GIUSTO
PIO, UN VIOLINO PIENO DI WATT: dal Conservatorio al Palasport

A
cinquant’anni suonati il maestro ha abbandonato la carriera concertistica e
gli studi sugli
strumenti
medievali per diventare collaboratore di Franco Battiato e sperimentare le più
avanzate innovazioni musicali.
Conosco il
tipo. Giusto Pio è l’uno di quegli
uomini che, forse per non aver mai voluto troppo, hanno avuto dalla vita tutto
quello che volevano. Nei loro occhi, perciò, c’è sempre un’espressione
di fanciullo: serena, gioiosa, divertita. Non ingenua, però. Anzi. In fondo a
quegli occhi par di intuire, a tratti, un guizzo sottile di ironia. A chi
riserva, Giusto Pio, la sua ironia?
Alle ragazzine che lo fermano per strada, gli chiedono l’autografo, lo
baciano sulla guancia, gli gridano «sei forte!», ignorando disinvoltamente
che per loro potrebbe essere padre o quasi. nonno? Al giornalista che lo
intervista adesso che si è buttato sul leggero, dopo aver ignorato i suoi
trent’anni di onorata carriera come vice primo violino nell’Orchestra
ritmico - sinfonica della Rai di Milano?
A Battiato,
che cercava, sette anni fa, un insegnante di violino e che ha trovato, invece,
un imprevedibile uomo-spettacolo formidabile spalla (e forse anche qualcosa di
più) al suo successo di oggi? Oppure a se stesso, che dopo trent’anni di frac
indossato a beneficio di poche centinaia di persone, ora suona in borghese,
maglietta e calzoni, per un pubblico di migliaia e migliaia di entusiasti
spettatori, ma che ha sbagliato completamente “travestimento” e che con la
sua normalità salta all’occhio, in mezzo a quelle zazzere, a quei jeans
borchiati, a quei colori violenti, più di uno scassinatore al ballo annuale
della polizia?
Giusto
Pio, a sentir lui, non è
ironico con nessuno: «Tutt’al più, forse, un po’ distaccato. Ma non
sempre. Ogni tanto faccio come il pittore, che si allontana di un passo dal
cavalletto per avere una visione dell’insieme della tela. Cerco, insomma, di
non immergermi totalmente nell’esperienza che sto vivendo, di non montarmi
la testa».
Non ci sono
dubbi, su questo. Conosco il tipo. Origini contadine le abbiamo tutti, più o
meno lontane: è nella storia dell’uomo. Per alcuni più evidenti, per altri
meno, a prescindere dal censo degli antenati più vicini. Non ho pensato a
chiedere a Giusto Pio, e ora me ne
dispiace, che cosa facessero il padre e il nonno. Ma se anche erano nobili,
notabili e contabili, in lui ci sono le stimmate inequivocabili
dell’agricoltore: dolce parlata veneta, avveduta prudenza, illuminato
pragmatismo, solida concretezza.
Eppure un uomo
così quadrato ha trovato il coraggio, la forza d’animo, lo slancio per
ricominciare da capo a 57 anni, per
voltare le spalle a una carriera, a un’esperienza, per tentarne di
completamente nuove, e questo a un età nella quale, di solito, non si ha altro
pensiero che quello di calcolare l’importo della pensione in arrivo...
«Io non ho
voltato le spalle a niente. Ho cercato una nuova carriera e una nuova esperienza
senza rinnegare quelle vecchie; al contrario facendone tesoro. Nelle cose che
faccio adesso ci sono tutta la tecnica e la creatività acquisite in
trent’anni di attività concertistica. Inoltre non ho iniziato, con Battiato,
un discorso nuovo: porto semplicemente avanti quello sulla sperimentazione
musicale che faccio da sempre. La differenza è soltanto che, prima, coniugavo
il verbo sperimentare al passato, dedicandomi a strumenti medievali come la
ribeca, la viella e la lira da braccio, mentre adesso sono in piena
fantascienza, nel campo della musica elettronica, delle sonorità futuribili».
Da quando ha
lasciato l’Orchestra della Rai per affìancare Battiato, il professor Pio
non ha più avuto contatti con il suo vecchio ambiente? E come lo giudicano, gli
ex colleghi? Un matto? Un traditore? Uno che si è venduto? O magari, invece, lo
invidiano?
«Sono ancora
a contatto con il vecchio ambiente se non altro perché il primo violino, Giuseppe
Magnani, è mio vicino di casa. Quanto al resto, la stima costruita in
trent’anni di colleganza non può certo essere distrutta dal fatto che ho
cambiato squadra. I colleghi sanno con quanta serietà e professionalità
lavoro, quale che sia lo spartito. E non credo, soprattutto, che nessuno di loro
m’invidi. E vero che la mia attuale attività rende di più, molto di più
(anche se non i miliardi che certi giornali ipotizzano) di quella
concertistico - sinfonica, ma è vero anche che chi si dedica alla musica
classica ha rinunciato in partenza ad arricchire».
Lei, invece...
«Invece
niente. Anche se non nuotavo nell’oro, problemi di danaro non ne avevo neppure
prima. Ho la mia casa, due figli grandi, una moglie con la quale vivo felice da
31 anni e che si è sempre accontentata di quello, tanto o poco, che potevo
offrirle. Ho imboccato la nuova strada soltanto perché mi interessava
professionalmente Il fatto che essa renda di più è piacevole, ma del tutto
casuale».
Le parole,
riportate sulla carta, svisano il tono della conversazione, che sembra
aggressivo mentre invece è pacato, discorsivo, decisamente amichevole. Giusto
Pio ha semmai l’aria di studiare chi lo intervista o, chissà, di studiare
se stesso nei panni dell’intervistato. Il distacco, ancora una volta. O
l’ironia?
Dal punto di
vista tecnico, Giusto Pio non ha forse
imboccato una strada senza ritorno? Le dita, intendo dire, potrebbero tornare
adesso, dopo sette anni di musica elettronica, ai delicati ricami sulla
tastiera, ai virtuosismi dello strumento acustico? E l’orecchio, bombardato
dalle migliaia di watt degli amplificatori, conserva la sensibilità
necessaria?
“Non c’è
poi una grande differenza, nella digitazione; non tanta, comunque, da
annullare gli effetti di più di quarant’anni di pratica, tra scuola e
professione. Quanto all’orecchio, le migliaia di watt sono per il pubblico. A
noi, sul palcoscenico, alle spalle delle casse acustiche, ne arriva soltanto una
piccolissima parte. Forse, comunque, per riprendere l’attività in
un’orchestra sinfonica avrei bisogno di un po’ di allenamento».
A domande
cretine, risposte del tutto immeritatamente cortesi, esaurienti, con anche il
contentino finale, tanto per farmi sentire un po’ meno stupido. Giusto Pio ha
capito di avere di fronte a sé un incompetente globale, ma non lo fa pesare:
dev’essere una situazione abbastanza consueta, per lui, da qualche anno a
questa parte. Conosco il tipo: disponibile, affabile, innamorato e competente
del suo lavoro al punto da credere che tutti lo amino e ne capiscano come
lui. Ma quei suoi piccoli occhi ridenti, irraggiati di rughe, guardano da
lontano, con distacco. O con ironia? No, tutto sommato il tipo non lo conosco
affatto.
Sandro Sandri