Liliana Cavani


L’ospite (1971)

Regia: Liliana Cavani; sog.,scen.: Liliana Cavani; fot.: Guido Albonico; oper.: Sebastiano Celeste; suono: Carlo Tarchi; scenog.: Fiorella Mariani; cost.: Fiorella Mariani; truc.: Alfonso Gola; aiuto regia: Paola Tallarigo; assist. regia: Attilio Guardincerri; segr.ediz.: Lidia Bednarek; mont.: Andreina Casini; mus.: Gioacchino Rossini.
Int.:
Lucia Bosé, Peter Gonzales, Glauco Mauri, Giancarlo Caio, Alvaro Piccardi, Maddalena Gillia, Giampiero Frondini, Maria Luisa Salmaso, Alfio Galardi, Lorenzo Piani. 
organiz. gen.
: Sergio Iacobis.
Produzione:
Rai - Radiotelevisione italiana (programmi sperimentali, a cura di Italo Moscati), Lotar film (Roma).
Distribuzione
: Sacis.
Colore, Eastmancolor - 16 mm
(trasferito in 35 mm). Durata: 93’.

Per poter scrivere un romanzo ambientato in un ospedale psichiatrico, uno scrittore ottiene il permesso di compiere una accurata visita in un manicomio. Vuole rendersi conto della situazione sanitaria dell’istituto e delle condizioni umane e morali in cui vivono gli ammalati. Interroga, registra, commenta: il quadro che gli viene prospettato non lo soddisfa certo. Si accorge delle gravi carenze cliniche e sociali, e ne fa parola con il direttore, il quale giustifica il tutto con la mancanza di personale (sei medici per seicentocinquanta «ospiti») o con il disinteresse delle famiglie (che si disfano dei parenti «pazzi» con il comodo alibi della paura), quando non accusa invece il visitatore di eccessiva emotività e di sprovvedutezza tecnica. In particolare, lo scrittore s’interessa al caso di una ammalata che non appare tale: Anna, una donna ancora bella, dallo sguardo malinconico, ricoverata vent’anni prima per una crisi maniaco-depressiva, seguita alla tragica morte di un cugino da lei amato. Anna sembra quasi murata in se stessa, chiusa nel suo silenzio, che rompe soltanto nei brevi colloqui e negli affettuosi servizi verso Luciano, un giovane ammalato perduto in un dolente e introverso assenteismo. Lo scrittore vuole rivedere Anna, parlare con lei, rendersi conto della sua situazione; e subito, al primo contatto, ha la netta impressione che il comportamento emarginato di Anna sia polemico, di rifiuto, non legato ad una crisi maniacale che sembra invece superata. Effettivamente Anna, poco tempo dopo, è dichiarata guarita. Dimessa dall’istituto, è affidata al fratello Renato. Ma nella famiglia di costui, a contatto con una cognata ritrosa e ostile, la socializzazione di Anna diventa un problema quasi insolubile: ogni suo gesto è male interpretato, sia che ella accarezzi il nipotino che dorme, sia che si soffermi ad ammirare le fattezze di un bel giovane incontrato casualmente su una spiaggia. Anna allora fugge di casa, e i parenti informano subito la polizia. Solo lo scrittore, che, informato dell’accaduto, ascolta al registratore le precedenti confessioni di Anna, intuisce la meta della ragazza: è la villa degli zii defunti, ormai inabitata, dove Anna rivive fantasticamente il suo passato, nel ricordo della sua romantica e tragica storia d’amore (identificata ne1l’immaginazione con il dramma di Maeterlinck, "Pélléas et Mélisande"), in una ricostruzione onirica, dove la figura del cugino amato si confonde con quella di Luciano, il giovane rinchiuso nella casa di cura. Ritrovata infine dai carabinieri, è nuovamente ricoverata in manicomio. Qui ottiene di rimanere sola con Luciano, che ella riprende ad accudire con tenerezza e dedizione.