Ormai parli de Roma e non parli più de niente. Roma ando’ sta? Che è? Roma, Milano, s’è talmente confusa! Roma e Berlino addirittura, Roma e Parigi, so’ diventate talmente uguali...
Ostia è stato un fatto così, di voglia di fare un film, da quando Pier Paolo mi fece capire che il cinema lo potevano fa’ tutti, a patto che uno abbia veramente bisogno di dire una cosa. Questo fatto mi fece scattare l’idea di pensare una storia pure io, e ne scrissi tante, più di sette, e tra queste mi venne una storia, chiamiamola semplice, come
Ostia. Che poi è una cosa quasi mia, un rapporto d’amore tra fratelli, una cosa così. Mi venne in mente sta’ storia, ed è chiaro che ho ambientato
Ostia nel mondo che conoscevo di più, in un mondo di borgata, in un mondo di poveri — due ladruncoli e ‘na mignotta —ma c’è stato un momento che volevo farlo che fosse la storia di due fratelli ricchi ricchi ricchi... Puoi sostenerlo come film, però ricordandomi che Pier Paolo diceva: «No, ‘na cosa che hai bisogno di dire dilla come la sai dire», e allora è nato
Ostia. Che poi una volta scritto non volevo farlo più. Perché? E perché nun me va! Io dico sempre: uno fa un film, onesto, scopre un po’ il sedere. Non m’andava. Scoprirlo a chi? E non lo volevo più fa’. Invece Pier Paolo m’incoraggiò a farlo, e feci
Ostia, così. Ma pensavo che avevo detto questo e avevo detto tutto, non ci avevo più bisogno di fare niente. E invece c’è sempre un bisogno, e tutto sommato diventa un lavoro, ed è tutto là. Quando avevo scritto ‘sta storia, Pasolini me la spiegava, me faceva capì anche le cose che io non capivo, che mi erano venute da sole. Me faceva scoprì quello che io non sapevo. Pier Paolo me serviva per questo, me serviva. Poi niente, mi è stato vicino nella sceneggiatura e basta. Lui tutti i film miei li ha visti già montati. Era talmente intelligente che non mi voleva sta’ addosso, tutto quello che potevo fa’ da solo e era giusto, per lui. Mi consigliava in sede di sceneggiatura, e basta. Il produttore di
Ostia era Alvaro Mancori, l’ex operatore. Parlando, quasi per scherzo, me dice: «Fa’ un film pure tu, fa’ un film pure tu, Pasolini te lo dice sempre». E io: «Vorrei fa’ sta storia...». «Facciamola!» Parlando, quasi per scherzo. E la cosa è andata avanti. Poi il film manco è uscito, in verità. Fu boicottato di brutto. È uscito dopo nei cinema d’essai, così, ogni tanto, ma in circuito regolare mai. Per quelle cose disoneste del cinema, problemi, noleggio, quelle cose che ci so’ ancora Dirigere mio fratello è stato facile, perché lo conosco meglio di tutti. Dirigendo un film, io lavoro su una cosa che so bene, quindi se c’è mio fratello, mio fratello deve fare quello che io conosco attraverso mio fratello, non un personaggio di film. Io ai personaggi di film non ci credo, anzi se c’è il personaggio nel film è il momento che la storia non c’è più. Allora per me dirigere Franco era facilissimo. Io e Franco siamo cresciuti insieme, ancora la sera ci parliamo, stiamo sempre insieme, andiamo a pesca insieme, quindi ho fatto una cosa facile, non è che ho inventato niente nel rapporto tra Rabbino e Bandiera, ‘na cosa con molta semplicità, molto onesta,
'na cosa della vita, che fa parte della vita.
(Sergio Citti)
È stato Pier Paolo a spingermi a fare il regista. A me è venuta in mente
Ostia, una storia dove ci sono elementi autobiografici e lui mi disse: «Perché non lo fai tu?». Sono stato quasi costretto. L’idea mi è venuta una sera che ho visto due fratelli che mangiavano una pizza con una mignotta. Due ladruncoli, robetta, che conoscevo di vista. E mi dicevo: vanno a rubare insieme, e poi che altro fanno insieme? Lei con chi sta dei due? Su questa base ho inserito altre storie, che mi erano davvero capitate. Per la sceneggiatura ho preso quindici milioni e la regia l’ho fatta senza sapere bene cosa mi stava capitando. Oggi se faccio un film sento il bisogno, la voglia di raccontare, per
Ostia non ce l’avevo. Potevo raccontare a voce, ma non con la macchina da presa, così ho deciso di annullare la tecnica, di
escludere idealmente la macchina e qualunque altro effetto derivato dalla tecnica. Perché, ancora adesso, quando si dice
«motore» e senti il rumore della macchina da presa, io capisco che a quel punto è già tutto finito. Io non voglio fare dei film, ma delle pellicole. Il film è congegnato, voluto, la pellicola è immediata. Come
Umberto D., uno dei film che mi ha spinto a fare il cinema. Le storie più semplici, quelle che nessuno se ne accorge, quello è il cinema, non lo
spettacolo: sono i momenti in cui nemmeno ce ne accorgiamo che invece siamo vivi. Quando ho visto
Umberto D. ho capito che quelle sono le storie giuste, non
Via col vento, che non sono mai riuscito a vedere fino in fondo.
(Sergio Citti)
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