LA CLASSE OPERAIA VA IN PARADISO (1971)
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Soggetto e sceneggiatura: E. Petri, Ugo Pirro;
dirett. fotografia: Luigi Kuveiller (in Eastmancolor, colore Spes); musica: Ennio Morricone diretta da Bruno Nicolai
(ed. mus. R.C.A.); montaggio: Ruggero Mastroianni; scenogr.: Dante Ferretti;
costumi: Franco Carretti; arred.: Carlo Gervasi; org. gener.: Claudio Mancini;
dirett. prod.: Mario Cotone, Stefano Pegoraro; aiuto regista: Antonio Gabrielli, Franco Longo;
operatore: Ubaldo Terzano; fonico: Mario Bramonti; consul. sindacale: Mario Bartolini. Soggetto: Dichiarazioni: [...] Non è che io abbia fatto grandi ricerche sugli operai. Ho girato qualche metro di pellicola a passo ridotto alla Fatme proprio nei giorni in cui alle porte delle fabbriche italiane c'erano i militanti della sinistra operaia, in un momento molto interessante. Checchè ne dicano oggi i comunisti del Pci, quello del '69'70 era un periodo che, a mio avviso, resta uno dei più vivi della storia di questo secolo in Italia. Dal mio punto di vista, affrontare un operaio è come affrontare un qualunque altro essere umano. In quel momento, invece - e ancora oggi - l'operaio è considerato come un santo, un martire. L'operaio è semplicemente una creatura umana e dentro di lui passano molte delle scissioni che passano in ciascuno di noi benché, naturalmente, la sua professione sia molto più difficile: in un certo senso, è quello che soffre di più tutte le contraddizioni, costretto com'è ad assumere un modello borghese dato che la società dei consumi lo obbliga per la sua stessa sopravvivenza a diventare un consumista, ad aiutare così in qualche modo lo stesso sistema capitalista. Io raccontai quella che era la storia di tutti, di come in questa società non si possa vivere che nell'alienazione. Il rapporto del tempo esistenziale con quello produttivo, in un operaio, è evidentemente il lato più drammatico della sua giornata, e io mi occupai soprattutto di quello. Oltretutto era la cosa più semplice da afferrare, la cosa che anche io che non avevo frequentato le fabbriche potevo capire subito. Da ragazzo avevo fatto per qualche mese l'edile, e sapevo che gli operai si somigliano, un operaio romano non è tanto dissimile da uno milanese, forse solo nella cultura ma non certo nel rapporto con l'esistenza, che è identico... Per esempio, c'è sempre questo problema del cottimo c'era anche nel film - e il cottimo è stato perennemente un problema che riguarda tutti... Io mi ci appigliai, anche perché il problema tra tempo esistenziale e tempo produttivo, stringi stringi, ce l'ha chiunque e in fondo ce n'era già un accenno nel mio "I giorni contati". Proposto con un linguaggio meno isterico, ma c'era. [...] (Elio Petri) [...] In generale, lavoro sui miei personaggi al modo in cui chi fa un'inchiesta raccoglie tutta la documentazione possibile sull'argomento che lo interessa. La mia preparazione avviene dunque più su un piano giornalistico che drammatico, e si stabilisce a partire dallo stesso materiale raccolto e utilizzato dallo sceneggiatore per costruire il suo soggetto. t stato così per il commissario di "Indagine", il suo modo di parlare, i suoi atteggiamenti, il suo linguaggio, perfino il suo modo di pettinarsi, corrispondono a una precisa tradizione che risale ai Borboni e di cui si ritrova tuttora l'immagine nei ministeri. Per l'operaio della "Classe operaia", ho parlato a lungo con gli operai, nelle fabbriche, delle malattie specifiche alla loro condizione, come la nevrosi, l'artrite deformante, le infezioni polmonari... Passo in seguito a una preparazione di tipo critico-analitico del personaggio, della sua psicologia: e questo mi porta a determinare l'atteggiamento generale che devo assumere nel film. Poi ci sono i normali rapporti dialettici che devono stabilirsi tra l'attore e il regista: discutiamo fino ad arrivare insieme ad avere la visione del problema da risolvere, essendo ovviamente inteso che è il regista in ultima analisi a decidere e a dirigere. E lo stesso lavoro di analisi psicologica del personaggio si ripete a livello dei dialoghi, battuta per battuta. Ritengo che la capacità d'analisi faccia parte del mio lavoro di attore al livello stesso del quotidiano, e cioè in modo permanente. Con Petri, in "Indagine su un cittadino", la sceneggiatura era quella che si ritrova nel film, nessuno ha mosso o modificato nulla. Ma si trattava di una sceneggiatura molto compiuta, molto chiusa... Invece, nella "Classe operaia" era più aperta, volutamente tale perché in quel momento Petri, Pirro, io, tutta la troupe, anche per via di un movimento generale che c'era in quegli anni, avevamo scelto di fare un'esperienza che, rispetto alla sceneggiatura, era più aperta. Il lavoro è stato quindi tutto diverso. Come fa un attore ad arrivare a rendere questo o quel personaggio è molto difficile da dire, è quasi impossibile, perché io posso spiegare come lavoro, ma poi c'è sempre qualche cosa che non è puntualizzabile. C'è molto mistero nel lavoro dell'attore... E dirò che difendere questo spazio, legittimare questo spazio di mistero e quest'interrogativo sull'attore è una cosa che voglio continuare a fare, perché c'è dentro tutto il fascino e la curiosità che ancora ho per questo lavoro, per come lo fanno gli altri e per come posso farlo io. [...] (Gian Maria Volontè) [...] La scansione ritmica, cioè la divisione del tempo, la sua misura, sono cose di cui non mi accorgo quando compongo. Ed evidentemente in ogni film c'è una ragione per la quale divido il tempo in un certo modo. In "Indagine" non la tratta esattamente di una marcia, ma di un tango che mira a un risultato grottesco. Nella "Classe operaia" è diventata una marcia, con riferimento al film precedente. Cerco ora di giustificarmi perché non ci ho mai riflettuto sopra veramente. Forse la marcia degli operai, le loro rivendicazioni, il ritmo del lavoro (per il quale ho utilizzato uno strumento elettronico che imitava la pressa) tutto questo ha contribuito alla mia decisione di scegliere per il film una marcia. [...] (Ennio Morricone) |
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