LA TENDA
(Uganda 1979)
Non so da quanti giorni stiamo correndo nella savana e quanti
chilometri ha percorso la nostra gip.
Da Nairobi , in aereo, siamo giunti ad Entebbe sorvolando il Lago Vittoria e da qui ci
siamo avventurati in quella che si preannuncia un'avventura da non dimenticare.
Angelo, Mariuccia, Tina, io e un ranger, guardiano dei Parchi e, nello stesso tempo, guida
di provata esperienza, armato di un fucile a ripetizione.
Le nostre dimore per la notte sono i Lodge che troviamo sul nostro percorso.
Sembra strano scorgerli quasi all'improvviso quando fra i rami alti della boscaglia
appaiono quasi nascosti dal lussureggiare del verde dai toni chiari e scuri che delimitano
brandelli di cielo d'un sereno di azzurro intenso per mutarsi, a volte inavvertiti, in
accozzi di nuvolaglia che non tardano a rovesciare violenti acquazzoni che piegano le erbe
più alte e schiaffeggiano la foresta.
Si fermano e si acquattano gli animali e trattengono strepiti e grida in un'attesa fatta
di nulla, una pausa ben nota e più volte vissuta nel rosario monotono delle stagioni per
poi riprendere dopo pochi minuti la vita di sempre sotto l'arco infinito, sempre nuovo
seppur eterno, dell'arcobaleno.
Costruzioni di pietra e di paglia, dai giardini curati a prati rasi con ossessiva cura e
fiori, tanti fiori, che dirompono in un concerto di colori fra la casa e la boscaglia
incolta e selvaggia che allunga troppo spesso gli artigli per riprendersi lo spazio
innaturalmente sottratto.
I camerieri che assistono al pranzo sono pronti ad ogni richiesta vagheggiando la mancia.
Le stanze son curate con orchidee e flora tropicale che raccontano di profumi lontani,
esclusivi e mai assaporati prima d'ora.
E poi, quando il sole nuovo lambisce a malapena gli alberi più alti, l'avvio verso nuovi
orizzonti.
Il motore ruggisce più nervoso e con novello brio all'aria fresca del mattino che ci
accarezza i volti e ci porta profumi e odori lontani.
Ci immergiamo fra mandrie di zebre che si lasciano aggirare e avvicinare quasi a toccarle.
Le giraffe, curiose, si tengono, di solito, a debita distanza e la loro corsa elegante
pare l'ondeggiare di un giunco accarezzato dal vento.
L'incontro più affascinante e tragico lo facciamo nelle prime ore del pomeriggio.
Un ghepardo, acquattato nell'erba alta e secca, sta puntando la preda.
Un gruppetto di gazzelle sta brucando poco lontano e la più vicina, forse la più
giovane, pare crogiolarsi al sole caldo sgambettando fra i bassi rovi che rompono la
pianura.
Si muove a lenti passi e a volte saltella; sventaglia a tratti la piccola coda e i grandi
occhi ci fissano curiosi.
Il felino non si lascia distrarre dal rumore del motore; tuttavia, prima di spegnerlo, ci
poniamo in una posizione favorevole per seguire gli eventi.
Elegante e snello, quasi leggiadro e raffinato nella sua pelliccia a macchie bianche e
scure, incede sinuoso cosciente della propria forza e dell'agile balzo.
Il ghepardo ora si allunga, quasi sdraiato, ma con i muscoli ben tesi.
Solo il muso si leva poco più sopra dell'erba e le narici fremono nervose.
L'immobilità lo fa sembrare ad una statua di gesso dove tocchi di vernice lucida e
luminosa ha definiti ben netti i contorni delle infinite e asimmetriche pennellate in
bianco e nero.
Quasi spinto da una molla scatta, quasi volando e accarezzando il suolo, verso la gazzella
che ben presto intuisce e scopre la corsa fulminea e scatenata del predatore.
A sua volta balza fra le stoppie e s'allontana sgambettando quasi impazzita in zig zag
scomposti e disperati.
La corsa solleva la terra rossa che si frastaglia in nugoli di polvere che a volte
nascondono il tragico gioco che si alterna fra scatti improvvisi e bruschi arresti, fra
rincorse scatenate e capitomboli rovinosi.
Una lotta impari fra la possanza e la timidezza, fra l'impeto della massa muscolare che
freme alla spasmodica caccia alla preda quotidiana e l'inerme corpo tremante alla ricerca
disperata dell'improbabile salvezza.
La sarabanda atroce s'arresta dopo secondi senza fine: la bocca famelica del ghepardo
stringe il lungo collo che si dimena in moti scomposti e violenti.
I sussulti dapprima furiosi a poco a poco si fanno tremori per poi mutarsi in tragica
immobilità.
L'animale, ormai pago della tenzone, trascina a fatica fra le gambe il corpo ancora caldo
sino ai piedi di un albero e, con un ultimo sforzo, lo issa fra i rami più bassi.
Ad attenderlo ci sono tre piccoli.
Con i denti aguzzi e affilati fa scempio della preda e la famigliola indugia a lungo in un
tranquillo pasto.
Raggiungiamo un ramo del Nilo.
Il Lodge che ci ospiterà nella notte si trova sull'altra riva.
Lo attraversiamo lentamente su una chiatta che sfiora i grossi ippopotami immersi fino al
muso che spalancano le enormi fauci mostrando le due grandi zanne della mandibola mentre
dalle narici spruzzano getti d'acqua gialla.
Sulla riva si beano al sole enormi coccodrilli che, a prima vista, sembrano tronchi
d'alberi.
Quasi tutti superano i sei metri di lunghezza e la bocca spalancata evidenzia una
minacciosa teoria di denti bianchi e acuminati.
Li sfioriamo e sembra
che la nostra presenza non li infastidisca.
Alcuni uccelli saltellano nella loro bocca e la ripuliscono dai residui dell'ultima preda.
E' un'atmosfera strana e silenziosa, quasi surreale, dove si avverte solo lo sciacquio
dell'acqua ferita dalla prua, il ronzare monotono e noioso degli insetti e il rumore sordo
di una cascata lontana mentre il sole accecante intontisce questo quadro incontaminato e
selvaggio.
Lasciamo la zattera sulla quale abbiamo caricato anche la gip e scendiamo per sgranchirci
gli arti intorpiditi dalle ore di corsa nella savana.
Ci sorprende un acquazzone improvviso e i tuoni rotolano nella savana sino a spegnersi
brontolando giù verso il lago Vittoria.
Corriamo a rifugiarci sul lato esterno di una capanna di fango e di paglia al riparo di
una tettoia di lamiera.
Ci ritroviamo in compagnia di un bambino di quattro-cinque anni che ci guarda con due
occhioni grandi che brillano all'ultimo sole e che si stagliano netti sul viso di nero
ebano.
Ci sorride mostrando due file di denti bianchi come tasti d'avorio di un pianoforte.
La prima cosa che ci viene in mente è di offrirgli una caramella, ma Angelo, il goloso,
non ne ha lasciata una.
Mariuccia, tuttavia, riesce a scovare in fondo alla sua borsa una banana.
Allunga il braccio verso il piccolo ma non si attende un netto diniego non disgiunto da
un'espressione di delusione.
Il negretto intuisce il suo rammarico e, quasi a giustificarsi, la prende per mano e la
guida verso l'interno della capanna.
Ora ci è tutto chiaro: la baracca è un deposito di covoni
di banane e il bambino probabilmente ne è il custode.
Il lodge della notte si trova su un altipiano a ridosso di un ramo del giovane Nilo.
Ceniamo all'esterno attorniati da un nugolo di curiosi marabù; una famigliola di elefanti
rovescia con le lunghe zanne i bidoni dei rifiuti e rovista con le proboscidi i resti dei
nostri pasti; l'ultimo sole del giorno riflette la sua luce nell'acqua quieta e chiara
dove gli ippopotami si crogiolano silenziosi e solenni sbadigliando la loro noia alla
falce di luna che già si affaccia verso est.
La tappa di oggi è molto lunga e, al tramonto, ci prepariamo a piantare le tende.
Sappiamo bene che la sera è molto breve: il sole si adagia oltre la boscaglia e, dopo
pochi minuti, la notte giunge improvvisa.
Notti di cielo in cui manciate di stelle sfiorano il capo e riempiono gli occhi facendo
scoprire così vicine costellazioni lontane fra spruzzi lucenti di via lattea.
Mentre il ranger installa le tende picchettandole nel terreno umido noi raccogliamo nella
boscaglia rami e radici che disponiamo a cerchio.
Mangiamo qualcosa sul tavolo pieghevole e ci immergiamo parlottando nelle ore della notte.
Il silenzio è spesso rotto dagli urli degli animali che giungono attutiti dal folto della
boscaglia.
Sono sensazioni strane, violente e dolci, nuove e impreviste.
Le voci della savana non muoiono col giorno: si placano per pochi attimi per ridestarsi in
richiami improvvisi a volte lontani e a volte troppo vicini .
I riflessi delle fiamme che si levano crepitando dalla corona di legno secco si stagliano
attorno abbagliandoci e limitando lo sguardo al nostro piccolo campo sperduto nell'immenso
Seronera Park.
L'ovvio scopo è quello di tener lontani gli animali che già avranno avvertito la nostra
presenza.
Prima della sosta, infatti, abbiamo incrociato alcune famiglie di leoni e un ghepardo che
si trascinava i piccoli, con i loro gridi cinguettanti, verso la tana della notte.
Disponiamo di una tenda per coppia e, quando il fuoco è ben vivo, ci ritiriamo per il
riposo.
Il ranger, all'esterno, si coprirà solo di cielo.
Le due brandine hanno stranamente una distanza da terra più alta del normale.
Ne comprendiamo ben presto la ragione: le torce elettriche inquadrano piccole ombre che si
muovono velocemente sul pavimento di terra battuta.
Sono decine di minuscoli topi che zigzagano impazziti nella ...stanza e a nulla valgono i
tentativi di metterli in fuga.
Rientrano a frotte, ostinatamente, attraverso i buchi e le fessure dei teli.
Tina si accovaccia sul lettino e decidere di starsene seduta sino al sopraggiungere
dell'alba accompagnando con grida improvvise i vari spostamenti dei piccoli ospiti che si
sfiorano sempre più baldanzosi i piedi dei nostri giacigli.
Nello stesso tempo avvertiamo che anche nella tenda di Angelo sta succedendo la stessa
scena a giudicare dalle imprecazioni di Mariuccia.
Dal canto mio preferisco starmene sdraiato e mi avvolgo come un bozzolo nel lenzuolo.
Nel momento stesso che il torpore cancella i ricordi e le impressioni della giornata per
lasciare inconsciamente il passo al sonno, un grido più forte degli altri mi fa
sussultare.
I movimenti sul terreno sono ancora più concitati e ai topolini grigi ora si aggiungono
delle grosse bisce nere che li inseguono in una caccia scatenata.
La sarabanda che si sta svolgendo sotto di noi non permette più di dormire nemmeno a me.
Nello stesso tempo ci accorgiamo che la parte alta della tenda è scossa paurosamente da
tremiti che ci inducono a pensare che qualche strano animale si sia arrampicato sul tetto.
La luce del giorno giunge inaspettata fondendo il buio troppo intenso della notte.
I raggi radenti del sole si infiltrano benvenuti e graditi attraverso i tagli del tessuto.
Gli ospiti della notte se ne sono improvvisamente andati.
Apro con circospezione la cerniera del pertugio d'ingresso e spalanco la tenda al nuovo
giorno.
Il grosso muso di un bufalo a due metri da me mi impedisce di uscire e, anzi, mi spinge ad
una precipitosa ritirata, come se la fragile consistenza del telo mi potesse difendere da
una eventuale carica.
Riapro dopo alcuni minuti e scopro che il visitatore si è allontanato, mentre a una
decina di metri una coppia di leoni stanno terminando di divorare uno gnu cacciato nella
notte.
Alcune iene stanno pazientemente attendendo la fine del loro pranzo per divorarne i resti.
Il nostro ranger, tuttavia, è già davanti a noi con il fucile fra le mani.
Sul tetto della tenda continuano a passeggiare numerosi i grossi rats mousché.
Anche questo è Africa; anche questo è avventura.