Liliana Cavani |
Milarepa (1973) |
Regia: Liliana Cavani; sog.: Liliana Cavani, liberamente ispirato a "Tibet ‘s Great Yogi
Milarepa" - Oxford University
Press; scen.: Italo Moscati, Liliana Cavani; cons. storico: Boris
Ulianich; fot.: Armando Nannuzzi; oper.: Giuseppe
Berardini, Federico Del
Zoppo; suono: Roberto Moreal; scenog. e cost.: Jean-Marie Simon (collaborazione di Yves
Bernard, Alain Baliteau e del Teatro Stabile
dell’Aquila); truc.: Manlio Rocchetti; aiuto regia: Paola
Tallarigo; mont.: Franco Arcalli; mus.: Daniele Paris. Int.: Lajos Balazsovits, Paolo Bonacelli, Marisa Fabbri, Marcella Michelangeli, George Wang. organiz. gen.: Sergio Iacobis, diret. prod.: Bruno Ridolfi, Nicola Venditti. Produzione: Lotar Film (Roma) per la Rai, Radiotelevisione Italiana settore Film per la tv (a cura di Ludovico Alessandrini). Distribuzione: Rai, Radiotelevisione italiana. Colore, 35 mm. Durata: 106’. |
Leo, uno studente di estrazione operaia (il quale ha seguito un corso di letteratura orientale e, su invito del «maestro», il prof. Bennett, ha tradotto il testo di Rechung-Milarepa), accompagna il docente e sua moglie all’aeroporto, dove li attende un aereo in partenza per l’Oriente, nei luoghi appunto dove visse Milarepa. Ma un incidente automobilistico li fa finire in un fossato. I tre rimangono feriti: Bennett più di tutti, in quanto resta immobilizzato nell’auto. Mentre la moglie di Bennett va a cercare aiuti, Leo narra al suo «maestro » la vicenda del «santo» tibetano. Insieme compiono con l’immaginazione quel viaggio, che nella realtà, per via dell’incidente sopravvenuto, al professore non sarà più possibile portare a termine. Nel racconto, Leo diventa Milarepa; la madre operaia di Leo assume il ruolo della madre di Milarepa, Bennett diventa Marpa (il maestro di Milarepa) e la moglie Karin, la moglie di Marpa. Milarepa, per esaudire i desideri di sua madre, che vuole vendicarsi di alcuni parenti (costoro, dopo la morte del padre, li hanno depredati di ogni sostanza), apprende le formule della magia nera con la quale riesce a sterminare i nemici. Ma, vista la magra soddisfazione offertagli dal coronamento della vendetta, abbandona i familiari (la madre e la sorella) e si mette alla ricerca di un maestro che lo inizi ad una magia di senso contrario, capace di liberarlo dal senso di colpa suscitato dalla mortifera vittoria sui cattivi parenti. Dopo molto vagare, Milarepa trova tale maestro in Marpa, che ha studiato e praticato il buddismo nel Tibet e in India. Marpa dice di non conoscere nessun tipo di magia, né bianca né nera, e istruisce Milarepa «per assurdo», ossia rifiutando di dargli qualsiasi istruzione «positiva» e sottoponendolo, invece, a una serie di durissime prove fisiche (tra l'altro gli fa costruire, abbattere e ricostruire, fino al totale sfinimento fisico e al limite della confusione mentale, una torre di pietre). Milarepa le supera mostrandosi preparato a proseguire da solo nella meditazione e nell’ascesi. Più tardi, dopo la morte di Marpa che lo ha finalmente accettato come discepolo e indirizzato alla rivelazione, Milarepa torna nei luoghi dove è nato e cresciuto. Qui, trovando la casa distrutta e la madre morta, sperimenta in un clima di tragica desolazione la propria solitudine. Finito il racconto, Leo-Milarepa esce dall’auto, risale il fossato e si avvia a piedi su un’autostrada verso la città. |