A
cominciare da Pio IX e Leone XIII nel secolo scorso, l'opinione di Galli della Loggia è
ampiamente condivisa dai cattolici. I Pontefici (diretti testimoni dei fatti del
Risorgimento nazionale) lo ripetono in numerosi pronunciamenti ufficiali: l'unità
d'Italia è il risultato della guerra scatenata dalla massoneria nazionale e
internazionale contro la Chiesa cattolica.
Pio IX inizia una meticolosa cronistoria dei fatti nel 1849, all'epoca del suo esilio a
Gaeta (esilio cui è costretto perché i rivoluzionari di ogni dove sono piombati a Roma
trasformandosi in "romani purosangue" a modello del genovese Mazzini), la
continua nel 1855 (dopo la soppressione nel Regno di Sardegna degli Ordini contemplativi e
mendicanti) e la riprende nel 1861 all'indomani dell'unità.
Il Papa mette a confronto parole e fatti: da una parte le belle parole d'ordine di
liberali, repubblicani e socialisti; dall'altra le violenze e la persecuzione
anticristiana che a quelle parole fanno seguito. I massoni, ricorda il Papa, proclamano ai
quattro venti di agire nell'interesse della Chiesa e della sua libertà. Si professano
cristiani e pretendono di rifarsi alle più genuine volontà di Cristo. Le cose non stanno
invero così: "Noi desidereremmo prestar loro fede, se i dolorosissimi fatti, che
sono quotidianamente sotto gli occhi di tutti, non provassero il contrario". È in
corso una vera e propria guerra, ricorda Pio IX (ma anche Leone XIII e così pure il
vescovo di Torino, Fransoni, prima imprigionato poi esiliato): "Da una parte ci sono
alcuni che difendono i princìpi di quella che chiamano moderna civiltà; dall'altra ci
sono altri che sostengono i diritti della giustizia e della nostra santissima
religione". L'obiettivo che i massoni perseguono è "non solo la sottrazione a
questa Santa Sede e al Romano Pontefice del suo legittimo potere temporale", ma
anche, "se mai fosse possibile, la completa eliminazione del potere di salvezza della
religione cattolica" [Cfr l'allocuzione Iandudum cernimus, in "Acta Pii
IX", I, III, pp. 220-230].
Nel loro magistero i Papi fanno quanto possono per evitare che la popolazione presti
ingenuamente fede alla propaganda liberale e cada nell'inganno che le tendono nemici che
si proclamano amici.
Se le cose stanno come dicono i Pontefici, bisogna capire che cosa spinge i massoni a
professarsi cattolici quando tali non sono.
Con questa operazione che fanno condurre dall'unica Casa regnante disposta, in nome di importanti acquisti territoriali, a svendere la prestigiosa tradizione religiosa, culturale ed etica della nazione, le potenze massoniche e i massoni italiani (tutti esuli a Torino eletta "capitale morale" d'Italia, nuova Gerusalemme, a dire di Pascoli) ritengono di poter finalmente associare l'Italia al novero delle prospere potenze europee che già da tempo (con la Riforma protestante e la Rivoluzione francese) si sono liberate dal "giogo" del cattolicesimo.
Paradossalmente è proprio Galli della Loggia, intellettuale e politologo laico, a rispolverare oggi la guerra civile combattuta durante il Risorgimento. Guerra che la storiografia contemporanea, quella cattolica in testa, ha smesso di ricordare più o meno dal 1925, anno in cui Mussolini pone fuori legge la massoneria.
Per accertare se Galli della Loggia (e i Papi) abbiano o no ragione non ci resta che seguire il metodo di Pio IX: confrontare parole e fatti. Il Regno di Sardegna si autoproclama vessillo dell'onore nazionale, perché unico Stato costituzionale e parlamentare della penisola. I Savoia giustificano l'invasione e l'annessione degli altri Stati (tutti retti da sovrani assoluti) proprio con il pretesto del regime politico costituzionale. Vittorio Emanuele, dicono, non può in alcun modo rimanere insensibile alle grida di dolore che verso di lui si levano da tutte le parti dell'Italia oppressa.
La soppressione degli Ordini religiosiAlla fine di interminabili discussioni, la Camera ratifica la decisione già presa dal re di sopprimere la Compagnia di Gesù, decide di imporre il domicilio coatto ai religiosi (che non si sono macchiati di alcun tipo di reato e sono condannati per il solo "nome" di gesuiti), delibera la requisizione di tutti i beni dell'Ordine (gli splendidi collegi finiscono per trasformarsi per lo più in caserme) e accomuna alla sorte dei figli di sant'Ignazio quegli Ordini religiosi giudicati più pericolosi per la conservazione dell'ordine liberale.
Per qual ragione i deputati Sabaudi fanno tutto ciò? Per amore, ripetono in continuazione, della "vera morale" e della "pura religione". Omettono naturalmente di dichiarare che la morale e la religione cui si rifanno non sono quelle cattoliche.
Nel 1854-1855 è la volta del governo. Il Ministro Cavour-Rattazzi, il governo del connubio tra centro e sinistra costituzionale, si assume la responsabilità di un attacco in grande stile contro la Chiesa cattolica e presenta un progetto di legge per la soppressione (e relativo incameramento di beni) degli Ordini contemplativi e mendicanti [Cfr "Atti del Parlamento subalpino. Documenti", XII, pp. 1631-1640].
Il governo ritiene che monache di clausura e frati abbiano fatto il loro tempo. Pensa che siano istituzioni ottime per un periodo di violenza e di barbarie, ma nocive in un'epoca pacifica e liberale. Il ragionamento di Rattazzi è semplice: gli Ordini contemplativi e mendicanti sono inutili: se tali, sono allora nocivi (sic!). L'argomentazione di Cavour è invece più complessa, perché il conte non ritiene l'inutilità motivo sufficiente a giustificare la soppressione. Cavour si fa pertanto carico di dimostrare "matematicamente", "con fatti e con teoremi", che gli Ordini in questione sono nocivi. Nocivi a che cosa? Al progresso della moderna civiltà. Nocivi alla prosperità economica, industriale, agricola e perfino artistica del Paese. Cavour ritiene di dimostrare il proprio assunto ricorrendo a una prova inoppugnabile: la realtà dei fatti. E la realtà che costata è la seguente: sono molto più ricchi, moderni e progrediti quegli Stati in cui gli Ordini sono già aboliti da tempo. Non solo: là dove non esistono più francescani, domenicani o altri religiosi, è lo stesso attaccamento della popolazione al cristianesimo a essere più profondo. Per tutti questi ottimi motivi gli Ordini, secondo Cavour, sono nocivi. Ergo, a buon diritto vanno soppressi.
Con i discorsi di "Lord Camillo" alla Camera e al Senato [Cfr "Atti... Discussioni", XXI, pp. 2862-2871; cfr anche "Atti... Discussioni Senato", VIII, pp. 767-771] si tocca l'apice della costituzionalità del Regno sabaudo: il presidente del Consiglio di uno Stato ufficialmente cattolico, per sua stessa ammissione, ritiene migliori sotto ogni punto di vista (quello religioso compreso) gli Stati protestanti.
Un'ultima considerazione. Rattazzi, quando in qualità di Guardasigilli e ministro del culto espone alla Camera la necessità di sopprimere gli Ordini religiosi, lo fa ribadendo un'esigenza di stretta competenza del dicastero che dirige. Il ministro Guardasigilli ritiene giunto il momento di fare giustizia. Di fare giustizia all'interno della Chiesa. Di fare giustizia ai beneamati parroci che, tanto utili alla popolazione, vivono con poche lire mentre i molti religiosi che non fanno nulla vivono nel lusso: "È forse giusto, è forse consentaneo ai princìpi della religione che esista questa disparità fra i membri del clero? No certamente". Un ministro di Vittorio Emanuele si propone così di realizzare una giustizia di tipo redistributivo, sottraendo risorse finanziarie e proprietà ad alcuni per beneficiare altri. Il principio è quello che chi possiede più soldi deve dividerli con chi ne ha meno. Il principio è anche quello che chi lavora deve guadagnare per lo meno tanto quanto chi induge nell'ozio.
Nei medesimi
anni numerosi intellettuali cattolici, primo tra tutti Donoso Cortés, mettono in guardia
i liberali: con i metodi che adottano, preparano la strada al comunismo. Anche Pio IX è
al riguardo profeta inascoltato. A cose fatte, è indubitabile che tra liberismo e
comunismo c'è una continuità obiettiva. Lenin si limiterà ad applicare, su più ampia
scala, i princìpi così ben enunciati dai liberali. Questi "fanno giustizia"
solo ai parroci poveri entro la Chiesa (una giustizia che ritorna a loro vantaggio perché
si impadroniscono con pochi soldi dell'ingente patrimonio di cui la carità cristiana ha
fatto dono alla Chiesa), i comunisti "fanno giustizia" a tutti i poveri con i
beni degli stessi liberali.
Ma l'incognita tra princìpi e prassi non si limita a quanto finora rilevato. Così l'articolo 24 dello Statuto recita: "Tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla legge". Tutti, meno i religiosi. Tutti, meno quanti donano beni alla Chiesa. I loro testamenti per diventare operativi devono essere approvati dal governo che li deve purgare "dal sospetto di captazione". E ancora l'articolo 28: "La stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi". Libera: a essere libera davvero è la stampa liberale (di cui non viene punito alcun abuso); quella cattolica, invece, non è libera per niente.
Un esempio convincente? Nel 1848, di fronte alla persecuzione che si abbatte sui gesuiti, il provinciale dell'Ordine, padre Pellico, così scrive a Carlo Alberto: "Era semplicemente dichiarato da V. M. nella nuova legge sulla stampa che dovesse rimaner inviolato l'onore delle persone e dei ministri della Chiesa. Ma pare che nell'avvilire e calunniare i gesuiti non si tema di trasgredire la legge [ ] esposti per la sola qualità di gesuiti al pubblico odio o alla diffidenza e al dispregio. Intanto però i giornali e i libelli che ci fanno la guerra, approvati in ciò dalla censura, hanno diritto di rifiutare le nostre smentite; né tuttavia abbiam noi un altro organo imparziale da stamparle con uguale pubblicità, se pure non ci venga concesso di farlo per via della gazzetta del Governo" [Cfr A. MONTI, La Compagnia di Gesù nel territorio della Provincia Torinese, V, Chieri 1920, pp. 78-79].
Un altro esempio? Nel 1852 il
Guardasigilli Boncompagni fa arrestare e imprigionare a carcere duro il conte Ignazio
della Costa, consigliere di Cassazione, reo di aver pubblicato un libro dal titolo Della
giurisdizione della Chiesa cattolica sul contratto di matrimonio negli Stati cattolici. Il
conte è incriminato per offesa al re, incitamento al sovvertimento dell'ordine
costituzionale e disprezzo della legge dello Stato. Quale la colpa? Richiamare alla
coerenza e ricordare che, se si è cattolici, bisogna rispettare i decreti del Concilio di
Trento. Un particolare che sta stretto a Boncompagni, il quale, mettendo da parte i
decreti tridentini, ritiene ugualmente di essere un buon cattolico [Cfr M. D'ADDIO, Politica
e Magistratura (1848-1876), Milano 1996, pp. 31-32].
Un ultimo esempio? Cavour vieta nel cattolico Regno di Sardegna la pubblicazione delle
encicliche del Papa.
Segnaliamo infine l'articolo 29, che enuncia: "Tutte le proprietà, senza alcuna
eccezione, sono inviolabili". Tutte? Tutte, meno quelle della Chiesa.
Chiudiamo questi esempi di buon
governo liberale, ricordando come insorge in Italia l'ostilità alla scuola privata.
I liberali sono all'incirca l'uno per cento della popolazione. È evidente che, potendo
scegliere, i cattolici mandino i propri figli a scuole non liberali. A scuole dunque (dal
momento che lo Stato è in mano dei liberali) non statali. Si tratta allora di impedire ai
cattolici di scegliere, di sopprimere le corporazioni religiose dedite all'insegnamento e
di vigilare perché non se ne formino altre. Nessuna libertà di stampa, di parola, di
associazione. E nessuna libertà di insegnamento. I cattolici non sono ancora pronti e
devono essere pazientemente educati.
La libertà di insegnamento, e cioè la scuola privata, potrà essere reintrodotta solo quando gli italiani avranno imparato a preferire la scuola laica. In pratica, solo quando a nessun genitore verrà più in mente di dare ai propri figli un'istruzione incentrata sul rispetto della fede. A esplicitarlo in modo chiarissimo è uno dei membri più illustri dell'emigrazione italiana a Torino, il filosofo Bertrando Spaventa, che sul Progresso del 31 luglio 1851 scrive: "Noi certo vogliamo la libertà in tutto e per tutto, ma l'applicazione assoluta di questo principio suppone l'eguaglianza di tutte le condizioni". Conclude il filosofo: "Adunque, considerando la questione in modo assoluto, noi vogliamo la libertà d'insegnamento; ma giudichiamo che per essere attuata essa abbisogni di alcune condizioni generali, richieste dallo stesso principio d'uguaglianza e di libertà, le quali ora non si trovano nel nostro Paese". Fedeli a questa logica i governanti liberali del Regno d'Italia sopprimono tutte le corporazioni insegnanti con la conseguenza di riuscire nell'opera meritoria di dimezzare le scuole esistenti.
La prassi
politico-ideologica dei governi liberali mette in luce che i princìpi liberali valgono
solo e soltanto per coloro che sono liberali. E tutti gli altri? Tutti gli altri devono
venire progressivamente illuminati dal credo liberale che a poco a poco lieviterà le
masse cattoliche allontanandole dalla superstizione della loro religione. Per il momento
è comunque chiaro che i cattolici non devono e non possono contare assolutamente nulla.
Un breve scambio di battute tra Cavour e uno dei membri più influenti della destra, il maresciallo Ignazio della Torre, chiarisce bene questo stato di cose. Siamo nel 1855 e la Camera subalpina discute il progetto di legge governativo per la soppressione degli Ordini religiosi. Della Torre, per smentire la supposta popolarità della legge, invita a entrare in una qualsiasi delle chiese di Torino stracolme di gente e a chiedere per che cosa si stia pregando: "Tutti quelli che interrogherete vi risponderanno che si sta pregando per il progetto di legge". Questa la risposta di Cavour: "L'onorevole maresciallo ha detto che gran parte della popolazione era avversa a questa legge. Io in verità non mi sarei aspettato di vedere invocata dall'onorevole maresciallo l'opinione di persone, di masse, che non sono e non possono essere legalmente rappresentate" [Cfr "Atti... Discussioni Senato", VIII, p. 830.]
Galli della Loggia ha riportato alla luce la guerra civile combattuta in Italia durante il Risorgimento. Non ha però spiegato perché quella guerra è stata "rimossa", essendo "non detta e non dicibile". Gli esempi che abbiamo addotto hanno riempito la lacuna.
Comunque è sicuramente vero: in Italia "l'incompatibilità tra patria e religione, tra Stato e cristianesimo, è in un certo senso un elemento fondativo della nostra identità collettiva come Stato nazionale". L'aspetto singolare è semmai perché la storiografia di questo secolo abbia tardato tanto ad accorgersene.
Altra questione è la domanda: ci è convenuto?