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Quasi una
presentazione
Ho avuto la fortuna di essere
giovane studente
mentre abitavo la bella Albissola degli anni 50
quando il paese, da secoli terra di ceramisti, ospitava tantissimi artisti molti
dei quali sono poi diventati famosi. Era affascinante vedere Lucio Fontana che
cavava fuori dalla creta le sue famose ceramiche smaltate, mentre Aligi Sassu e
Asger Jorn decoravano le loro ville. Il gruppo COBRA era presente anche con
Wilfred Lam. Al caffè Testa di Albissola Marina era facilissimo incontrare Piero
Manzoni, Agenore Fabbri ed Emilio Scanavino. Crippa e Dova erano spesso
presenti. Le mostre di questi artisti e di molti che qui non cito erano spesso
ospitate nelle sale del comune di Albissola Marina o a Savona. Sulla ceramica
vegliava dall’alto Tullio d’Albissola. Ed Ernesto Daglio, padre di uno dei miei
migliori amici e che poi sarebbe diventato mio suocero, mandava avanti
l’attività alle ceramiche Fenice che proseguivano l’attività della gloriosa
Fenice degli anni 20 e 30, in quei tempi gestita dall’artista Manlio Trucco, che
aveva ospitato nei suoi laboratori Arturo Martini e Francesco Messina e aveva
prodotto ceramiche oggi sparse in tanti musei.
Ma da un certo punto in poi diventa indispensabile
mettersi a lavorare, faticare pesantemente per recuperare il tempo perduto,
laurearsi e trovare un lavoro.
I tempi erano molto diversi da quelli odierni e mi hanno
consentito di avere un incarico di insegnamento all’università dopo poco più di
un anno dalla laurea, di insegnare per quasi cinquanta anni a molte migliaia di
studenti (cui sinceramente spero di aver dato qualche cosa di utile), di fare
per lungo tempo ricerca in fisica (prima nucleare, poi degli acceleratori, poi
dell’antimateria e infine in astrofisica) e quindi di andare in pensione dopo
cinquanta anni tondi di attività lavorativa nel campo della fisica.
Fare attività artistica, secondo me, richiede una mente
sgombra da altre urgenze e dunque per me è stato praticamente quasi impossibile
dipingere durante l’attività lavorativa.
Ma in pensione possono tornare i vecchi amori, anzi, sono
i benvenuti.
E la fortuna mi ha fatto arrivare in quell’antro
meraviglioso che è il laboratorio di incisione dell’Accademia ligustica di belle
arti. Il maestro che ne regola con dolcezza e con sapienza l’attività è l’amico
prof Nicola Ottria (un pozzo senza fondo di conoscenze, di suggerimenti e di
incoraggiamenti) e il laboratorio è popolato da un gruppo di meravigliose
persone con cui è assolutamente piacevole condividere il tempo e il lavoro.
Frequenterò quest’anno l’accademia per il sesto anno
consecutivo. In questi anni ho anche frequentato (per tre anni e mezzo) il liceo
artistico Barabino di Genova (corsi serali).
All’Accademia ho imparato le tecniche tradizionali di
incisione e da tre anni sono stato ammesso ad essere membro della Associazione
degli incisori liguri. Ovviamente ho sempre partecipato alle relative
esposizioni annuali.
Dopo i primi due anni ho però
cominciato anche a scoprire il fascino della stampa del colore distribuito su
una matrice-supporto e impresso su carta dall’azione dei torchi da stampa. E’
possibile per tale via avere
contemporaneamente zone di colore molto saturo
e zone di colore molto delicato e trasparente.
Inoltre, è sempre molto affascinante il modo in cui, non
sempre prevedibilmente, il torchio materializza l’incisione.
A questo punto ho scoperto che
stavo semplicemente seguendo la lunga scia degli incisori di
monotipi che pare proprio cominciata
a Genova nel 600 con il Grechetto e che è stata poi continuata da tanti
importantissimi artisti.
Continuo perciò a dedicare
molta attenzione alle tecniche di produzione di monotipi anche perché
amo
molto la sperimentazione, amo l’informale e gli effetti del gesto significativo
che è possibile lasciare inciso sul risultato finale. Amo inoltre la complessità
delle sovrapposizioni di trame diverse di colori. E’ per tale motivo che la
maggior parte dei miei lavori sono all’interno della produzione di monotipi.