnarci gli atti di una specie di processo di santità. Il vescovo Cauchon deve aver pensato che per quel tribunale in cui c’erano universitari di alto livello, esperti in teologia, in diritto civile e in diritto canonico sarebbe stato facile indurre la giovane contadina a confondersi e a pronunciare affermazioni eretiche oppure farla cadere in contraddizione con se stessa o con la Chiesa. Invece, avvenne il contrario. E gli atti di quel processo sono diventati una cosa preziosa.

Di Giovanna non ci rimane né un ritratto né una tomba e, per paura che venissero venerate, dopo il rogo anche le sue ceneri furono raccolte e disperse nella Loira. Di lei non ci rimangono che le sue parole e le testimonianze raccolte in quel processo. Sembra paradossale, ma il processo che la condannò per eresia in realtà costruisce un monumento alla sua santità e alla sua incrollabile fedeltà al Signore e alla Sua Chiesa, che uomini di Chiesa cercano subdolamente di minare. Dalle risposte che il notaio Guillaume Manchon registra giorno dopo giorno emerge che la vita di Giovanna non fu altro che una risposta: una risposta alla chiamata di Dio. Un appello che le venne fatto con una concretezza tale da lasciare attoniti: attraverso delle voci, che lei concretamente udiva. E, una volta che Giovanna comprende che le voci misteriose che si rivolgono a lei sono un messaggio che viene da Dio, non ha più esitazioni e ha un solo scopo nella vita: conformarsi a quello che le viene chiesto. Ai dotti professori di università, che tra l’altro insistono per sapere dove tiene la "mandragola", un’erba che darebbe poteri demoniaci, lei risponde sempre con una concretezza sconvolgente. Anche a proposito delle sue voci misteriose. "La prima volta ebbi molta paura", dice. "Era circa mezzogiorno, in estate, ed ero nel giardino di mio padre. E non avevo digiunato il giorno precedente". Quando le chiedono cosa accadrà del suo "partito", risponde: "Prima di sette anni, gli inglesi perderanno tutto in Francia. Sarà una grande vittoria che Dio invierà ai francesi". Sei anni e mezzo più tardi, Carlo VII entrerà trionfante a Parigi.

Leggendo gli atti di quel processo ci si accorge che di fronte alle costruzioni di intellettuali sicuri di loro stessi - e che si appoggiano a poteri politici che ritengono vadano "nel senso della Storia" - Giovanna rappresenta la fede: la fede nella sua semplicità e anche nella sua potenza. Non a caso il cardinale Jean Daniélou l’ha definita "la santa del temporale".

Diciotto anni dopo la condanna per eresia, venne fatto un nuovo processo. Perché?

PERNOUD: Il re Carlo VII entra a Rouen, nella Normandia riconquistata. È la città dove venne bruciata Giovanna. Ordina un’inchiesta ufficiosa per "sapere la verità di quel processo e il modo con cui è stato condotto". Erano ancora in vita i testimoni, tra cui il notaio che aveva redatto gli atti del processo. Negli anni seguenti vennero condotte altre due inchieste, questa volta ufficiali, che condussero ad un nuovo processo dell’Inquisizione che si aprì nel 1456 a Notre-Dame de Paris: nella prima seduta i commissari del re ascoltarono la testimonianza della madre di Giovanna, Isabelle Romée. Poi i testimoni della sua infanzia e giovinezza. Il processo di riabilitazione annullò solennemente il primo, di cui vennero mostrate tutte le ingiustizie, e tolse da Giovanna ogni sospetto di eresia.

Leggendo gli atti di questo processo di riabilitazione e le testimonianze di chi la conobbe viene da pensare, senza voler spingere troppo lontano il paradosso, che Giovanna sarebbe stata altrettanto santa anche se Dio non le avesse fatto delle richieste così eccezionali. Ancora prima di esserne "informata", ancor prima di sentire la chiamata proveniente "dalla parte destra del giardino di suo padre". Perché la fede rende preziose anche le occupazioni più banali e quotidiane. E i vecchi amici di Domremy ricordano di lei: "Era come tutti gli altri, faceva come tutti gli altri: accudiva la casa, filava, accompagnava le bestie al pascolo".

Ma quello che lascia stupiti leggendo queste testimonianze è l’accorgersi che anche nei suoi concittadini c’è la stessa giustezza di sguardo, la stessa pietà verso il reale che si riscontra in Giovanna: essi sono egualmente penetrati dall’annuncio cristiano, dal Vangelo che viene proclamato loro dal curato. Hanno delle anime rette. Hanno vissuto gli orrori della guerra, dell’invasione, ma la fede è presente e concreta, nonostante le loro debolezze e passioni. Il fatto cristiano è ancora concretamente presente nel popolo, mentre il processo di condanna mostra che le élites, intellettuali e religiose, se ne stavano già staccando, rendendolo un fatto intellettuale. Anche per questo Giovanna può davvero essere considerata la santa del nostro tempo.

Charles Péguy, nel "Mistero della carità di Giovanna d’Arco", sembra contrapporre Giovanna a Madame Gervaise: mentre quest’ultima rappresenta l’insegnamento tradizionale della Chiesa, in forza del quale appare ragionevole e doveroso credere, Giovanna rappresenta l’uomo moderno, che non può credere se non vede con gli occhi e non tocca con le mani lo stesso avvenimento di grazia. "Perché" scrive Péguy "l’eternità stessa è nel temporale". È una figura letteraria, la Giovanna d’Arco di Péguy, o coincide con il personaggio che appare dai documenti storici?

PERNOUD: Péguy ha capito tutto di Giovanna d’Arco. E ha una magnifica capacità di penetrazione della sua vicenda storica. Péguy, parlando della scristianizzazione moderna, di cui noi oggi viviamo le conseguenze ultime, scrive: "Tutto è acristiano. Perfettamente scristianizzato. Ecco ciò che bisogna vedere. Ecco ciò che gli ecclesiastici non vorranno vedere". Anche per questo Péguy ha intuito il dramma di Giovanna d’Arco.

"Non si era mai parlato così cristianamente finora", ha scritto Hans Urs von Balthasar a proposito di Péguy. Eppure anche Jacques Maritain ha attaccato duramente "Il mistero della carità di Giovanna d’Arco". Chi aveva ragione?

PERNOUD: Non ho mai saputo che Maritain abbia attaccato Péguy! Ne è sicuro?

Ho trovato la lettera di Maritain negli archivi "Charles Péguy" di Orléans. È datata 2 febbraio 1910. Maritain scrive a Péguy: "Dopo aver letto la sua opera, sono desolato. Vedo manifestamente che lei è ancora lontano dal vero cristianesimo, con l’illusione di esservi arrivato. [...] La vocazione della Beata Giovanna è completamente sfigurata. [...] La meditazione della passione di Nostro Signore è piena di inconvenienti e di irriverenze. [...] Della Santissima Vergine lei ha osato parlare bassamente! Come sopportarlo! In questa opera, fatta con tutto il suo zelo e la sua devozione, è rimasto deplorabilmente al di fuori. [...] Questo mi ha desolato".

PERNOUD: È assolutamente incredibile. Non conoscevo questa lettera. Stento a crederci. Quello che dice Maritain è stupido. Ma lui era un intellettuale, e Péguy attaccava il partito degli intellettuali. Può darsi che questo lo abbia irritato.

Può darsi. Infatti in un’altra lettera conservata negli archivi e datata 1 aprile 1910, Péguy spiega ad un abbonato della sua rivista che quello che sconvolge Maritain è che la sua Giovanna d’Arco non è "una di quelle immaginette devote che i cattolici sono abituati a trovare nelle loro parrocchie borghesi".

Giovanna d'Arco, di R. PérnoudPERNOUD: Io ho conosciuto persone che frequentavano il circolo cattolico che si riuniva a casa di Jacques e Raissa Maritain a discutere di cristianesimo. Per esempio Stanislav Fumet, che era un loro grande amico. Ma io non ci sono mai andata, non sono mai stata attirata da quell’ambiente. Forse per il suo aspetto di cattolicesimo intellettuale. E io non mi ritengo un’intellettuale.

La Giovanna d’Arco di Péguy è un po’ questo: colei che si ribella al cattolicesimo degli intellettuali, che si ribella a coloro che intendono insegnare ai semplici il vero cristianesimo con l’illusione di rendere cultura la fede. Come se la fede dei semplici fedeli, quali Giovanna d’Arco, non fosse pienamente ragionevole. E non fosse molto più intelligente degli uomini e delle cose della vita che non i discorsi degli intellettuali.

Madame Pernoud, un’ultima domanda. Perché ha iniziato ad interessarsi a Giovanna d’Arco?

PERNOUD: Per caso. Era la vigilia del Natale 1952. Mi venne chiesto un articolo sul processo di riabilitazione di Giovanna. Io, come tutti a quell’epoca, pensavo che fosse un personaggio da citare solo nei discorsi ufficiali. E risposi di no. Ma di fronte alle insistenze dissi che avrei dato un’occhiata ai testi esistenti. Andai in biblioteca e salii su una scala per sfogliare i volumi di Jules Quicherat che aveva pubblicato tutti i documenti riguardanti i processi. Lo trovo, inizio a leggere e poco dopo, almeno così mi sembrava, sento il bibliotecario che mi dice: "Mademoiselle Pernoud, se non vuole che la chiudiamo dentro deve scendere da quella scala". Erano passate oltre due ore, ed io non ero scesa da quella scala, intenta com’ero a leggere il processo di riabilitazione. Appassionante. Da allora mi sono sempre occupata di Giovanna d’Arco. In realtà mi sembra di essere sempre rimasta, in tutti questi anni, appesa su quella scala. Ad approfondire la sorprendente vicenda di un Dio che è entrato così profondamente nella storia dell’uomo da non aver avuto ritegno a mischiarsi in guerre, battaglie e processi. Giovanna è un paradosso, perché mostra che anche nelle peggiori occupazioni, cioè facendo la guerra, si può seguire Cristo. È in quella situazione che la sua santità si afferma. Dimostrando che non esiste nessuna situazione, per quanto paradossale, in cui la grazia di Cristo non possa agire visibilmente.

Ella fu la più grande santa e martire

"Questa fanciulla fa una commissione di Dio. Poiché Dio ha soltanto un ridottissimo personale in questo combattimento ella deve essere contemporaneamente il sostenitore e l’araldo.

Si sa come fu ricevuta. Trovò gli Inglesi (e i Borgognoni) e, bisogna dirlo, i Francesi, e la Sorbona e il re d’Inghilterra e, bisogna dirlo, il re di Francia e la Chiesa d’Inghilterra e, bisogna dirlo, la Chiesa di Francia più sorda e chiusa alla voce di Dio, più ribelle a Dio di quel che san Luigi avesse trovato gli infedeli d’Egitto. Ed è una delle ragioni per le quali ella fu la più grande santa e martire. Bisognerebbe forse dire che ella fu santa al secondo grado e che fu martire al secondo grado. Perché in seno alla cristianità trovò i suoi punti d’applicazione, i suoi punti di resistenza, i suoi punti di guerra, i suoi punti d’onore, i suoi punti di santità, i suoi punti di martirio. Ella è stata come un soldato che non abbia combattuto soltanto alle frontiere ma per il quale il proprio focolare sia stato un’immensa, un’universale frontiera. Più fortunato san Luigi, aveva avuto a che fare soltanto con gli infedeli.

Si può dire che san Luigi avesse intorno a sé un popolo di fedeli e che combattesse un popolo di infedeli che era piuttosto un popolo di contro-fedeli. Giovanna d’Arco dovette invece rispondere alla propria vocazione e perseguirne l’oggetto, dovette compiere la propria missione in un popolo d’infedeltà, in mezzo ad un inveterato popolo infedele, in mezzo ad un popolo abitualmente caduto in uno stato di infedeltà"

Charles Péguy, Note conjointe sur Descartes et sur la philosophie cartésienne

Giovanna d'Arco, dal film di Dreyer

La prova raddoppiata

"Ella dovette essere cristiana, martire e santa, contro dei francesi e contro dei cristiani. Trovò l’infedeltà installata nel cuore stesso della Francia, nel cuore stesso della cristianità. Dovette rompere quella lunga abitudine. Dovette risalire una lunga memoria. Io definisco ciò essere santa e martire due volte. Io definisco ciò una prova di secondo grado, una santità, un martirio di secondo grado. Senza abitudine ella dovette rompere una lunga abitudine. Immemore dovette risalire una lunga memoria.

Fare la guerra al nemico, essere in preda al nemico, non dico che non sarebbe niente, ma infine sarebbe, è il primo grado. Fare la guerra al proprio fratello, essere in preda a quelli della propria razza spirituale, ecco il secondo grado della prova ed ecco la prova raddoppiata".

Charles Péguy, Note conjointe sur Descartes et sur la philosophie cartésienne

La più fedele imitazione di Gesù Cristo

"Se ciò avviene nella guerra civile e nella guerra contro lo straniero per problemi territoriali e politici, che cosa sarà quando avviene per motivi spirituali? Anche lì ci sono frontiere ed un centro (il centro è Roma). Anche lì c’è il nemico e il focolare. Anche lì ci saranno dunque, in questo senso, due categorie di guerra: e la guerra contro lo straniero per motivi spirituali, quand’anche fosse un disastro, entra ciò nonostante nella categoria della felicità. Ma la guerra civile per motivi spirituali, quand’anche fosse vittoriosa, e quanto più è vittoriosa, entra nella categoria della sofferenza e di un immenso rimpianto e nella categoria di una infelice guerra.

(Gesù le ha avute tutte e due, sovrapposte o meglio congiunte, egli che ebbe a che fare con i Giudei e con i Romani, con la sua razza e con la razza straniera, con Caifa e con Pilato, con la turba e con i soldati).

Più fortunato Poliuto ebbe a che fare solo col mondo antico ed è questa anche una delle ragioni per le quali Poliuto si pone interamente nella categoria della felicità, che è la stessa categoria della grazia. Come san Luigi egli si batte solo alle frontiere (spirituali, temporali). Come san Luigi egli si batte soltanto contro il nemico. Come san Luigi le sue operazioni di guerra spirituale non furono mai altro che operazioni della crociata. Come san Luigi egli non fece mai altro che crociata. Che diremo di colei che venne a Orléans persuasa che quello fosse soltanto il punto di partenza di una riconciliazione generale della cristianità per la crociata, per la ripresa e il compimento della crociata e che trovò invece che quella era la sola crociata che non avrebbe mai fatto. Che diremo se non che in questo modo realizzò anche ciò che definirò forse un giorno: la più fedele imitazione di Gesù Cristo".

Charles Péguy, Note conjointe sur Descartes et sur la philosophie cartésienne

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