Battistero di Parma

 

 

La Piazza del Duomo, la piazza della Cattedrale, l'altra piazza della città, il baricentro fuori delle antiche mura romane, ora distrutte dalla crescita urbana, ha una lunga storia alle spalle, ha una lunga tradizione di stratificata civiltà. Oggi l'aspetto è molto diverso da quello di un tempo e dare appena un idea dì questa storia mi sembra necessario visto che il Battistero, in questa piazza, si inserisce come elemento di rottura e nello stesso tempo di reinvenzione dell'intero insieme.

Della piazza romana, le cui mura passavano all'incirca dove la attuale via Cavour snoda in direzione del Battistero, della Parma romana e quindi tardoantica abbiamo, nel complesso del Duomo e del Battistero, dei resti non immediatamente visibili, le colonne della Cattedrale, i grandi compositi Pilastri sono costruiti con pezzi provenienti dagli edifici antichi, dagli edifici romani e il basamento del Battistero sarà fatto con litostrati romani (fig. 1), ma della Parma antica esistono resti più cospicui, che la solerzia archeologica e la passione dei cittadini potranno provvedere a moltiplicare, resti del mosaico di una basilica, o probabilmente resti di due diversi edifici, mosaici appunto conservati nella cripta della Cattedrale (fig. 2), ma trovati alcuni metri sotto il livello della piazza attuale, proprio davanti al Duomo ed alla sua facciata, spostati verso il Battistero. Ebbene, una grande basilica paleo-cristiana esisteva, appunto, fuori delle mura e dopo questa, certamente, ecco apparire il monastero dei benedettini, del quale, in San Giovanni, resta ancora un importante e non studiato altare-ara. Ecco, fra questi due poli, del monastero di San Giovanni col suo chiostro, col suo "scriptorium", con le sue proprietà agricole nel contado e della antica basilica fuori delle mura con davanti certo un quadriportico e i grandi spazi colonnati, una basilica che potrà un giorno essere scavata, quantomeno nelle parti non sepolte sotto la odierna Cattedrale, fra questi due poli si viene disegnando appunto la nuova urbanistica della città. Una città che, soprattutto nel secolo XI, mostra d crescere rapidamente e di volersi completamente ristrutturare. Non è un caso che l'edificazione della nuova Cattedrale fuori delle mura romane, naturalmente, e dei loro ampliamenti successivi dall'età teodoriciana in avanti; avvenga proprio negli anni novanta del secolo XI ed è importante ricordare come, sempre al secolo XI, vada assegnato un altro importantissimo elemento che compone il sistema della piazza, quel palazzo del Vescovo che, all'origine, doveva essere un sistema quadrato con torri angolari e di queste una (fig. 3), detta di Cadalo per via del noto Vescovo e poi antipapa scismatico, e comunque del secolo XI, resta ancora, insieme a una porta che si ancora, perfettamente conservata con litostrati romani alla base e archivolto di belle pietre squadrate romaniche, nella zona settentrionale dell'attuale palazzo del Vescovo (fig. 4).

La piazza della Cattedrale, agli inizi del secolo XII, attorno al li 1115-1120, non doveva essere simile alla attuale: il Duomo certamente era allora concluso fino alla facciata, senza aggiunte duecentesche in alto, senza portale tardoduecentesco, senza torre gotica come oggi vediamo, il Duomo doveva avere la sua fronte a doppio spiovente e di fronte a questo edificio, ma arretrato, doveva essere il chiuso palazzo del Vescovo, le torri, le mura. Ebbene in questo sistema, in questo complesso, la fabbrica della Cattedrale, i Canonici intervengono per proporre profonde e sostanziali modifiche. La Cattedrale era coperta a capriate e dovrà essere coperta in cotto, volte lanciate sulle grandi navate sostenute da quadrati costoloni, da affidare a un magister, ad un architetto che da adesso diventerà assai noto e, per Parma la figura chiave di una complessa storia: Benedetto Antelami.

E' lui probabilmente il progettista della sostanziale modifica dell'edificio. è lui che progetta e realizza, firmandolo, il pulpito da noi restituito (1974 che si aggiungeva, con un altro pulpito bronzeo coi simboli evangelici. nella zona fra presbiterio e navata della Cattedrale, al pontile scolpito da Niccolò che è stato in parte ritrovato sotto nella zona dell'altare attuale (fig. 5, 6). E sempre Benedetto ripensa lo spazio della piazza progettando due torri per la antica Cattedrale nicolesca, due torri di cui una rimane, incompleta e risistemata in epoca tardocinquecentesca, verso nord mentre l'altra, a sud, è completamente rifatta, come sappiamo, in età tardoduecentesca (fig. 7). Antelami ripensa la facciata come progetterà la facciata di Borgo San Donnino, la odierna Fidenza, e questo è un utile modello e schema di raffronto.

Ma non basta, Antelami provvede a realizzare un sistema complesso; interviene probabilmente sul vescovado perché, all'interno dell'attuale insieme che vede interventi di età gotica assai avanzata e risistemazioni di restauro che hanno notevolmente manomesso la pellicola muraria verso il Duomo rendendola illeggibile, sono stati scoperti elementi di recente che appaiono di notevole interesse. Ebbene, questi elementi sono arcate in cotto e un capitello "ad acqua" (figg. 8, 9) strettamente legato ai capitelli del Battistero rispetto ai quali appare appena ulteriore (1a cronologia del nuovo edificio è il 1234 al tempo del Vescovo Grazia) e comunque di una maestranza meno raffinata; certo il progetto, l'idea di ampliare con un aperto portico il chiuso palazzo del tempo di Cadalo, il turrito castello, come attesta anche Frà Salimbene, è segno della presenza a Parma di una diversa maestranza e di nuovi modelli di cultura.

Ma è il Battistero (fig. 11) il punto focale del nuovo racconto del rapporto fra città e spazio religioso, è il Battistero, luogo simbolico di un rapporto anche diverso fra cultura religiosa e tradizione civile che diventa, nell'ottica della committenza e nella consapevolezza della città, il punto focale di una profonda trasformazione dei modelli e delle attenzioni.

Quando viene fondato nel 1196 passa nei pressi il Canale Maggiore, che sarà certo utilizzato dai costruttori per la forza idraulica, e dunque motrice delle sue acque, e coloro che costruiscono l'insieme devono abbattere degli edifici, delle case che sono della famiglia degli Adam, del resto stanziata anche nella zona settentrionale della piazza, e che offre con grande generosità il proprio contributo per l'edificazione di un monumento che deve diventare il simbolo stesso della città. Certo, un Battistero, ma insieme una chiesa dedicata al Battista, insomma una struttura simbolica pensata con la sua pianta centrale, con la sua forma ottagona all'esterno ed esadecagona all'interno come luogo di snodo, fulcro insomma proprio del complesso rapporto fra la piazza civile, sul luogo dell'antico foro, e la piazza religiosa che viene assumendo sempre più la funzione di centro simbolico dell'intero complesso urbano.

Quando siamo con questa fondazione dell'edificio? La risposta è sicura, siamo nel 1196 come attesta sia l'iscrizione sul portale nord, quello con la Madonna, quello verso la piazza della Cattedrale, e come confermano le cr0-i'ache e Salimbene stesso. Dunque fondazioni in pietra, anche di risulta romana e in cotto, ed un progetto estremamente complesso che prevede il collegamento insieme del cotto e delle pietre, il bianco e il rosso di Verona simbolicamente segno della purezza e del martirio, una simbologia molto in uso all'interno di quella officina dei Campionesi che è attiva almeno dalla metà o poco oltre del secolo XII al Settentrione in aree contermini (Cattedrale di Modena).

Ma come è pensato, in che termini è concepito il progetto di Benedetto Antelami? Chi osserva dall'esterno il Battistero nota immediatamente una netta distribuzione degli spazi, una scansione ed un ritmo che sono assolutamente inusitati negli edifici romanici e in quelli contemporanei della cultura gotica "lombarda". Non si tratta solo della novità dell'uso del marmo, dunque dell'impiego di un materiale di estrema ricchezza e di complessa lavorazione di contro al cotto, ma si tratta proprio di cultura, di novità di modelli culturali.

Finora la critica ha spiegato le origini, i modelli culturali antelamici, dunque del progettista, con un'esperienza in un area provenzale e quindi, ed eventualmente solo in seguito, con un insieme di viaggi nell'Ile de France, in pratica nei luoghi che sono la culla della nuova cultura del "gotico". Il problema è forse risolvibile in modo meno schematico, ci troviamo di fronte ad un progettista, Antelami, architetto e scultore, che fin dalla sua prima opera nota, la Deposizione (1178), parte del pulpito smembrato e da noi ricostruito (1974), mostra precisi rapporti con la cultura dell'Ile de France, quella dopo Saint Denis, naturalmente, quella dopo la porta sud della Cattedrale di Notre Dame a Parigi.

Antelami insomma esce, come del resto conferma l'insieme del Battistero e la sua concezione "narrativa", l'insieme del progetto delle immagini e il loro significato ideologico, dall'esperienza della civiltà di Francia e della sua "Enciclopedia" come viene scolpita nella pietra nelle grandi cattedrali del regno.

Ecco quindi l'idea antelamica di un nuovo edificio, di un edificio che risponda alle richieste della committenza e che sia sintesi della cultura d'Occidente, della Francia della langue d'oc e di quella d'oil e tale idea peserà tanto da restare punto di riferimento per l'invenzione degli architetti lombardi, che infatti da adesso in poi rifletteranno molti aspetti delle scoperte antelamiche, e prosecuzione ma anche cambiamento delle idee degli architetti di Francia. Ecco quindi Antelami ripensare la struttura dei battisteri paleocristiani, ecco Antelami ripensare la struttura architettonica che anima le pareti con un sistema di nicchie continue all'interno e all'esterno, eccolo riprendere le scansioni degli edifici classici, scansioni evidentissime nei lati dove non troviamo i portali perché essi mostrano chiaramente il modulo quadrato e i rapporti plastici degli archi di trionfo, comprese le emicolonne addossate. Un'invenzione che Antelami pone a fianco della ripresa dei capitelli corinzi, merita di essere posta in evidenza, invenzione, anche se in parte ripresa dall'antico, di un capitello che è disegnato in modo particolare e che troviamo all'esterno e all'interno del Battistero a diversi livelli, il capitello "ad acqua" (fig. 13) che appunto morbidamente accompagna le curve del blocco con scansioni che alludono, ovviamente, alla funzione simbolica del Battistero. L'edificio così ripensato, con un insieme di portali profondamente strombati, alternato a grandi campi scanditi solo dai rapporti architettonici, viene progettato fin dall'inizio per quattro sovrapposte gallerie, come meglio mostrerà l'indagine "archeologica" dell'interno che segue, e queste gallerie dovevano avere una copertura che immediatamente sovrastava l'ultima, beneinteso con una cornice probabilmente a carattere antiquisant. Lo prova l'indagine della zona oltre la volta dove ho avuto modo di reperire un insieme di mensole (fig. 14), alcune delle quali di breccia di Verona, che confermano, insieme ad altri elementi, che la copertura prevista nel progetto originario, ma realizzata, come vedremo, solo nel 1270, era appunto molto più inclinata della copertura come oggi la vediamo. Fra quella data del 1270 quando, come attestano le fonti, il Battistero viene finalmente aperto di nuovo al pubblico perché completato e il principio del secolo XIV quando si cominciano ad edificare i torricelli che ancora oggi vediamo, deve porsi l'ulteriore soprelevazione dell'edificio, una soprelevazione che, comunque, non compromette l'uso della struttura al suo interno, essendo già realizzata e chiusa la cupola, e che semmai rafforza, pesando sulle reni della cupola stessa, l'insieme dell'architettura.

Ma torniamo all'esterno dell'edificio. Dunque Antelami progetta l'alternarsi dei grandi portali scolpiti, con la vibrante tensione delle colonne plasticamente staccate dallo strombo, con il girare ritmato dei "tori" e insieme la scansione pienamente neoantica delle zone, dei cinque lati appunto non istoriati, e, sopra, situa un sistema di quattro gallerie sovrapposte che sono architravate e che, ancora una volta, richiamano nella concezione generale l'impianto architettonico antico, soprattutto i modelli delle porte romane, quelle che Antelami poteva vedere a Verona, Porta Borsari, oppure ad Autun in Borgogna e in molti altri luoghi d'Occidente. Comunque sia l'invenzione architettonica compie una sintesi fra radici paleocristiane della forma del Battistero, modelli romani e idee profondamente gotiche nell'invenzione della struttura perché portali strombati e istoriati, perché scalati "tori" e scorciate colonnine, perché soprattutto un invenzione organica di racconto pensato in modo unitario e collegato dell'interno e dell'esterno non trova confronto in Italia in questo periodo e resterà isolata, salvo che per l'intervento di diretti seguaci del maestro o di artisti comunque toccati dalla cultura antelamica. Considerato dunque l'esterno proviamo adesso ad entrare nella struttura per l'ingresso principale, del resto segnato anche dall'iscrizione ben nota dell'architrave: BIS BINIS DEMPTIS IN(C)EPIT DICTUS / ANNIS DE MILLE OPUS HOC SCULTOR / DUCENTIS BENEDICTUS / e che dunque ci conferma la data di inizio dell'operare di Antelami nell'edificio, il 1196. Diverse testimonianze, non confutabili, attestano che nel 1216 il Battistero è officiato che cioè vi si somministra, in forma solenne, il Battesimo, utilizzando una grande vasca ad immersione, cioè una vasca dentro la quale si immergono i battezzandi con tutto il corpo, diversamente dall'attuale rito per aspersione. Ma ecco il punto, fino a che livello era edificato il Battistero in quel 1216 che è la data probabile della gran parte delle sculture dell'ordine inferiore e della conclusione dell'impegno dell'Antelami sul cantiere? La critica ha avanzato ipotesi diverse, ma una ha prevalso in tempi recenti su tutte, quella che Antelami fosse autore, progettista, del Battistero intero, per alcuni fino al quarto livello, cioè fino all'altezza delle gallerie aperte e architravate, per altri invece, fino a livello anche dell'ultima galleria, quella con arcate cieche che culmina l'intero edificio.

Le ricerche più recenti permettono però di stabilire, con un'indagine che è stata condotta dai ricercatori dell'Istituto di Storia dell'Arte dell'Università, che la storia dell'edificio è diversa, e può essere direttamente verificata proprio guardando la grande Cupola (fig. 15): un incredibile exploit architettonico, con il sistema di costoloni in breccia di Verona fissati, immorsati alle murature che sono incurvate al centro di ognuno dei sedici spicchi per diminuire la spinta laterale. Questa Cupola grandiosa, dunque, quando è stata architettata? Se la Cupola infatti è contemporanea alla zona inferiore dell'edificio, allora anche i tempi delle pitture possono essere arretrati, e vi sono state ipotesi che le hanno datate attorno al 1220 all'incirca, mentre per altri esse dovevano spingersi fino alla fine del secolo XIII.

Ebbene, salendo all'altezza della base della Cupola troviamo una cornice e una serie di capitelli, per la gran parte fogliati. I capitelli non appartengono tutti allo stesso tempo e lo stesso può dirsi della cornice che appare essere composta di differenti frammenti, come se esistessero sul cantiere dei pezzi già scolpiti da tempo ai quali siano stati in seguito aggiunti altri pezzi scolpiti ex novo. Se questo è vero non sarà difficile vedere a livello della cornice due tipi di sculture differenti, capitelli "antelamici" (fig. 16) ancora con le proporzioni di quelli sulle colonne al primo livello, le colonne che intervallano i grandi nicchioni del cerchio basso o all'esterno, e capitelli con foglie come slabbrate (figg. 17, 18), di costruzione totalmente distante dal mondo classico, dall'antico, dal romano che è uno dei punti di riferimento, insieme alla cultura provenzale e alla civiltà gotica dell'Ile de France, della lingua di Benedetto Antelami.

Anche fra le cornici troviamo forme diverse, e gli animali che corrono nel tralcio (fig. 19) sono simili a quelli sull'architrave del portale del 1281 della facciata della Cattedrale (fig. 20), e sono tarde pure le teste di animali di un altro frammento mentre è antelamico il girale scolpito raffinatamente a trapano e di pieno sapore antiquisant, cioè di evidente ripresa dall'antico. Ecco, lo stile diverso di queste parti conferma che, all'altezza della cornice, i lavori in età antelamica non erano conclusi ma furono ripresi più tardi. Altre conferme vengono dalle tracce dell'antico tetto ritrovato subito sopra le "reni" della gran volta a costoloni e dall'analisi dei mattoni lungo tutta l'altezza del Battistero e delle loro dimensioni e caratteri, un criterio che gli archeologi normalmente impiegano per stabilire le diverse campagne costruttive e la loro successione. Intendo dire che, se si interrompe il lavoro della fornace che produce i mattoni e lo si riprende dopo un certo tempo, le misure dei mattoni, lo spessore della calcina, i loro caratteri finiscono per cambiare. Ebbene, salendo la scala in cotto che dal livello terreno va fino all'altezza dei sottotetti, e poi più sopra fino ai torricelli, scopriamo che, mentre il cotto appare uniforme fino all'altezza della grande cupola, si ha poi, e per tutta l'altezza di questa, un cambiamento di misure molto evidente, nell'ordine medio di qualche centimetro. Vi è stata dunque interruzione dei lavori, ecco qui dunque una nuova conferma che il Battistero di Parma, quello che Antelami aveva lasciato non finito, toccava comunque l'altezza di circa quattordici metri, fino al primo piano della galleria esterna e al secondo compreso delle interne, e aveva, dunque, un tetto provvisorio, all'interno, un tetto piano segnato dalle buche pontaie sotto la cornice di base della Cupola.

Altre conferme vengono dal maggior testimone contemporaneo alla seconda parte della storia dell'edificio, cioè Frà Salimbene de Adam che, nella sua Cronica, ricorda come solo dopo il 1259, alla morte cioè di Ezzelino da Romano Signore di Verona, si ebbe la possibilità di ottenere di nuovo i "marmi" (ma sono brecce) appunto da Verona, che erano indispensabili alla prosecuzione dei lavori. Perché fossero indispensabili lo si intende bene vista la funzione di "catene" che i marmi stessi esercitano all'esterno nei loggiati e vista l'esigenza di avere dei pezzi perfettamente regolari per costruire la splendida copertura archiacuta che ancora oggi vediamo. Ebbene, Salimbene fa capire le ragioni "politiche" della mancata fornitura delle pietre: Parma in questo giro di anni, dopo aver sconfitto Federico 11(1248) conquistando la sua città Vittoria, la città, il campo armato, fissato nei pressi del Taro, e dopo aver portato in Battistero il Carroccio dei cremonesi, cioè il simbolo del loro Comune, Parma è il fulcro della politica guelfa, della politica religiosa della Chiesa di Roma al Settentrione e perno di una serie di collegate alleanze. Ecco perché Ezzelino, sostenitore acerrimo dell'Impero, non poteva dare, proprio a Parma e proprio per quel Battistero che custodiva il segno della sconfitta del partito imperiale, i preziosi marmi per il suo completamento. Morto Ezzelino le cose cambiano e il rifornimento dei pezzi si intensifica. Se erano stati necessari circa venti anni, dal 1196 al 1216, per arrivare ai quattordici metri dell'altezza della prima fase costruttiva, ce ne vorranno meno, vista la mancanza di sculture salvo i capitelli delle tre logge architravate superiori esterne, per giungere fino all'altezza della prima copertura, al tetto che risponde all'originario progetto antelamico subito sopra la quarta galleria. Lo realizza una maestranza, i Campionesi, che è esperta di completamenti e trasformazioni di fabbriche antecedenti. I Campionesi operano qui a Parma, nella Cattedrale e in epoca vuoi contemporanea (come si è già visto) che ulteriore a quella dei lavori in Battistero: si osservi la parte alta della facciata del Duomo, la Cupola e la zona absidale dove tutti possono ben vedere le caratteristiche colonne in bianco e rosso veronese e le intrecciate gallerie di arcate che corrispondono col tempo della ultima galleria del Battistero e dunque al tardo XIII secolo.

Dunque occorsero pochi anni per fare questo lavoro, ma certo non meno di sei o sette, tanti da giungere a ridosso dell'apertura con consacrazione davanti ai Vescovi dell'intera Emilia, consacrazione che è documentata al 1270. E quindi fra queste due date, il 1260 circa e il 1270, che potrà porsi l'impresa della pittura della cupola, un'impresa che comincia certamente tardi nel corso del decennio: grosso modo, visti i tempi di esecuzione delle architetture e la rapidità di esecuzione delle pitture, fra il 1268 e il 1269, deve cioè essere durata non più di un paio di stagioni, e forse una soltanto.

Dopo questa lunga analisi dei problemi storici e cronologici del Battistero converrà considerare l'insieme della concezione della struttura all'interno e all'esterno non tanto come oggi la vediamo ma come doveva averla lasciata Benedetto Antelami quando, certamente attorno al 1216 o poco oltre, non fu più presente sul cantiere. Morto, migrato, non sappiamo, comunque sia è certo che un distacco netto si coglie fra l'insieme delle sculture nella zona inferiore e quelle della zona sovrastante, o di una parte di esse, come abbiamo indicato, e soprattutto fra i capitelli della zona inferiore e molti capitelli che reggono i costoloni della cupola e adesso dobbiamo cercare di capire quale sia il progetto di "racconto", i temi dell'iconografia voluti dall'Antelami e dalla committenza. Anche questa è una strada, come quella dei nuovi materiali e delle nuove tecnologie applicate alla costruzione, per comprendere la novità dell'opera di Benedetto.

Dunque l'iconografia collega strettamente interno e esterno in un sistema che possiamo agevolmente ricostruire. Il portale settentrionale (fig. 21), quello della Madonna con la Adorazione dei Magi a con L'Annuncio a Giuseppe e gli stipiti con le genealogie di Giacobbe e della Vergine e con l'architrave che presenta il Battesimo del Cristo introduce subito al ciclo, sviluppato all'interno ed all'esterno, dove il Battista come Precursore (figg. 22, 23) introduce alle storie del Cristo. Cerchiamo dunque di comprendere meglio l'insieme. Antelami deve avere certamente ricevuta una committenza molto precisa, una committenza che intende stabilire il parallelismo tra Antico e Nuovo Testamento e, infatti, alcuni elementi chiave servono a comporre il nuovo racconto. Una lunetta, all'interno, quella con David che suona l'arpicordo (fig. 24) è importantissima, David è appunto il Precursore e del resto, all'interno, nei pressi dell'altare, troviamo un capitello con Daniele nella fossa dei leoni (fig. 25), esso pure ovviamente simbolico del Cristo e del suo martirio. Ma a questo punto, entrando nel Battistero, conviene considerare la novità delle funzioni della struttura che fin dall'origine è officiata, viene infatti dotata di un altare cubico ('a mensa è di restauro), un altare-ara (fig. 26) che, secondo la simbologia, evoca i modelli di età paleocristiana e una parte di quelli di età romanica e che nella fronte unisce insieme il Battista, il Sacerdote e il Levita, secondo uno schema narrativo prefigurato nell'architrave di ingresso. Continuando l'analisi delle lunette secondo un ordine narrativo legato alla Vita del Cristo troviamo, dopo quella bellissima e dove vediamo certo la mano di Benedetto, quella con la Fuga in Egitto, subito di riscontro a quella esterna della Madonna, dove, al di là della stratificazione dei colori postantelamica, la volumetria e i rapporti plastici riconducono certamente al grande scultore. Di fronte sta la lunetta con la Presentazione al tempio (fig. 28) dove troviamo almeno due mani in grande evidenza e, nel gruppo centrale ed a destra, prevalente quella di Benedetto. Anzi possiamo dire che proprio questa lunetta è stilisticamente la più vicina alla Deposizione del 1178 e quindi potrebbe essere, cronologicamente, da porre fra i primi pezzi scolpiti dall'Antelami per il nuovo edificio.

Ma torniamo all'esterno: restano due lunette da analizzare, quella con la Resurrezione e il Giudizio Finale (fig. 29) sul lato ovest e quella verso sud, con la simbologia inusitata e francesisant dove è rappresentata la leggenda di Baalam e Josaphat (fig. 30). I problemi per queste due lunette appaiono assai diversi. La prima delle due, quella con il Giudizio, oggi purtroppo assai abrasa, specie nell'architrave e negli stipiti, e quindi in queste parti meno leggibile, mostra una evidente continuità con la lunetta della Madonna verso la piazza della Cattedrale, l'altra lunetta invece appare inserita in un portale sostanzialmente diverso dagli altri, con tracce di due stadi di lavorazione dell'insieme, un portale più semplificato e che, anche per altre attestazioni e notizie, appare essere stato lavorato in una fase ulteriore. Dunque nel caso di questo portale dobbiamo distinguere fra la lunetta, di una eccezionale libertà e ricchezza di invenzione e l'insieme della strombatura che appare diversa da quelle degli altri due portali esterni.

Ecco dunque, in breve, un'analisi delle sculture e del loro racconto, che nel suo insieme presenta la narrazione della Vita di Cristo posta in parallelo con la serie delle prefigurazioni nel Vecchio Testamento e con quella del Battista. Dunque finora nulla di iconograficamente non prevedibile all'interno di un battistero. Ma le sculture non sono solo queste che abbiamo analizzato, ma molte altre e, prima di discutere il senso generale della progettazione iconografica di Benedetto Antelami dobbiamo cercare di comprendere se le altre sculture presenti nel complesso appartengono al medesimo progetto oppure ad un altro insieme.

In questa direzione il recente restauro ha permesso di confermare largamente una serie di ipotesi a suo tempo da noi avanzate (1969) e di compiere anche qualche precisazione cronologica appunto e proprio in relazione alla storia dell'insieme dell'edificio. Intendo dire che la vicenda della sistemazione delle sculture all'interno del Battistero serve a confermare anche la successione delle fasi della costruzione dell'edificio come è stata delineata nelle pagine che precedono.

Proviamo dunque a considerare le sculture finora prese in esame e che certamente non appaiono collegate in modo immediato e inscindibile al resto dell'insieme. Si tratta della serie di Angeli murati al centro delle lunette o, per meglio dire, dei catini absidali che sovrastano le nicchie, si tratta della grande lunetta col Pantocrate al centro e i simboli evangelici (fig. 31) e, ai due estremi della composizione, un angelo per parte, si tratta, al livello superiore, di alcuni Simboli dello Zodiaco (figg. 32, 33) e altri gruppi scolpiti, uno con una coppia di giovani (i Gemelli) un altro con la scena Lavori del mese di Gennaio e l'Acquario (figg. 34, 35), tutti di formato ridotto e murati all'interno dello spazio compreso fra la zona sovrastante le nicchie e la base della prima galleria interna.

Un'analisi ravvicinata delle sculture di questo secondo gruppo le ha fatte, da tempo ormai, collegare alle immagini dei Mesi che, collocate quantomeno in epoca ottocentesca ma certamente in precedenza, (il quando è appunto da stabilire) al livello della prima galleria, sono state portate a terra da Armando Quintavalle e attribuite (Antelami Sculptor, Milano 1947) a Benedetto Antelami stesso. La vicenda di queste sculture, i Mesi, appunto, e i corrispondenti segni dello Zodiaco, appare collegata a quella della coppia delle statue con le Stagioni, una la Primavera-Estate (fig. 36), l'altra l'Autunno-Inverno (fig. 37). La prima che recava un tempo in mano forse un contenitore per profumi, gli odori della primavera, appunto, e l'altra che mostra di reggere per la correggia il manto che sta per cadere ai colori dell'estate; il secondo con dietro un ramo, fogliato da una parte e privo di foglie dall'altra, che simboleggiano rispettivamente, la stagione autunnale e i rigori dell'inverno. A conferma di quanto detto vi sono anche ragioni archeologiche: in sezione i pezzi con i Mesi all'origine si presentavano collegati allo Zodiaco come una specie di "C", una lastra cioè con base e bordo superiore sporgenti fino al limite dello spessore della figura fortemente plastica mentre in genere in basso o sopra e più di rado a lato si collocava il segno zodiacale corrispondente. Una tale costruzione la ritroviamo nelle serie derivate da questi Mesi, a Cremona (Duomo) ed a Ferrara (Duomo) ed altrove in complessi diversi ma sempre unitari, derivati da questo originario "modello" antelamico. Ecco perché è altamente probabile che alla origine i Mesi e le Stagioni fossero parte di un insieme, un portale, come altrove nei derivati, portale forse mai messo in opera e che, in seguito, è stato collocato nel Battistero.

Una conferma a questa ipotesi è presto trovata; tutti i pezzi con segni zodiacali fissati nella fascia sotto la prima galleria sono in rottura di muro, sono fissati cioè tagliando i mattoni antichi, della prima campagna cioè entro il 1216, quindi anche questo favorisce l'ipotesi di una sistemazione nettamente ulteriore a questa data, e di pezzi plastici sparsi e destinati ad altro insieme e non previsti all'origine nel complesso del Battistero. Inaccettabile appare quindi l'antica ipotesi, ripresa dal De Francovich (1952) della collocazione dei Mesi come pezzi erratici posti fin dall'origine nella prima galleria del Battistero, Mesi che lo studioso ritiene per giunta di mediocre qualità.

Non resta dunque che ribadire la tesi, archeologicamente suffragabile, dell'esistenza a Parma (e prima che altrove) di una originaria Porta dei Mesi come a Ferrara, per esempio, già sul lato sud del Duomo, opera di un grande maestro seguace dell'Antelami, porta che a Parma doveva comprendere forse altri pezzi oltre a quelli dei Mesi e delle Stagioni. Quali? Se consideriamo da vicino, nella fase antecedente le ritessiture del restauro, i pezzi con gli Angeli e con le due figure dell'Annunciante (fig. 38) e dell'Annunciata (fig. 39), queste ultime un po' casualmente collocate l'una di fronte all'altra in due lunette, e se riflettiamo sugli angeli che recano un cartiglio, palme o gigli e gli altri che uccidono il drago (figg. 40, 41), il demone, scopriamo prima di tutto che queste sculture sono inserite in rottura della muratura originaria di età antelamica, e lo è anche l'angelo inserito fra due alberelli nella sola lunetta completata, o almeno pervenutaci, fra quelle della prima versione proposta dai maestri pittori prima dell'affidamento dell'insieme al gruppo di quelli legati a modelli bizantini; in secondo luogo scopriamo che la pittura del gruppo degli artefici degli anni fra 1268 e 1270, dei pittori cioè che vengono chiamati dopo la costruzione della cupola per riprogrammare l'immagine dell'intero Battistero, quella pittura a tempera si sovrappone alle pietre su cui sono scolpiti gli angeli stessi. Abbiamo quindi due significative indicazioni da questi fatti: la prima che edificate le strutture all'interno e decorate le lunette, vi fu un intervento ulteriore con l'inserimento di pezzi diversi, la serie degli Angeli e dell'Annunciante e Annunciata in primo luogo, quindi i frammenti con i segni Zodiacali provenienti dai complesso dei Mesi. Penso che la cronologia dell'inserimento degli Angeli e dell'Annunciata sia immediatamente antecedente il 1268-1270, data probabile dell'intervento del gruppo di artefici dipendenti da modelli bizantini, e penso anche che la lunetta col Pantocratore e Simboli Evangelici sia, prima di tutto, come pare ovvio, di una mano non coincidente con quella antelamica e dunque di un altro maestro riconoscibile anche altrove (si confronti il Pantocratore con il Re David di fronte), quindi che essa sia, per lo sporgere delle lastre, per la presenza di "tappi" lapidei secondo una metodologia diversa da quella utilizzata da Benedetto nelle altre lunette, pure aggiunta. La differenza di mano fra gli angeli ai lati, certo antelamici e il Pantocratore e i segni evangelici sembrerebbe confermare questo fatto, trattasi cioè di un insieme proveniente da altro complesso. Il portale dei Mesi sul lato sud? Non sappiamo, certo il ripetersi del Giudizio Finale che troviamo all'esterno in un contesto che narra, nelle altre lunette, la Vita del Cristo, appare quantomeno strano. Comunque sia un derivato dal portale dei Mesi con Angeli nelle voussures è a Trogir in Jugoslavia, e conferma che questo portale dei Mesi antelamico o un suo equivalente dovette per un certo periodo esistere. Del resto nessuna meraviglia che riflessi della cultura antelamica si ritrovino nei domini della Serenissima viste le connessioni con la cultura dell'Antelami stesso e con quella dell'Ile de France di una serie di maestri attivi anche al San Marco oltreché in Dalmazia.

Conviene ricordare anche come sia lo Zoofrro all'esterno, che non appare chiudere nel suo cerchio tutto l'edificio ma lascia vuoto un suo lato, sia che le sculture dei due Profeti (fig. 42), dei due Angeli e del Salomone e della Regina di Saba potrebbero essere stati all'origine parte di questo complesso portale probabilmente pensato o per la facciata della Cattedrale o per il suo lato meridionale come, vista la simbologia dei Mesi, appare pure probabile.

Ma cerchiamo adesso di ricapitolare le vicende del complesso del Battistero dopo questa storia forse un po' analitica ma comunque necessaria ad una comprensione dei valori dell'insieme. Antelami progetta una rispondenza perfetta tra interno ed esterno, costruisce la storia per immagini dei precursori del Cristo e della Infanzia e del Martirio del Cristo stesso e porta avanti la costruzione fino al livello della seconda galleria, come si è detto. L'insieme è alto la metà all'incirca dell'edificio attuale ed è lasciato in sospeso per ragioni forse diverse dall'impossibilità di far giungere materiali lapidei da Verona, probabilmente si interrompe la campagna di costruzione in attesa di una stabile guida progettuale. Infatti Antelami che opera al cantiere della Cattedrale e che aveva operato anche a Borgo San Donnino, al Duomo di Fidenza, ed anche altrove, come provano sculture sue diverse, come la Madonna del Palazzo Rosa Prati in via Petrarca o l'altra, essa pure antelamica, conservata a Fontevivo e ora restaurata, Antelami si sposta da Parma oppure muore visto che un complesso come il portale dei Mesi per il Duomo resta incompiuto o, quantomeno, visto che forse proprio la lunetta in Battistero col Cristo fra simboli evangelici, scena chiave del racconto è scolpita da altri e non da lui; se anche si volesse sostenere che il Cristo del Giudizio Finale sull'altare è stato concepito per la collocazione dove oggi lo vediamo, questo Cristo ugualmente è la prova che, a un certo punto, Benedetto non opera più al Battistero. Suo invece, si deve dirlo, il bellissimo fonte battesimale (fig. 43) retto da leone con girale all'antica ma un antico ripensato alla luce della sensibilità gotica di Francia che illustra il bordo esterno della vasca.

A quel punto, e dopo che il Battistero è funzionante e officiato, sia pure con tetto provvisorio, come provano le buche pontaie al livello della cornice alta, soprattutto quando scompare Ezzelino da Romano si possono riprendere i lavori, si sfruttano i pezzi già scolpiti, fra cui alcuni capitelli della zona alta, e si reimpiegano sculture rimaste incompiute o non montate in Cattedrale e questo spiega l'insenmento in rottura delle sculture dentro le nicchie ed anche il sovrapporsi della pittura e del sottile intonaco della fine degli anni Sessanta, dunque del tempo dei così detti pittori "bizantini".

Certo gli architetti che riprendono in mano l'edificio sono grandi progettisti, appartengono di fatto alla stessa tradizione antelamica, sono i Campionesi, che del resto vediamo questo periodo attivi anche in Cattedrale, nelle zone alte della facciata, nelle zone del tiburio della cupola, e persino nel porttale maggiore che viene rifatto poco dopo (1281). La realizzazione della Cupola appare di eccezionale tensione e di una tecnologia tanto esperta quanto raffinata. E la Cupola sovrasta ormai un altro vescovado, un vescovado che aveva proceduto nel tempo, che era stato architettato quasi in parallelo al Battistero. Dunque di fianco al nuovo Battistero alto quattro piani sopra i portali scavati nello spessore degli strombi, e dipinti di colori vivacissimi nei secoli più e più volte ripresi e ormai di fatto perenti salvo pochi lacerti, di fianco stava il nuovo vescovado, un palazzo aperto di porticati e di molta maggior mole che trasformava comunque l'immagine antica del castello fortificato che era appunto del tempo di Cadalo e dunque del secolo XI.

Ecco dunque venuto il momento di comprendere che cosa vuol dire la nuova Cupola, con la sua iconografia, con l'invenzione di un racconto globale che in qualche maniera integra ma anche ribalta quello della parte scolpita sottostante, delle opere insomma di Benedetto e dei suoi aiutanti.

La Cupola è stata dipinta molto in fretta: se si osserva, a livello del ponteggio, la terminazione dei dipinti delle lunette archiacute alla base (figg. 44,45), si scopre che l'intonaco non finisce in modo regolare è sfumato e non copre tutti i conci perché non poteva essere veduto dal basso: e lo stesso intonaco viene appena steso a volte molto grossolanamente sotto i salienti verticali, le colonne addossate fra zona inferiore e cerchio superiore dei capitelli. Anche la tecnica delle pitture è delle più rapide, anzi la più rapida possibile, e la meno costosa, si deve aggiungere. Infatti il gruppo dei pittori, si distinguono diverse mani, non usa il costosissimo mosaico, per giunta di lenta messa in opera, e neppure l'affresco, che è la tecnica più diffusa in Occidente e specialmente nel nostro Settentrione e nella vicina Francia per illustrare gli edifici, ma utilizza uno strato di intonaco direttamente aderente al paramento murario su cui posa una pellicola a tempera, sottilissima, e quindi assai fragile, ma di grande rapidità di stesura e di enorme freschezza di modellato. La stesura rapida la si osserva bene considerando anche come viene posto il colore sulla parete: le zone sono bene individuate all'interno di uno schema generale, poi si aggiungono i rialzi del bianco per i panneggi e si rinforzano qua e là col nero o 10 scuro i contorni. Ne viene fuori un insieme di grande efficacia, di forte impatto e che non poteva non essere eseguito senza avere a disposizione dei veri e propri sistemi di modelli. Libri, codici o rotoli di pergamena con disegni, ecc., i modelli, in pratica degli inventari ditemi e di soluzioni narrative, che ogni officina di artefici bizantini aveva a disposizione (Grabar, Lazarev, Demus) e che servivano per essere sottoposti all'attenzione della committenza onde potesse scegliere. Ebbene, che cosa sceglie la committenza e che cosa narra questa Cupola, beneinteso da leggere insieme al resto della decorazione interna. In basso le pitture tre e quattrocentesche hanno per la gran parte distrutta l'originaria decorazione che è rimasta integra solo nella gran nicchia dietro l'altare con la scena del Battesimo del Cristo e in quasi tutti i catini absidali. Ma il progetto di "racconto" dei pittori si scontra, in qualche modo, con la novità gotica delle architetture. I pittori "bizantini" infatti avevano normalmente a disposizione, nelle chiese legate alla civiltà dell'Impero di Oriente, larghe superfici intonacate, pareti, volte e, naturalmente, cupole. L'Antelami invece, perché comunque a lui spetta l'intero progetto dell'opera, aveva previsto, certo, la pittura nelle nicchie inferiori, ma è logico credere che non avesse pensato affatto di istoriare pesantemente la volta costolonata: probabilmente il progetto della sua officina prevedeva molti ornati a finto marmo in basso e un cielo stellato. Non sappiamo quanto vaste fossero, in basso, al tempo dell'Antelami le zone dipinte, adesso invece risulta comunque prevalente la grande impostazione narrativa dei pittori legati alla cultura di Bisanzio. L'insieme della Cupola viene concepito come un sistema dove Abramo, segno del Cristo (figg. 46, 47, 48), mustra, con le sue storie, la zona delle lunette archiacute: più sopra vengono le storie del Battista (figg. 49, 50), e, oltre ancora, abbiamo il Cristo, la Madonna e il Battista (figg. 51, 52, 53), circondati dai Profeti (fig. 54) e siti non a caso in asse sull'altare maggiore. Più sopra ancora deve esservi stato un ripensamento nell'officina dei pittori, infatti al confine fra la zona dei Profeti e quella sovrastante degli Apostoli (figg. 55 e 56) vediamo qua e là emergere uno schematico fregio dipinto a pennello direttamente sull'intonaco bianco, un fregio coperto poi in gran parte dai colorati margini degli Apostoli stessi.

Forse l'idea primitiva era quella di un più grande cielo poi ridotto in relazione a nuove richieste della committenza? Difficile dirlo oggi, comunque anche questa è una prova al vivo e si potrà controllarla facilmente, di un adeguarsi del cantiere a esigenze diverse. Nella primitiva progettazione dell'insieme la parte figurata doveva concludersi qui come prova una visibile sovrapposizione di intonaci e il resto di una semplice decorazione, ma in seguito, a brevissima distanza di tempo, si decide di ridurre la dimensione del libero cielo e di aggiungere un altro insieme di figure. E appunto il cerchio degli Apostoli e dei quattro Simboli evangelici (fig. 57), tutti, non usualmente dipinti più in alto del Cristo, della Madonna e del Battista. Oltre agli Apostoli, come si è detto ridotti di dimensione, al centro ecco il nodo della costruzione costolonata, la pietra anulare con l'immorsatura dei costoloni (e ancora sono visibili i segni delle corde per la campana mediana della antica distrutta edicola che culminava la struttura) e dentro il rosone dorato. Attorno al fiore di pietra, dipinte entro losanghe, le stelle dorate sono il segno per interpretare correttamente il sistema: ecco, questo è il cielo mistico di una paradisiaca visione. La introducono in basso alcune figure, un San Francesco che contempla il Serafino e il Tetramorfo (fig. 58) e Agostino che, con la Città di Dio e altre sue opere, offre lo spunto, la chiave interpretativa principale dell'intera impresa. Insomma il senso è questo: Agostino (fig. 59), Gerolamo, i Padri della Chiesa illustrano il trionfo del Signore come è stato previsto dai Profeti e testimoniato dagli Apostoli. La Cupola dunque intende rappresentare la fine dei tempi. Veniamo ai pittori di questo enorme complesso (500 mq) un unicum al nostro Settentrione: la Cupola infatti si imparenta in modo diretto solo con un ciclo dipinto ad Aime (Savoia) come suggerito dal Ragghianti e con null'altro in Italia, eppure e un'opera complessa che unisce insieme elementi di Bisanzio e della sua civiltà ed elementi diversi, occidentali: sigle gotiche francesizzanti sono nelle cornici divisorie e negli entrelac presso le finestre mentre particolari con dettagli architettonici occidentali, come le bifore, stanno in diverse altre scene, ma l'insieme muove da altri modelli non certo locali. Nella Cupola si confrontano due stili, quello del maestro maggiore, l'autore della grandiosa Madonna e del sovrastante Matteo sotto forma di Angelo e anche del Battesimo in basso dietro l'altare (fig. 60), un maestro del quale non è difficile scoprire la mano in altri "campi", che sono sempre quelli chiave del racconto, un maestro di formazione "aulica" bizantina, assai prossimo alle pitture di Milesevo in Serbia (e. 1255). Un altro maestro, più rapido, abbreviato, spezzato nei panneggi, che pure prende spunti dal ciclo serbo o da un "modello" disegnato, non è invece bizantino e di lui è anche noto il nome, è il pittore, che si firma Grixopolus Parmensis e che dipinge al Palazzo della Ragione di Mantova un altro Paradiso, come mostrano le recenti ricerche di Arturo Calzona cui si deve il collegamento fra i cicli di Mantova e Parma.

Il rapporto con la cultura di Milesèvo del maggior maestro e di questo suo aiuto possono far comprendere la complessità delle tramitazioni, dei viaggi e dei rapporti fra Oriente e Occidente in questi anni e spiegano il funzionamento interno dell'officina di pittori: un maestro bizantino viene incaricato, sulla base di un progetto certamente prima disegnato e poi approvato dal Capitolo della Cattedrale, di realizzare l'impresa e con molta rapidità. Egli dunque arruola diversi aiuti, soprattutto locali, e questo spiega le assonanze, gli echi di questa arte al Settentrione e insieme il suo isolamento, ma mostra anche la forza degli schemi e dei modelli che il maestro, proveniente da Milésevo o comunque che quella cultura portava con sé. Prima di conoscerlo, al Palazzo della Ragione a Mantova, probabilmente alla fine degli anni Cinquanta, Grixopolus infatti dipinge in modo sempre bizantineggiante, ma assai meno efficace, rapido, teso, è come più disteso, classicamente ritmato, non così a Parma.

Comunque sia, la Cupola viene dipinta in un tempo brevissimo, le "giornate", cioè gli spazi dipinti nel giro di un giorno soltanto, sono molto grandi, secondo una tecnica consueta nelle zone "marginali" rispetto al centro di Bisanzio. Ma resta da capire come mai una cupola bizantina con un grande trionfo, con la Deesis al suo culmine e il cielo della fine dei tempi, sia stata pensata per il Battistero di Parma.

Gli anni fra il '40 e il '70 del Duecento sono difficili nella politica della Chiesa che deve lottare con l'Impero e insieme cercare alleati in Occidente, che promuove crociate contro le crescenti conquiste islamiche in Terrasanta e, insieme, vede dissolversi il così detto Impero Latino d'Oriente che, nel 1261, con Baldovino II sconfitto, detronizzato, finisce, mentre torna al potere Michele VIII Paleologo.

Fin dal 1249 Papa Innocenzo IV aveva inviato frà Giovanni da Parma, Generale dei Francescani, in missione presso l'Imperatore per cercare un accordo fra la Chiesa di Oriente e quella di Occidente e sanare la lunga separazione fra cristiani, e questa politica, attraverso il regno di diversi Papi, prosegue con varia fortuna, ma resta comunque punto di riferimento nei rapporti con l'Oriente. Il termine della lotta contro Manfredi, sconfitto a Benevento, vuol dire la fine, per la Chiesa di Roma, del pericolo di un Imperatore germanico ai propri confini e permette una differente politica nei confronti dell'Oriente.

In questo quadro politico è possibile capire il senso di questo sistema dipinto di eccezionale impegno e capire perché lo si realizzi proprio a Parma, la città fedele alla Chiesa di Roma, la città dove era nato quel frà Giovanni, francescano come Salimbene e suo amico, che aveva tanto puntato sull'unione delle chiese di Roma e di Costantinopoli. Chiamare degli artisti bizantini, o meglio, uno o forse due artisti bizantini della diaspora, certo educati in cantieri di grande importanza, raffinati, abili, disponibili ai desiderata della committenza, e chiamarli a Parma, acquista un significato politico preciso. La Chiesa di Roma domanda loro di narrare le storie con una lingua che sia, insieme, orientale ma anche occidentale, che le storie siano illustrate da scritte latine, come è ovvio, di iconografia ben leggibile e con dettagli che appartengono al mondo occidentale, o comunque anche se non previste, queste concessioni sono evidenti e forse dipendono dalla cultura degli "aiuti" che il capobottega dovette chiamare presso di sé.

La storia di un monumento come il Battistero di Parma è stratificata e complessa, eppure merita riflettere sui due strati principali della sua costruzione di "racconto", sulle due culture, se posso così dire, che si confrontano soprattutto al suo interno. Da una parte l'invenzione antelamica prevede il parallelo racconto del Vecchio e del Nuovo Testamento secondo i modelli della "Enciclopedia" medievale, un sistema, un modello, che torna anche nella porta dei Mesi che abbiamo ipoteticamente costruita. E la cultura dell'Ile de France a prevalere, è la cultura dell'Università di Parigi, è la civiltà d'Occidente, di un Occidente guidato come del resto accade per la Crociata, dalla corona di Francia. Eppure questa immagine dell'edificio, isolato veramente al Settentrione, diversissimo anche dal Battistero cremonese cui pure lo collegano tanti elementi, viene profondamente modificata dai Campionesi incaricati della prosecuzione dei lavori e dell'innalzamento delle strutture secondo certo il progetto originario. Sono, i Campionesi, incaricati di lavorare rapidamente, certo con denari che vengono in parte proprio dalla grande vittoria contro Federico II e dal prevalere di Parma su tutti i comuni che hanno prese le parti dell'Impero. Insomma la costruzione dell'insieme e la chiamata di nuove maestranze a dipingerlo, dopo una fase di incertezze testimoniata da alcuni frammenti di affresco nella zona inferiore e altri particolari che non converrà qui analizzare, permette di valutare meglio il cambiamento di modelli, di cultura, di narrazione. Intanto sarà proprio la perdita di interesse per un portale simbolico del lavoro e del tempo come quello antelamico dei Mesi a dover essere posta in grande evidenza. Ci troviamo insomma di fronte a una realtà narrativa diversa e nuova, a un progetto, si è detto, che insieme rappresenta la storia del Cristo ma anche quella del Battista e, da ultimo, in visione apocalittica, la fine dei tempi. Ma soprattutto il progetto dei pittori "bizantini" dei loro sodali nostrani è quello di unire le lingue, di proporre una cultura d'immagine differente, insieme evocatrice dell'antico come si coglie da molti particolari delle pitture e dai loro rapporti con la tradizione aulica della civiltà di Bisanzio, e del mondo gotico d'Occidente che emerge da infiniti dettagli, dai tralci a particolari nella resa delle architetture. Insomma se è vero che il Battistero illustra da una parte la terra e la fine di un mondo e dall'altra il cielo, è vero pure che questo cielo è quello apocalittico, il cielo della fine dei tempi.

Ma la storia del Battistero non si conclude col 1270; come abbiamo già detto abbiamo un insieme di interventi ulteriori, a livello architettonico, eminente quello della costruzione dell'ultima galleria, quella cieca con le emicolonnine fuori asse rispetto alle sottostanti, ma importanti anche gli interventi pittorici all'interno e che praticamente datano da una generazione dopo il tempo "bizantino" in poi.

Appare certo che i pittori bizantini hanno dipinto l'insieme delle nicchie e non solo quella conservata con il Battesimo sita dietro l'altare; è così evidente che coloro che cominciano a pagare per avere sulle pareti del Battistero affreschi, non più pitture a tempera come al tempo della maestranza del 1268-1270, contribuiscono anche a distruggere la concezione unitaria dell'insieme. Certo, era un sistema contraddittorio visto che a fianco delle sculture dell'Annunciante e della Annunciata di età antelamica i pittori bizantini dipingono analoghe scene e dunque raddoppiano i soggetti, come ancora ed evidentemente troviamo duplicazioni m altri casi, ma quello che non era sentito più come attuale era, credo, non tanto il complesso rapporto fra strato antelamico e bizantino ma piuttosto la lingua di Bisanzio. Prima la cultura postgiottesca poi il realismo mediopadano della pittura, quindi la narrazione lombarda e anche emiliana quattrocentesca istoriano le pareti con pezzi di qualità più o meno alta ma, comunque, tutte culturalmente distanti dagli antichi insiemi scolpiti e dipinti.

Certo, come ho scritto nel precedente libretto (1987), si tratta di un complesso ritorno, questo, all'Occidente, ma si tratta anche della fine di un grande sogno di unità fra la civiltà d'Occidente e quella d'Oriente e, insieme, anche della fine di una visione in prospettiva unitaria dell'immagine. Voglio dire che se Antelami propone la grande "Enciclopedia" della Parigi medievale e la sua immagine, se, nel 1268-1270, i pittori che riprendono da libri di disegni di Bisanzio cercano di collegare insieme quell'iconografia con le esigenze della committenza occidentale nel nome di un sogno unitario fra le due chiese che non hanno ancora trovato realizzazione, dopo quel tempo, in Battistero, il grande regionalismo dell'Occidente e in particolare dell'area germanica della penisola italiana si rende evidente e tutto si trasforma in piccole, anche interessantissime storie. In cima al Battistero una galleria nuova e dei torricelli rendono il sistema simmetrico ad analoghi interventi sulla Cattedrale, all'interno i singoli committenti spezzano, con storie di altri santi, l'incubo corrusco di una Deesis antica sospesa sulle teste dei fedeli che ormai, all'Oriente, a Bisanzio, pensano solo in due modi, come luogo di vagheggiate conquiste oppure come polo di un Impero sempre più chiuso e distante. La fine delle crociate, si sa, è anche la fine dei rapporti fra le culture che l'Islam e la sua lotta contro l'Occidente non faranno che rendere più lontane.

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I numeri segnati su' grafico si riferiscono ai personaggi e alle scene delle varie zone che decorano la cupola del Battistero.

GLI APOSTOLI

1 Angelo, simbolo dell'Evangelista Matteo - 2 Simbolo dell'Evangelista -

3 Paolo - 4 Taddeo - 5 Tommaso - 6 Simone - 7 Barnaba - 8 Bartolomeo -

9 Simbolo dell'Evangelista - 10 Simbolo dell'Evangelista - il Filippo -

12 Giacomo maggiore - 13 Matteo - 14 Giacomo minore - 15 Andrea -

16 Pietro.

 

IL CRISTO E I PROFETI

1 Il Redentore - 2 Il Battista - 3 Isaia -

4 Geremia - 5 Davide - 6 Salomone -

7 Ezechiele - 8 Osea - 9 Daniele -

10 Amos - 11 Abdia - 12 Mosè -

13 Balaam - 14 Abacue - 15 Giovanni Evangelista

16 La Vergine

 

VITA DEL BATTISTA

1 Annunzio a Zaccaria e a Elisabetta - 2 Sant'Ambrogio e Sant'Agostino -

3 Natività del Battista - 4 L'Angelo conduce al deserto il Battista fanciullo -

5 Il Battista predica al deserto - 6 San Gregorio e San Gerolamo - 7 il Battista

battezza lungi dal Giordano - 8 Il Battista indica Gesù al popolo - 9 Battesimo

di Cristo - 10 San Martino e San Silvestro - 11 Il Battista davanti a Erode -

12 Discepoli del Battista incarcerato si allontanano - 13 Miracoli di Gesù dinanzi ai discepoli del

Battista - 14 Discepoli di Giovanni - 15 Martirio del Battista - 16 Banchetto di Erode.

 

CICLO DI ABRAMO

2 La distribuzione di Sodoma - 4 Banchetto dei tre Angeli presso Abramo -

6 Comparsa dei tre Angeli ad Abramo - 8 Sacrificio di Isacco - 10 Incontro di

Abramo con Melchisedec - 12 Gruppo di guerrieri che cattura due prigionieri

14 Gruppo di cavalieri all'inseguimento di altri cavalieri - 16 Fuga di Lot da

Sodoma.

 


Battistero di Parma: il cielo e la terra

La Cupola

 

 

Entrando dalla porta settentrionale quella della Madonna nel Battistero di Parma si legge i iscrizione sull'architrave che ricorda l'autore dell' "opus hoc" cioè del complesso intero dell'edificio dunque Benedetto Antelami e la data d'inizio, il 1196. Questa è la data certa del principio della costruzione una data che le cronache contemporanee e ulteriori confermano largamente. Ma quando l'edificio sia stato terminato e in dubbio cosi pure quando sia stata conclusa la campagna che vede attivi una serie di scultori guidati da Benedetto Antelami per l'edificazione di un momento senza confronti nel settentrione italiano.

Sappiamo che nel 1216 il Battistero è officiato che cioè vi si somministra in forma solenne il Battesimo utilizzando una grande vasca ad immersione cioè una vasca dentro la quale si immergono i battezzandi con tatto il corpo diversamente dall'attuale rito per aspersione.

Ma, ecco il punto, fino a che livello era edificato il Battistero in quel 1216 che è la data probabile della gran parte delle sculture dell'ordine inferiore e della conclusione dell'impegno dell'Antelami sul cantiere? La critica ha avanzato ipotesi diverse, ma una ha prevalso in tempi recenti su tutte, quella che Antelami fosse autore, progettista del Battistero intero, per alcuni fino al quarto livello, cioè fino all'altezza delle gallerie aperte e architravate, per altri, invece, fino a livello anche dell'ultima galleria, quella con arcate cieche che culmina l'intero edificio.

Le ricerche più recenti permettono però di stabilire, con un'indagine che è stata condotta dai ricercatori dell'Istituto di Storia dell'Arte dell'Università, che la storia dell'edificio è diversa, e può essere direttamente verificata proprio da coloro che visitano la grande Cupola: un incredibile exploit architettonico, con il sistema dei costoloni in breccia di Verona fissati, immorsati alle murature che sono incurvate al centro di ognuno dei sedici spicchi per diminuire la spinta laterale. Questa Cupola grandiosa, dunque, quando è stata architettata? Se la Cupola infatti è contemporanea alla zona inferiore dell'edificio, allora anche i tempi delle pitture possono essere arretrati, e vi sono state ipotesi che le hanno datate attorno al 1220 all'incirca, mentre per altri esse dovevano spingersi fino alla fine del secolo XIII.

Ebbene, salendo all 'altezza della base della Cupola troviamo una cornice e una serie di capitelli, per la gran parte fogliati. I capitelli non appartengono tatti allo stesso tempo e lo stesso può dirsi della cornice che appare essere composta di differenti frammenti, come se esistessero sul. cantiere dei pezzi già scolpiti da tempo ai quali fossero stati in seguito aggiunti altri pezzi scolpiti ex novo. Se questo è vero non sarà difficile vedere a livello della cornice due tipi di sculture differenti, capitelli "antelamici" ancora con le proporzioni di quelli sulle colonne al primo livello, le colonne che intervallano i grandi nicchioni del cerchio basso o all 'esterno, e capitelli con foglie come slabbrate, di costruzione totalmente distante dal inondo classico, dall'antico, dal romano che è uno dei punti di rifcrimento, insieme alla cultura provenzale e alla civiltà gotica dell'Ile-de-France, della lingua di Benedetto Antelami.

Anche fra le cornici troviamo forme diverse, e gli animali che corrono nel tralcio sono simili a quelli sull'architrave del portale del 1281 della facciata della Cattedrale, e, sono tarde pure le teste di animali di un altro frammento mentre e antelamico il girale scolpito raffinatamente a trapano e di pieno sapore antiquisant, cioè di evidente ripresa dall'antico. Ecco, lo stile diverso di queste parti conferma che, all 'altezza della cornice, i lavori in età antelamica non erano conclusi ma furono ripresi più tardi. Altre conferme vengono dalle tracce dell'antico tetto ritrovate subito sopra le "reni" della gran volta a costoloni e dall'analisi dei mattoni lungo tutta l'altezza del Battistero e delle loro dimensioni e caratteri, un criterio che gli archeologi normalmente impiegano per stabilire le diverse campagne costruttive e la loro successione. Intendo dire che, se si interrompe il lavoro della fornace che produce i mattoni e lo si riprende dopo un certo tempo, le misure dei mattoni, lo spessore della calcina, i loro caratteri finiscono per cambiare. Ebbene, salendo la scala in cotto che dal livello terreno va fino all altezza dei sottotetti, e poi più sopra fino ai torricelli, scopriamo che, mentre il cotto appare uniforme fino all'altezza della grande cornice alla base della cupola, si ha poi, e per tutta l'altezza di questa un cambiamento di misure molto evidente, nell'ordine medio di qualche centimetro. Vi è stata dunque interruzioue dei lavori, ecco qui dunque una nuova conferma che il Battistero di Parma. quello che Antelami aveva lasciato non finito, toccava comunque l'altezza di circa 14 metri. fino al primo piano della galleria esterna e al secondo compreso delle interne, e aveva, dunque, un tetto provvisorio, all'interno un tetto piano segnato dalle buche pontaie sotto la cornice di base della Cupola.

Altre conferme vengono dal maggior testimone contemporaneo alla seconda parte della storia dell'edificio, cioè frà Salimbene de Àdam che, nella sua Cronica, ricorda come solo dopo il 1259., alla morte cioè di Ezzelino da Romano Signore di Verona, si ebbe la possibilità di ottenere di nuovo i "marmi" (ma sono brecce) appunto da Verona, che erano indispensabili alla prosecuzione dei lavori. Perchè fossero indispensabili lo si intende bene vista la funzione di "catene" che i marmi stessi esercitano all'esterno nei loggiati e vista l'esigenza di avere dei pezzi perfettamente regolari per costruire la splendida copertura archiacuta che ancora oggi vediamo. Ebbene, Salimbene fa capire le ragioni "politiche" della mancata fornitura delle pietre: Parma, in questo giro di anni, dopo aver sconfitto Federico II(1247) conquistando la sua Vittoria, la città, il campo armato fissato nei pressi del Taro e dopo aver portato in Battistero il Carroccio dei cioè il simbolo del loro Comune, Parma è il fulcro della politica guelfa, della politica religiosa della Chiesa di Roma al Settentrione e pernio di una serie di collegate alleanze. Ecco perchè Ezzelino, sostenitore acerrimo dell'Impero, non poteva dare, proprio a Parma e proprio per quel Battistero che custodiva il segno della sconfitta del partito imperiale, i preziosi marmi per il suo completamento.

Morto Ezzelino le cose cambiano e il rifornimento dei pezzi si intensifica. Se erano stati necessari circa venti anni, dal 1196 al 1216, per arrivare ai 14 metri dell'altezza della prima fase costruttiva, ce ne vorranno meno, vista la mancanza di sculture salvo i capitelli delle tre logge architravate superiori esterne, per giungere fino all 'altezza della prima copertura, al tetto che risponde all 'originario progetto antelamico, subito sopra la quarta galleria. Lo realizza una maestranza, i campionesi, che è esperta di completamenti e trasformazioni di fabbriche antecedenti, una maestranza che troviamo attiva molte volte al Settentrione. I campionesi operano, qui a Parma, nella stessa Cattedrale e in epoca contemporanea a quella dei lavori in Battistero e con lo stesso stile: si osservi la parte alta della facciata del Duomo, la Cupola e la zona absidale dove tutti possono ben vedere le caratteristiche colonne in bianco e rosso veronese e le intrecciate gallerie di arcate.

Dunque occorsero pochi anni per fare questo lavoro, ma certo non meno di sei o sette, tanti da giungere a ridosso dell'apertura con consacrazione davanti ai Vescovi dell'intera Emilia consacrazione che è documentata al 1270. E quindi fra queste date, il 1260 circa e il 1270 che potrà porsi l'impresa della pittura della Cupola, un'impresa che comincia certamente tardi nel corso del decennio: grosso modo visti i tempi di esecuzione delle architetture e la rapidità di esecuzione delle pitture, fra il 1268 e il 1269, deve cioè essere durata non più di un paio di stagioni, e forse una soltanto.

Ma cerchiamo di comprendere adesso che cosa volesse dire questa Cupola, sospesa, con le sue immagini ricchissime, su uno spazio pensato due generazioni prima da un grande artefice pienamente al corrente della nuova cultura gotica. La Cupola non mostra le glorie della scultura o delle vetrate o del minio dell'Ile-de-France, non e un omaggio al mondo gotico, ma ad un altro universo, all 'universo della civiltà di Bisanzio. Ebbene, cerchiamo di capire prima di tatto come viene operata questa impresa, poi a chi può essere assegnata, infine che senso è possibile attribuirle in una prospettiva allargata alla civiltà occidentale.

La cupola è stata dipinta molto in fretta: se si osserva, a livello del ponteggio, la terminazione dei dipinti delle lunette archiacute alla base, si scopre che l'intonaco non finisce in modo regolare, è sfumato e non copre tatti i conci perchè non poteva essere veduto dal basso; e lo stesso intonaco viene appena steso a volte molto grossolanamente sotto i salienti verticali, le colonne addossate fra zona inferiore e cerchio superiore dei capitelli. Anche la tecnica delle pitture è delle più rapide, anzi la più rapida possibile, e la meno costosa, si deve aggiungere. Infatti il gruppo dei pittori, si distinguono diverse mani, non usa il costosissimo mosaico, per giunta di lenta messa in opera, e neppure l'affresco, che è la tecnica più diffusa in Occidente e specialmente nel nostro Settentrione e nella vicina Francia per illustrare gli edifici, ma utilizza uno strato di intonaco direttamente aderente al paramento murario su cui posa una pellicola a tempera, sottilissima, e quindi assai fragile, ma di grande rapidità di stesura e di enorme freschezza di modellato. La stesura rapida la si osserva bene considerando anche come viene posto il colore sulla parete: le zone sono ben individuate all interno di uno schema generale poi si aggiungono i rialzi del bianco per i panneggi e si rinforzano qua e ìa col nero o lo scuro i contorni. Ne viene fuori un insieme di grande efficacia, di forte impatto e che non poteva non essere eseguito senza avere a disposizione dei veri e propri sistemi di modelli.

Libri, codici o rotoli di pergamena con disegni, ecco i modelli, in pratica degli inventari di temi e di soluzioni narrative, che ogni officina di artefici bizantini aveva a disposizione (Grabal; Lazarev, Demus) e che servivano per essere sottoposti all 'attenzione della committenza, onde potesse scegliere.

Ebbene, che cosa sceglie la committenza e che cosa narra questa Cupola, beninteso da leggere insieme al resto della decorazione interna che sarà perchè adeguatamente analizzabile in un secondo momento, conclusi cioè i resta, all'interno? In basso le pitture tre e quattrocentesche hanno per la gran parte distrutta l'originaria decorazione, che è rimasta integra solo nella gran nicchia dietro l'altare con la scena del Battesimo del Cristo e in quasi tutti i catini absidali. Ma il progetto di "racconto" dei pittori si scontra, in qualche modo, con la novità gotica delle architetture. I pittori "bizantini" infatti avevano normalmente a disposizione, nelle chiese legate alla civiltà dell'Impero di Oriente, larghe superfici intonacate, pareti, volte e, naturalmente, cupole. L'Antelami invece, perchè comunque a lui spetta l'intero progetto dell'opera, aveva previsto, certo, la pittura nelle nicchie inferiori, ma e logico credere che non avesse pensato affatto di istoriare pesantemente la volta costolonata; probabilmente il progetto della sua officina prevedeva molti ornati a finto marmo in basso e un cielo stellato. Non sappiamo quanto vaste fossero in basso, al tempo dell'Antelami le zone dipinte, adesso invece risulta comunque prevalente la grande impostazione narrativa dei pittori legati alla cultura di Bisanzio.

L'insieme della Cupola viene concepito come un sistema dove Abramo, segno del Cristo, illustra, con le sue storie, la zona delle lunette archiacute:, più sopra vengono le storie del Battista, e, oltre ancora, abbiamo il Cristo, la Madonna e il Battista, circondati dai Profeti e siti non a caso in asse sull'altare maggiore. Più sopra ancora deve esservi stato un ripensamento nell'officina dei pittori, infatti al confine fra la zona dei Profeti e quella sovrastante degli Apostoli vediamo qua e là emergere uno schematico fregio, dipinto a pennello direttamente sull'intonaco bianco, un fregio coperto poi in gran parte dai colorati margini degli Apostoli stessi.

Forse l'idea primitiva era quella di un più grande cielo poi ridotto in relazione a nuove richieste della committenza? Difficile dirlo oggi, comunque anche questa è una prova al vivo, e si potrà controllarla facilmente, di un adeguarsi del cantiere a esigenze diverse.

Il cerchio ulteriore è quello degli Apostoli e dei quattro simboli evangelici, tutti, non usualmente dipinti più in alto del Cristo della Madonna e del Battista, per permettere alle figure di maggiore importanza di avere uno spazio più ampio. Oltre gli Apostoli, come si è detto ridotti di dimensione, al centro ecco il nodo della costruzione costolonata, la pietra anulare con l'immorsatura dei costoloni (e ancora sono visibili i segni delle corde per la campana mediana della antica distrutta edicola che culminava la struttura) e dentro il rosone dorato. Attorno al fiore di pietra, dipinte entro losanghe, le stelle dorate sono il segno per interpretare correttamente il sistema: ecco, questo è il cielo mistico di una paradisiaca visione. La introducono in basso alcune figure, un San Francesco che contempla il Serafino e il Tetramorfo (è nella zona in corso di restauro) e Agostino che con la Città di Dio e altre sue opere offre lo spunto, la chiave interpretativa principale dell'intera impresa. Insomma il senso è questo: Agostino, Gerolamo, i Padri della Chiesa illustrano il trionfo del Signore come e stato previsto dai Profeti e testimoniato dagli Apostoli. La Cupola dunque intende rappresentare la fine dei tempi.

Veniamo ai pittori di questo enorme complesso (500 mq) un unicum al nostro Settentrione: la Cupola infatti si imparenta in modo diretto solo con un ciclo dipinto ad Aine (Savoia) come suggerito dal Ragghianti e con null'altro in Italia, eppure è un'opera complessa che unisce insieme elementi di Bisanzio e della sua civiltà ed elementi diversi, occidentali: sigle gotiche francesizzanti sono nelle cornici divisone e negli entrelac presso le finestre, mentre particolari con dettagli architettonici occidentali, come le bifore, stanno in diverse altre scene, ma l'insieme muove da altri modelli non certo locali. Nella Cupola si confrontano due stili, quello del maestro maggiore, l'autore della grandiosa Madonna e del sovrastante Matteo sotto forma di Angelo e anche del Battesimo in basso dietro l'altare, un maestro del quale non è difficile scoprire la mano in altri "campi", che sono sempre quelli chiave del racconto, un maestro di formazione "aulica" bizantina, assai prossimo alle pitture di Milesevo in Serbia (c.1255). Un altro maestro, più rapido, abbreviato, spezzato nei panneggi, che pure prende spunti dal cielo serbo o da un "modello" disegnato non e invece bizantino e di lui è anche noto il nome, è il pittore, che si firma Crixopolus Parmensis e che dipinge al Palazzo della Ragione di Mantova Lui altro Paradiso, come mostrano le recenti ricerche di Arturo Calzona cui si deve il collegamento fra i cicli di Mantova e Parma.

Il rapporto con la cultura di Milesevo del maggiore maestro e di questo suo aiuto possono far comprendere la complessità delle tramitazioni, dei viaggi e dei rapporti fra Oriente e Occidente in questi anni e spiegano il funzionamento interno dell'officina di pittori: un maestro bizantino viene incaricato, sulla base di un progetto certamente prima disegnato e poi approvato dal Capitolo della Cattedrale, di realizzare l'impresa e con molta rapidità. Egli dunque arruola diversi aiuti, soprattutto locali, e questo spiega le assonanze, gli echi di questa arte al Settentrione e insieme il suo isolamento, ma mostra anche la forza degli schemi e dei modelli che il maestro proveniente da Milesevo o comunque che quella cultura portava con sè. Prima di conoscerlo, al Palazzo della Ragione a Mantova, probabilmente agli inizi degli anni Sessanta, Cxixopolus infatti dipinge in modo sempre bizantineggiante, ma assai meno efficace rapido, teso, è come più disteso, classicamente ritmato, non così a Parma.

Comunque sia, la Cupola viene dipinta in un tempo brevissimo, le "giornate", cioè gli spazi dipinti nel giro di un giorno soltanto, sono molto grandi, secondo mia tecnica consueta nelle zone "marginali" rispetto al centro di Bisanzio. Ma resta da capire come mai una cupola bizantina con un grande trionfo con la Deesis al suo culmine e il cielo della fine dei tempi, sia stata pensata per il Battistero di Parma.

Gli anni fra il '40 e il '70 del Duecento sono difficili nella politica della Chiesa che deve lottare con l'Impero e insieme cercare alleati in Occidente, che promuove crociate contro le crescenti conquiste islamiche in Terrasanta e, insieme, vede dissolversi il così detto Impero Latino d'Oriente che, nel 1261, con Baldovino II sconfitto, detronizzato, finisce, mentre torna al potere Michele VIII Paleologo.

Fin dal 1249 Papa Innocenzo IV aveva inviato fra Giovanni da Parma, generale dei Francescani, in missione presso l'Imperatore per cercare un accordo fra la Chiesa di Oriente e quella di Occidente e sanare la lunga separazione fra cristiani, e questa politica, attraverso il regno di diversi Papi, prosegue con varia fortuna, ma resta comunque punto di riferimento nei rapporti con l'Oriente. Il termine della lotta contro Manfredi, sconfitto a Benevento, vuol dire la fine, per la Chiesa di Roma, del pericolo di un Imperatore germanico ai propri confini e permette una differente politica nei confronti dell'Oriente.

In questo quadro politico è possibile capire il senso di questo sistema dipinto di eccezionale impegno e capire perchè lo si realizzi proprio a Parma, la città fedele alla Chiesa di Roma, la città della vittoria su Federico II, la città dove era nato quel frà Giovanni, francescano come Salimbene e suo amico che aveva tanto puntato sull'unione delle chiese di Roma e di Costantinopoli. Chiamare degli artisti bizantini, o meglio, uno o forse due artisti bizantini della diaspora, certo educati in cantieri di grande importanza, raffinati, abili, disponibili ai desiderata della committenza, e chiamarli a Parma, acquista un significato politico preciso. La Chiesa di Roma domanda loro di narrare le storie con una lingua che sia, insieme, orientale ma anche occidentale, che le storie siano illustrate da scritte latine, come è ovvio, di iconografia ben leggibile e con dettagli che appartengano al mondo occidentale; o comunque anche se non previste, queste concessioni sono evidenti e forse dipendono dalla cultura degli "aiuti" che il capobottega dovette chiamare presso di sé.

Dunque nella storia del Battistero di Parma si confrontano, ancora oggi, il cielo e la terra, la grande visione mistica dipinta dagli artefici bizantini e dai loro aiuti, un sistema denso di immagini simboliche e contrapposto, sotto, alla rappresentazione dei fatti della terra. Fuori, infatti, all'esterno del Battistero sta un Bestiario medievale, lo Zooforo come lo chiamiamo, una enciclopedia figurata degli esseri animati, mentre nelle lunette antelamiche si rappresenta la storia del Cristo. Neppure Settanta anni dopo la fine dell'impresa degli scultori dell'officina di Benedetto per la sospensione dei lavori al Battistero, ecco che 1 impresa narrativa dei pittori "bizantini" cambia completamente il discorso esplicitato dalle immagini e il Battistero diventa il segno "politico" più evidente, al Settentrione italiano, della rinnovata volontà di riunificazione dell'intero Occidente e dell'Oriente nel seguo della religione di Cristo. Forse perché questa unità non ebbe ulteriori spazi e sviluppi l'officina dei maestri che avevano formata, dentro la civiltà di Bisanzio, tanta parte della loro esperienza, non trovo più, per quanto ne sappiamo, rilevanti committenze. Cresceva ormai una cultura diversa, cresceva confrontandosi con la lingua "nazionale" più rivoluzionaria, quella del "gotico", ma alimentandosi, insieme, di altri antichi modelli, mettendo cioè radici profonde dentro l'antico, radici che accomunano Nicola Pisano e Cavallini, lo stesso Cimabue e poi Arnolfo e Giotto.

Ma questa, si sa, non è più la nostra storia e la Cupola resta, come un grande sogno della cultura universalistica medievale, fuori del tempo. Queste immagini di una unità non ritrovata sono, come la misera fine delle crociate, il segno di una sconfitta, cioè di una frattura non più sanata.

E in fondo le prove sono ancora li, in Battistero, a piano terreno nelle pitture che segnano le diverse vie che la pittura prende, in Occidente, e dunque da noi, nel Tre e Quattrocento.