GIUSTO PIO, UNA MESSA ELETTRONICA PER LA GENTE di Angelo Scozzarella
Prima a Catania
per la “Missa populi” del partner musicale di Battiato
Una composizione
concentrata sulla metrica e sulla coralità, dove le parole si comprendono.
Nessuna retorica, e una dedica sincera a Giovanni Paolo II
Da Avvenire mercoledì 2 agosto 1995
Se gli organizzatori dell’estate catanese avessero potuto disporre del cielo e della terra non avrebbero mancato di programmare anche l’acquazzone che nel pomeriggio si è rovesciato sulla città a significare la fine di una stagione. Ma la pioggia ha anche assunto la veste di purificazione preparatoria all’evento della serata. Il Chiostro dei Gesuiti, affollato da un pubblico numeroso, il più numeroso dell’intera rassegna, sembrava restituito alla sua originaria religiosità. E l’anteprima mondiale della Missa Populi di Giusto Pio non ha deluso le aspettative.
La ventennale ricerca compositiva dell’autore, segnata dallo sperimentalismo di Motore immobile (Cramps) e dal lavoro sui suoni di opere come Alla corte di Nefertiti (L’Ottava) e Utopie (DDD), approda alla musica sacra. Non si tratta di un’improvvisa conversione, ma di una originaria Ispirazione, che Giusto Pio, credente e praticante cattolico, ha trattenuto per mancanza dl mezzi materiali e che oggi, grazie alla possibilità di utilizzare strumentazioni elettroniche «economiche», può tradurre in pratica musicale realizzando una composizione per grande orchestra e coro di voci miste.
La Missa Populi di Giusto Pio (il Cd, prodotto da Artis Record) è una messa, centro e radice della vita interiore, che presenta l’intero ordinario, dal Kyrie all’Agnus Dei, nel testo latino, con l’intento di immergere l’ascoltatore nel mistero della liturgia. L’autore sembra si sia accostato alla composizione recitando la preghiera di sant’Ambrogio: «Ad mensam dolcissimi convivii tui… alla mensa del tuo dolcissimo convito, o pio Signore Gesù Cristo, io, peccatore e privo di meriti, mi accosto tremante, solo confidando nella tua misericordia e bontà».
La Missa Populi è innanzitutto la messa della gente, dei fedeli, della Chiesa pellegrina, che si rivolge al Signore con semplicità, senza artificiose solennità musicali o arditezze armoniche. La liturgia della parola non tollera neppure la semplice linea melodica del «cantus planus monodico e si affida soltanto al recitativo del coro. Le parole, cosi, non disturbate dalla dittatura della melodia, che le costringerebbe a irreali vocalizzazioni o le dissolverebbe in insensate sillabazioni, giungono chiare all’ascoltatore, che ne comprende il significato e può unirsi alla preghiera. L’impegno comositivo di Giusto Pio si concentra sulla metrica, sulla dinamica e sulla coralità raggiungendo una declamazione vocale di grande drammaticità. L’incedere latineggiante, senza alcuna retorica solennità che mal si concilierebbe con la contrizione del penitente, che invoca la misericordia di Dio, del Kyrie, esplode nel Gloria urlato con gioia al culmine di una marcia che scandisce il recitativo di vittoria in un crescendo di entusiasmo: Iaudamus te, benedicimus te, adoramus te, glorificamus te. Il Credo, scandito come una parola d’ordine da manifestare in piazza: credo-inùmùmDèumPàtrem-omnipòténtem, evolve in un recitativo sinfonico, che si interrompe bruscamente, passus et sepùltus est, per poi crescere in intensità e vigore fino al Sanctus, separato dal Benedictus da un intervallo di grande suggestione sonora scandito dal suono originale di una stella Pulsar registrato l’11 marzo 1992, e concludersi con l’Agnus Dei invocato quasi disperatamente prima di rasserenarsi nella litania finale.
L’orchestra non tenta la folle impresa di calare il testo nei suoni, ma preferisce introdurre, accompagnare, congedare le preghiere senza costituire una posticcia colonna sonora, ma creando atmosfere spirituali. Così Giusto Pio realizza una felice combinazione di rudezza arcaica di raffinata ricerca sonora, che conferisce alla composizione una carica religiosa di straordinario vigore: una vera e propria testimonianza di fede.
La dedica a Sua Santità Giovanni Paolo II non appare di maniera, ma indica una sincera ispirazione che Giusto Pio ha tratto da un Papa, che il compositore, come egli stesso ci ha confidato, ammira per la capacità di infondere speranza, amando la vita e combattendo contro ogni tentativo di mortificarla.