Sperduti
in vasti silenzi
POESIE
AD ANTONIN ARTAUD
Conosco il tuo
male,
piccolo Poeta Celeste,
piccolo dio impotente
che
t'ingegni come puoi
a fermare il
fiume con le mani
affinché nelle mani rimanga
almeno una
goccia.
Che
cospargi a piene mani
gemme preziosissime
fatte di nulla.
Che amplifichi
l'urlo
della mente
attendendone l'impossibile eco
dal fondo
per
non saperla
un baratro.
I POETI
Appollaiati su
lunghi
esilissimi rami
di fico - i più alti
per
sentirsi più vicini
al cielo -
le
fronti avvolte da pezze
a mo' di turbante
-
incredibilmente in bilico -
i poeti talvolta
tentano voli a
liane sospesi
intrecciate
dalla loro
fantasia, tal altra
imitano il canto dei passeri
fingendosi
santi, oppure
tentano d'incantare
innocue bisce
che
neanche li cacano
e incuranti,
sgusciano via.
Comunque sempre
al mattino si prostrano
in lunghi
salamelecchi al sole.
INSANE ALGHE
Sono fatto di
pane
e cipolla. Porto in me
i tuberi
insignificanti
della terra
e l'umore
vischioso
delle lumache. Le foglie
quasi marce della vite
quando la
vendemmia è stata fatta
e la vigna è spoglia.
Sono stato
la serpe nera
che
s'attorciglia
timorosa
di tridenti e
passi
d'uomini.
Sono
stato il fondo
nero d'un pozzo
dimenticato che coltiva
insane alghe sul fondo
e strani
insetti
dalle lunghe
zampe in superficie.
Ho visto
indifferente
topi acquattati ricercare
i miei angoli bui.
Sono stato
l'albero dalle
arance
- poche ma incredibili -
che crescevano
accanto al
pozzo
seccato.
… ma il cielo
curvo è un vuoto,
le stanze bianche vuote,
stanze quadre
senza finestre
o cristi alle pareti
dove
gridavano tanti ragazzini
tutti figli di nn. Alla fine
del vicolo vi è la sabbia
con tante bottigliette
di plastica ammaccate sporche
di
catrame e dove cresce a ciuffi
una pianta spinosa che sembra
pomice.
Sono nato in una di quelle case, ricordo
il
bruciore ai piedi quando andavo
su quella sabbia
scalzo.
Ora la pianta è vecchia
ma
allora faceva fiori bianchi,
inutili, anch'essi spinosi e
crescevano
le agavi e sullo stelo altissimo
un fiore rosso. Mi domando
se la gente di
quelle parti lo sapesse.
Ma non so se allora vi fossero
degli
uomini perché
ricordo solo vesti al canale,
magre, piccole, chissà
di
che razza fossero.
E non parlavano mai.
ASPROMONTE
È la mattina
presto, l'aria
ha sapore d'Aspromonte, l'erba
dove saltavano microscopici grilli...
Io so che alcuni
luoghi, alcune cose
sono entrati a far parte di me
e
basta un niente
perché li senta e mi apra.
E quell'erba
fa
parte di tutto ciò, l'erba
di cui non conosco il nome
ma so che è importante.
Vi sono attimi
in cui mi è concesso
ritrovarmi, ed è sempre
l'ora fredda,
silenzi
sonnecchianti, l'erba,
ma non ricordo oltre.
Rimpiango le ispirazioni sprecate,
quelle venute per strada,
nell'ebbrezza
notturna, e taciute,
per paura di
dimenticarle.
La mia
importanza è quell'erba.
Ma non è un'erba, si arrampica
sulla terra e non ha radici.
Di me resterà
la pianta.
Nessuno saprà il suo nome.
Sarà
come un boato
e le case in rovina, grida
di
ragazzi che potrebbero essere
come i volti increati non ha
importanza
se dentro o fuori. Storie
di ragazzi ed ognuno ha
paura
per conto suo.
Il mio posto è solitario
ed immobile.
Vorrei svelarlo
a qualcuno ma la gente non capisce
l'importanza,
ed ha paura
dell'eternità. La gente
vuole morire.
LA VIGNA
La vigna,
immobile, i filari imperfetti
come nuvole, sparsi nel campo di
trifogli
ti sorprende con colori imprevisti
ed ha una favola
tutta sua
da raccontarti, silenziosamente, ogni volta
che la
ritrovi immobile, sperduta
nel cielo di trifogli.
Ha in serbo stupore di luce
tra
sottilissime venature di foglie,
mosaici policromi,
luce
di un mattino, preziosa ed incerta,
tepore caldo di disgelo
e trasparente
come una grazia di Dio.
La
collina distinta dalle sagome dei canneti,
le rotaie, il canneto
quando
la prima volta hai voluto vedere il cielo
dall'altra parte.
E il sole
che
non si dimentica di noi.
Solite stucchevoli foglie
che cadono.
Ottuse
malinconie d'autunno, nostalgie
di
giorni mai vissuti, sogni
di calure estive
tesi
a nascondere la tediosa afa
di un'arida estate
madida di sudore
e di polvere
e di emicranie.
Sonnolenza
di questo giorno di sole
che è solo sbattere di lenzuola
al vento
e
che riesce a darti
un'insana sensazione
di maturità.
ALGHE
Dopo i lunghi
giorni di penombra
esco dal mio eremo ed espongo
le
mie bianche nudità al sole.
Come un vecchio
ritrovo
verginità ed amori
dimenticati.
Seduto sugli scogli
lascio che le alghe intreccino
acquatiche
congiure ai miei piedi
ed il sole
scotti le mie spalle.
Brevi
grida d'uccelli
marini
popolano il mio sonno
ed i picchi altissimi
sulla
scogliera.
Il
sale si screpola e muore
sulla pelle. La sabbia
scivola dalle
dita e cadendo
forma cumuli
irregolari.
Così
vivo giorni
assolati e m'è compagno
il rosso fiore
dell'agave
e pigramente
mi lascio
morire. A sera
deliziose indigene
danzeranno per me
dove
l'onda cede.
AL
MIO AMORE
Quando vorrai
dirmi che mi ami
non dire: Ti voglio bene,
ma dì: Amo te.
Ma dillo piano
- in silenzio -
che non si
capisca
che è la prima volta
che lo dici.
E
perdonami se non griderò
o urlerò o ballerò
di
gioia quando lo dirai
ogni volta che lo dirai.
E quando vorrai
sapere se ti amo
non chiedermelo,
carezza
piano i miei occhi
e chiediti se potrei
non amarti.
E non dimenticare mai di dirlo:
Amo te.
Anche quando i
nostri capelli saranno
tutti bianchi, e le mie carezze
un po' stanche.
Anche quando il
tuo amore
lo leggerò ogni giorno
negli occhi di mio figlio
- verdi come i tuoi -
SARAI
Sarai
l'ultima
poesia,
il grido del gabbiano
che, ebbro di luce,
smarrita la
linea
fra cielo e mare
che lo guida,
s'invola nell'azzurro.
Sarai
l'ultimo raggio
che regala
inesprimibili bagliori
alle nuvole
prima di morire
aldilà del nulla.
Sarai
il
limitare chiaro,
aperto e trasparente,
del fiume
che
corre ad annegare
nel profondo mare
dove è dolce
anche
morire.
SOGNO
Vorrei il cuore
stanotte
come vela al vento
per
giungere
sul tuo sonno leggero
di bimba.
Sfiorarti
i capelli,
sfiorarti le labbra,
la tua pelle di luna,
la
stella tremula
sulla
fronte silenziosa.
Con passi leggeri,
di gnomo,
ascoltare ogni
tremito,
ogni respiro.
Cogliere
la luce lunare
e regalarla
su un piatto di
nuvole
al tuo sogno.
Stanotte.
PAOLA
Dio indiscreto
ti ho spiata,
ragazza. Sprofondato
nelle voragini
dei tuoi silenzi
nascosti malamente
da sorrisi
e parole. Letto
nella
ruga amara attorno alle labbra
la tua tremenda e faticosa
saggezza. Colto
il
ritmo dei tuoi giorni
senza tempo
come un sole dimenticato
nel
chiarore opaco d'un cielo
eguale. Intravisto
nel batter di ciglia
lieve improvviso
- come batter d'ali -
la tua pena segreta.
Avvertito
nel brivido
lieve
e taciuto
il
cruccio segreto
d'un amore tentato
e
implorato e odiato
come un dio.
Pescatore
di perle ho rubato
coralli e trasparenze
d'acqua chiara
- il tuo corpo -
e
grotte marine e conchiglie
e abissi.
Passante indiscreto
-
o forse solo distratto -
ti ho spiata
senza volerlo.
Sentita
tremare in un attimo
senza capire. Non sapevo
che il cielo fra i rami
fosse angoscioso.
Non sapevo i
tuoi occhi
come un cielo fra rami.
I tuoi – nostri -
silenzi
un boato.
ELI
Voglio liberare
l'animo per te,
possibile amore. Spezzare le catene,
liberarmi
dai rovi,
dal sottile fascino
del
muschio umido, dell'erba e della rugiada
dei ricordi che
t'impediscono
di volare. La crisalide
spezzerà l'involucro. Il bruco
avrà nausea delle sue zampe
vischiose e deciderà
di volare.
Inventerà la
sua fantasia
colori inauditi, fasci
di nuvole
saranno cavalli
d'incredibili praterie spazzate
da furiosi
tornadi, appariranno
spiagge
lunghissime ed oceani. Inventerà
il sapore acre del vento un
brivido
sulla pelle. Riscoprirà
una favola dimenticata.
E sceglierà l'universo.
Per un istante.
Per te.
Possibile amore.
L'ODORE DEL VENTO
Il campo dei
girasoli
alti
ed il cielo
dall'altra parte
sopra di noi
azzurro vuoto
e nuvole lontane
chiarissime
contro le colline
ultimo confine.
E
pareva il tempo si fermasse
attorno al tuo viso
dove era la luce.
E fiori bianchi
senza nome,
alti, che s'infrangevano
sul
muro e tu, bianco amore senza nome,
ragazza dai capelli rossi,
hai respirato
con me l'odore del vento
e pianto
per i mandorli che dovevano sfiorire.
ANNA
Siamo stati troppo orgogliosi
a voler credere
nell'eternità,
Anna. Dignitosamente
abbiamo
recitato le nostre parti,
poveri attori da circo,
senza
capire che il dramma
poteva fare a meno
anche di noi.
Non
abbiamo gridato
quando l'hanno cambiato
in una assurda
commedia
o quando il riso
ti
moriva sulle labbra,
in un gioco assurdo,
più grande di noi.
E non abbiamo
protestato
quando ci hanno affidato
una
parte che non era la nostra,
ma con caparbia rassegnazione
l'abbiamo accettata e vissuta
fino
in fondo, come fosse
la nostra, e qualche volta
vi
abbiamo perfino creduto ...
HO LASCIATO
(A
Giovanna)
Sono
salito su questo eremo
per ricordarti.
Qui tutto è profondità e silenzio
e tutto ha sapore d'eterno
e tutto è prospettiva e pace.
Ruderi
soleggiati coperti di rada
vegetazione come dune sabbiose,
grumi
bruni e sprazzi di verde
come un miracolo.
Sonorità acute ed invisibili
nascoste come
segreti, intravedute
fra i rami, verginità
ed innocenze
indifese,
fecondità ed esuberanza
religiosità e silenzio.
E tutto ha sapore di terra e di linfa
e
tutto è lontananza e parvenze e voli.
Ho lasciato case e strade
e
rumori incomprensibili e voci.
Sono venuto dove non sono
scale da salire o scendere
o porte da
sprangare ed uomini
dietro i vetri.
Lascio
insonnie, maturità
e crisi lunghissime
e foglie.
Lascio
amori non nati
o nati morti, amori dementi
o disperati e mura
parallele.
Lascio demoni
e gli incubi di mio padre.
Umidi rampicanti
saliranno ai miei piedi,
silenziosamente.
PIGRA LI RIASSETTERÀ
Qualcuno urlerà
nel buio, stanotte,
un lupo abbaierà alla luna
fino
all'alba. Scoprirà il mattino
la brina in incrostazioni
biancastre
sui rami rinsecchiti
ai margini del bosco.
Polvere di luce bagnerà
i capelli
dell'amore, delicatamente
traendola dal sogno.
Pigra li riassetterà
ignara.
VIALE
Sfiorarti le mani ossute,
salici sottili
imploranti
il vento, dita
graffianti il cielo
rabbiosi.
Naufragare dei ricordi
nell'azzurro degli occhi
come
cadavere
alla deriva d'un fiume.
Misurare
con te la
nausea
di foglie
marce sul marciapiede, salire
i
tuoi gradini
di legno tarlato, domandarsi
come farai a vedere
aldilà
del vecchio
nauseante con
cui farai
l'amore
un sogno.
NOTTI SENZA LUNA
Paure di capanne
sulla
spiaggia tra gli alberi
di cocco e le palme
altissime
contro l'azzurro. Poi
quando l'azzurro scomparirà
vedrai tra
gli alberi danzare
irresistibili pigmee
dai
corti seni inghirlandati.
Crederai di sognare
come un negro
ma
guardando la luna
livida scivolare
fra assurde nuvole umane
con
un brivido ti sveglierai ...
E gli alberi che spuntano
dalla
sabbia calda. Il serpente
che scivola sulla sabbia calda.
Il
nero serpente
a due teste
che nessuno ha mai visto
eccetto
un bambino. Poi
il bambino è morto
e
con lui il serpente. Ma quando il bambino
riappare
sulla
spiaggia nelle notti senza luna
anche il serpente riappare ...
SQUARCIO
Improvvisamente
s'aprono
canyons abissali,
sprofondano ripide pareti
rocciose
fino al fondo torrente,
lenti voli roteanti di condor
convergono.
Risorgono
dei incas,
stranamente danzando
trangugiano vino dalle
borracce
e, ripiegata la testa sul petto
ed incrociate
le gambe,
immobili fumano
pipe drogate.
Al fondo, oltre
le montagne rocciose,
contro un cielo incredibilmente chiaro
brilla un sole mille volte
più luminoso del sole.
Il tempo si ferma.
Immane
si staglia terribile.
FAVOLA
Più di mille anni fa
incontrai un
vecchio
dalla barba turchina
fino ai piedi
e dagli occhi di vetro
che,
buttato via il bastone,
saltellava sulla riva d'un fiume.
Sei
pazzo? - gli chiesi.
Il vecchio
ridendo
mi invitò a salire
sulla sua barca
e da allora
discendo la corrente.
VIAGGIO TERMINALE
Voci
luci spazio
- gratto il cemento con le mani -
Ed
ancora voci
assordanti assurde
incomprensili.
E ancora luce
tanta luce
troppa
luce
accecante
bianca dio
come bianca le palpebre
non resistono
a tanta luce
e neanche le mani
davanti
agli occhi bisogna
strapparli
Lo spazio
mi uccide madonna
il ritmo
mi strazia dio
come pesa
LIMITI
Sfiorare
ogni
giorno
la pazzia.
Tenerla
ed affogarci
dentro
la notte
nell'urlo
soffocato
della mente
o nel suono
dei tamburi.
Raggiungere
il muro bianco
nella
nebbia ai limiti
della pista
per gli aerei
ed fili
che ruotano
fra alberi
immobili.
INTERIORA
Sto raccogliendo
con cura
la mia merda
e d'ora in poi
ho deciso
di non staccarmene.
A chi mi chiede saggezza
o mi
offre salvezza
ne darò poco
in cambio.
CANTILENA
Teoria
interminabile
d'insetti
s'accavallano i giorni.
Cerco
vanamente
nella mente
il senso.
I giorni.
Lurida estate, deserto.
Aria
irrespirabile.
Urla soffocate
strazianti.
Occhi di ghiaccio.
Mani
incrostate,
iene.
Sogno di savane,
liane.
Groviglio di vermi
i pensieri.
AD ONORIO
Voglio parlare
di Te, Onorio,
Dio incontrato in manicomio
- ed io demente a
pensare
di trovarti nei meandri
della mia mente
malata -
Dirti che credo
nei tuoi mille
cieli colorati.
Dirti che credo
che fra due
notti avrò la tua Bibbia.
Ti ringrazio
dei mille Dei
che hai creato per noi.
Ti ringrazio
d'avermi portato
nei tuoi cieli
colorati, d'avermi svelato
che non è più la terra
a girare attorno
al sole, ma è ormai
il Sole che gira attorno alla terra.
D'avermi fatto conoscere l'immensità
della mia ignoranza,
io che neanche Ti conoscevo
o misericordioso Onorio D'Arba,
e
non conoscevo nessuno
dei seicento milioni di Onorio.
E non conoscevo Gesù di Betlemme,
Tuo Figlio.
Perdonaci se ti abbiamo crocifisso
solo due giorni fa.
E ritorna ancora con noi
domani,
GIANNI
Quanti di noi
ti ricorderanno,
Gianni.
Te ne sei andato d'inverno
in modo la tua morte
sembrasse
meno assurda,
senza bestemmiare.
A noi hai lasciato la rabbia
di
sapere inutili
le nostre bestemmie.
INNO
PROLETARIO
Potente Iddio
noi ti adoriamo.
Tu
che esalti la fantasia in giochi sfrenati
noi
ti adoriamo.
Tu
che ci regali una pace di zolfo e di follia
noi
ti adoriamo.
E fiumi di merda e capitalisti con la pancia
senza fondo
noi ti adoriamo.
Tu che vegli nelle nostri notti
insonni
e ci entri nelle vene
dall'ago della siringa
arrugginita
noi ti adoriamo.
Potente Iddio
noi ti adoriamo
per le nostre figlie prostitute
e le nostri
madri sfatte.
Per i nostri
padri impotenti e burberi
che non ti conobbero.
noi ti adoriamo.
Per le loro bestemmie a mezzalingua
con tre litri di vino addosso
noi ti adoriamo.
Per le nostre bestemmie
che
non riuscivano
mai a colpire
noi
ti adoriamo.
E le loro botte per aducarci ad adorarti
noi ti adoriamo.
Potente Iddio
noi ti ringraziamo
per tutte le giaculatorie recitate, i cordoni baciati,
le mani umidicce, piene d'anelli.
noi ti ringraziamo
per i tramonti e il sole e la pioggia che ci infradicia.
noi ti ringraziamo
per le nostre reti leggere e la
ferrovia
e le nostre baracche di eterni
terremotati
e le nostre vecchie eternamente
vestite
a lutto
ed i loro saggi silenzi...
noi ti ringraziamo
del nostro pane
azimo quando c'è;
della buona maledetta terra
coltivata
a sassi
e del nostro sudore.
Della fabbrica, la miniera, le mani di grasso, la silicosi
e della nostra rabbia
scoppiata in corpo.
Per la scoliosi di Teresa.
Per l'indifferenza degli altri. Per lo sventurato amore
- piu' grande di Te -
di due nanerottole mostruose in una
corsia d'ospedale.
Per tutte le tue creature
ma sopratutto
per i pidocchi ed i vermi
solitari.
noi
ti ringraziamo
per la nostra pelle
nera
per la Coca Cola
le vetrine e generali
i manganelli, le pallottole e le sbarre
dei manicomi
e il cazzo
del padrone
e la lib&rtà
grazie
signore iddio grazie
di suicidarci.
L'OMBRA
Non ho voglia
di parlare di luce o di amore.
Non ho voglia
di morire al mattino
annegare
nel pallore diffuso dell'alba.
Non ho voglia
di correre
per spiagge impossibili verso il mattino
d'un nuovo giorno sempre uguale.
Aspettare sempre. Rincorrere
la tua ombra.
Mi sveglierò un mattino – l'ultimo -
in un oceano di luce bianca
- le case e le
strade deserte-
e non ci sarà più l'ombra.
VAGHEREMO
Vagheremo
ombre di noi stessi
per miopi strade affollate
da
ombre multicolori,
fedeli guardiani di rimpianti
aspettando
un vento freddo
a scuoterci.
I lunghi fremiti dell'orologio
scandiranno i
passi.
L'amore non ci sarà.
QUATTRO TAVOLE
Quattro tavole
ove non entri luce
e voci roche
e non ti
preoccupi
di sprangare la porta
per la notte.
Quattro tavole senza porte
o
finestre e un'urna
di vento
dalle bianche pareti.
ORA
Ora che morire
è incanto vano
- luce stanca
dalla polvere dei vetri -
È uscire dalla porta di casa
a
comprare il giornale
all'edicola accanto.
Ora che morire
è salire la
scala
dell'abitudine
e l'indomani è
solo rumore
di foglie,
mucchi troppo
grandi
che il vento scoprira'
nudi...
( l'uomo in tuta
non
vedrà le mani,
bianche,
e passerà)
Ora morire
non è luce
che ti muore
sulle ciglia
- luce stanca
dalla polvere
dei vetri -
o solo un po' di freddo sulle guance.
Ora morire
è l'abitudine.
FOGLIE
Delusione
di un'eternità
troppo lunga
a passare nel vago vocio
di sentimenti,
tra albe di luce incerta e piccole cose
di cui si è
dimenticato il senso.
Svegliarsi un mattino per scoprire
che
potresti anche andartene
e non ti farebbe male
e scoprire
che lo attendevi.
Svegliarsi per
scoprire
che non t'importa nulla
d'un amore
finito.
COME IN ROSARIO
Come in rosario
si sgranano i giorni.
Della rossa melagrana
resterà
l'involucro rinsecchito.
Avremo dimenticato
l'urlo del
vento, l'onda
frangersi sugli scogli
in rivoli bianchi.
Il vento freddo
sulle carni
che si amano.
Come in rosario.
QUANDO
Quando vorrai parlare
e la tua bocca resterà aperta
stupita dello stri dulo suono
atteggiata
quando il tramonto greve e racchiuso
muto si
tramuta in orbite cave
gialle sul fondo come zampe
di gallina
quando le parole
stagnano
putrescenti come grumo
schifoso che è stato aborto
o gabbiano
avvelenato
allora la tua
morte
può anche venire.
SPERDUTI IN
VASTI SILENZI
Ci ritroveremo
un giorno
SOLI
oltre le distese
di dune desertiche,
spazzate da venti immemori,
percorse da
guaiti lontani,
laceranti, di branchi di lupi.
Oltre gli
sterpi e i licheni
e le acque
stagnanti, palustri,
oltre i bagliori accecanti
di masse di icebergs
alla deriva,
sperduti in
vasti silenzi
densi come nebbia.
Ci aggireremo smarriti fantasmi
paurosi di contatti
con altre mani o volti
che, creduti familiari, ci apparissero
improvvisamente
MUTI.
Scuoteremo
impossibili sbarre
ai margini del nulla.
AMORE OLTRE
Compagna di
solitudine,
diviso da un muro
il nostro cammino
parallelo.
Senza un brivido
il nostro impossibile
amore o una
carezza.
Pianto senza lacrime
il tuo sorriso.
Vana cosa nel buio
i tuoi occhi.
Il tuo dolore
bianca agonia di deriva.
Non il fremito indeciso
d'un contatto,
non un barlume, una luce
sulle
ciglia stanche.
Solo un brivido freddo
e lontano.
Silenzio di
roccia
invano gridato
il tuo cielo.
Il tuo amore
il silenzio.
ATTESA
Ti aspetto
come
terra
la pioggia.
Ti aspetto
come
vendemmia
la vigna,
come fiamma
la
legna.
Ti
aspetto
e ti cerco
come eco
la
voce
come ombra
la
luce
come luce
la notte.
LE TUE LABBRA
Martoriate dal
tempo
levigate dai giorni
avvizzite
strette dai
rimorsi
di mille
parole non dette
le tue labbra
mi tornano
in mente. E vorrei
le mie dita
come rugiada
a schiudere il fiore
e finalmente
udire.
SILENZI
Quante sono state
le parole non dette
fra noi?
Gli
sguardi
celati.
Le
promesse
tradite.
Le carezze
negate.
Abbiamo fatto
della nostra vita
una cella,
del nostro amore
un rimprovero.
E le lacrime
frenate,
i rimproveri
non dati, le
lunghe
attese.
Forse
sarebbe bastato
il coraggio
di vivere.
COME MORTE
A volte penso
che ciò che ho
potuto capire
di te
sia stato
un fruscio d'ali, il passo
d'uno sconosciuto
oltre la porta
che quando la schiudi
per sapere
è già oltre.
A volte penso
tu mi abbia
passato
accanto
come la morte
leggera, scalza
senza far rumore
ed io che ti
attendevo,
io che pregavo
per la tua venuta,
come la morte
non ti ho sentita.
NON CANTO UDRESTI
Dunque vuoi che
io canti
per te, donna.
Vuoi che apra il
mio cuore
come scrigno
e lasci volar via la colomba
dei sentimenti.
Non colomba, ma falco
volerebbe
amore mio.
Il rapace che
ruba il sonno
alle mie notti
dal desiderio di te
e non s'acqueta
se lo sazi
ma cresce
a dismisura.
Dunque vuoi
dalle mie labbra voli
canto di malinconia
che ammanti di dolcezza la notte
e regali luce alle stelle.
Non canto udresti, amore mio,
ma ruggito,
urlo soffocato, gemito
o forse solo
vento
in una gallera.
Avrebbe il tuo
cuore
un sussulto
e, sgomento,
volerebbe via.
CORPO DI DONNA
Per una volta
lascia che il
mio canto non voli
ma si fermi.
Non aquila o
farfalla
ma senz'ali.
Per una volta
lascia che non
parli
di stelle
o di rugiada, lascia l'universo
si
perda nella notte
e non mi curi.
Per una vola
io canterò di
te:
corpo donna,
bianca collina
dolce terra
dove infinitamente
rinasci
e muori.
Per una volta
io canterò di te
mia prateria
mio campo di granturco
mio pane e
miele.
Ma lascia ch'io
ne canti
non poeta
ma pittore.
Non poeta lo rivesta
di perle e
seta
ma pittore lo renda
alla sua luce.
Fabbro lo forgi
alla mia fiamma.
Contadino
lo solchi
col mio aratro.
Montagna
lo disseti
alla
mia fonte.
Per una volta
lascia che io canti
il tuo corpo
donna,
dolce e rude
io
lo sfiori
nella mente
ed i suoi misteri
ne assaporl,
mi
nutra
dei suoi
umori,
io beva
la rugiada e il miele
dei suoi
pori
e dolcemente mi perda
nei suoi
antri
scuri.
VERRAI
Amore, verrai
troppo tardi
o troppo presto.
Ci passeremo
accanto
senza conoscerci.
I miei occhi
guarderanno
dubbiosi tuoi
come l'accattone il passante,
un attimo, un
vuoto, un pentimento
come cielo fra i rami,
e passeranno.
PARADOSSO
La luce
ha disertato
il cielo
per andarsene morire
sulle ciglia.
Il vecchio
è uscito di casa
per andare a
disotterrare
la terra.
SOGNO DI UN SOGNO
Dicono
che fra le immense distese nevose
dell'Himalaja
gelosamente custodite al di fuori
della dimensione del reale
da tenue
coltre
di luce rosa azzurra,
dove il sole esiste solo
in
diretti raggi accecanti
sulle cime, nascosto
fra il verde umido immutabile
degli
abeti,
esista
in
una piccola radura dove l'erba
è piu'
chiara,
un piccolo tempio di vetro.
E non so se era
un solo stanco sacerdote
o una piccola schiera vestita
in tuniche chiare, trasparenti
come i loro corpi, ma so
che schierati immobili in cerchio
attorno all'altare cantavano
irresistibili litanie e lanciavano
altissime urla modulate, finché
nella piccola sfera di cristallo sospesa
sull'altare apparivano
immagini d'un loro sogno
collettivo.
E un giorno essi sognarono
un poeta
che li stesse sognando.
DISTILLA
Distilla
lentamente il cuore una favola amara:
c'era una volta un vecchio
che per scacciare la morte
le sorrideva.
REGALAMI
Amore,
se vuoi farmi un regalo
regalami un braciere
con del fuoco
dentro.
Regalami una ciotola di riso
condita delle tue
lacrime.
Regalami una ciocca di capelli
ed una goccia di
saliva.
Porrò la prima in una teca
e la seconda sulla mia ferita.
IL TUO RICORDO (A Franca)
Come
pigolio
minuto e stridulo
d'insetto
che canti l'universo
nella notte
le mie parole narrano di te
donna.
Ma dolce e triste
ed infinitamente
lontano
è il tuo ricordo
nella mente
che il pensiero
si smarrisce
ed allontana
come
onda su un lago
in superficie.
ATTESA
Ti
aspetto come terra
la pioggia.
Ti aspetto
come
vendemmia
la vigna
come fiamma
la
legna.
Ti aspetto
e ti cerco come eco
la voce
come
ombra la luce
Come luce
la notte.
LE TUE LABBRA
Martoriate
dal tempo,
levigate dai giorni
avvizzite,
strette dai
rimorsi
di mille
parole
non dette
le tue labbra
mi tornano
in
mente. E vorrei
le mie dita
come
rugiada a schiudere
il fiore
e, finalmente, udire.
COME LA MORTE
A volte penso
che
ciò che ho potuto capire
di te
sia
stato un fruscio d'ali, il passo
d'uno sconosciuto
oltre la porta
e
quando la schiudi
per sapere
è già oltre.
A volte penso
tu mi abbia passato accanto
come
la morte
leggera, scalza
senza far rumore
ed
io che ti attendevo,
io che pregavo
per
la tua venuta,
come la morte
non ti ho sentita.
VAGANDO
Vagando
d'inverno
per paesaggi desolati
giunsi infine
al mare.
Fischiava il vento
fra i canneti.
La roccia
dove
l'onda furente
moriva
scaglie
di luce
al cielo scagliava.
Era gonfio il cuore
come casa
immensa e vuota
sulla cima
della scogliera
abbandonata.
Fu verso sera
quando l'onda stanca
smette
il ruggito vano
e lenta si ritira
in spuma viola,
fu verso
sera
che la vidi.
Era
vera
e mi apparve luce.
Solo
gli occhi asciutti
aveva, per il pianger troppo
vano e
disperato.
Lei
che del mare aspettava
un vascello
o
forse incantate
sirene
non mi vide
e fu vano
il
parlare:
poiché non conosco
i sogni che nei tuoi occhi
il
mare
trascolora
ed un canto non so
che la mente
ti
catturi
io ruberò il tuo
cuore
nell'incavo
delle
mani
lo
farò pulsare,
lo nutrirò
di lacrime
ed eterno
ne
farò un altare.
RITORNI
(A Carmen)
Ora
che sono solo
con
me stesso,
mi sento
molto più umano,
perciò divino. La mia vita,
chiara,
mi
scorre nella mente come dovessi
morire stasera
alle 23 e 10.
Mi è chiaro
di
questa vita l'inizio,
un milione d'anni
fa, con mia moglie
che
mi si stringe addosso
e non mi da
fastidio la sua puzza
di
capra, ma l'adoro. E adoro
l suoi lunghissimi capelli
neri
che m'avvolgono
e scaldano e scacciano
le
paure in fondo al buoi, oltre la roccia
che sbarra la porta ai
mostri
della notte ed ai loro urli.
Morirò stanotte
alle 23 e 10
e
mia moglie – la stessa d'un milione
d'anni fa - mi morderà
la mano e coprirà
coi suoi capelli...
Lascio di me un
piccolo
messaggio in una bottiglia,
una poesia, una
stella
frantumata. Frammenti
d'una
divinità che mi sopravviverà,
barlumi
d'una divinità
intravista,
ma inenarrabile
come medusa che
la luce
disveli e sciolga. Ho amato
da morire
e questo basta. Talora
sono stato riamato.
Voglio divenire
la foglia marcia che nutrirà
la vite della prossima vendemmia.
Qualcuno, senza saperlo, berrà
il mio vino, come io ho bevuto
ai calici generosi
dei
padri che mi hanno preceduto,
ed amato e nutrito.
Qualcuno
bevendolo, scoprirà
che non era poi
così
difficile volare,
e l'insegnerà
a
qualcun altro, semplicemente,
con amore, poco prima di partire
o, forse,
di tornare.
PER UNA VOLTA LASCIAMELO DIRE
Adesso tornerai
ad essere Tu, mia Dea,
mia
ispiratrice, mia ammaliatrice.
Quella che dà corpo
e voce ai miei sogni
e sogni alla mia voce. Solo
da quando tu ci
sei, per incanto
la parola suona, vibra,
e fa capriole
che nessuno le ha insegnato mai.
Chi sei?
Sei più d'angelo. Sei
un'Anima
che vuole uscire,
stanca d'immenso
- d'un immenso vuoto -
che ha
deciso
di
bussare alla porta d’un uomo,
mortale, vecchio e fanciullo,
dove forse abita il dolore,
ma che t'ha riconosciuto.
Come non poteva,
se da una vita t’aspettava?
La senti la mia
gioia?
Senti come l'animo
gorgoglia e freme senza tregua
e
zampilla e rumoreggia come ruscello
appena nato, curioso
di
scoprire il mondo.
Quante montagne
e fiumi conoscerà quel ruscello!
Lasciamelo dire,
almeno una volta.
Non ridere e non tremare.
Lo
griderò all'universo intero, come nessuno
ha fatto mai. Come se
avessi
la voce possente
di Nietzsche o l'angelica
bellezza di Rimbaud.
Supererò
entrambi. La mia voce
li farà vergognare e nascondersi,
e
morire d'invidia: loro, Dei,
al
cospetto d'un Dio più grande.
Amore.
INDICE
AD ANTONIN ARTAUD pag. 1
I POETI 2
INSANE ALGHE 3
MARINA 5
ASPROMONTE 7
LA VIGNA 9
AUTUNNO 10
ALGHE 11
AL MIO AMORE 13
SARAI 15
SOGNO 16
PAOLA 17
ELI 19
L'ODORE DEL VENTO 21
ANNA 22
HO LASCIATO 23
PIGRA LI RIASSETTERÀ 25
VIALE 26
NOTTI SENZA LUNA 27
SQUARCIO 29
FAVOLA 30
VIAGGIO TERMINALE 31
LIMITI 32
INTERIORA 33
CANTILENA 34
AD ONORIO 35
GIANNI 37
INNO PROLETARIO 38
L'OMBRA 41
VAGHEREMO 42
QUATTRO TAVOLE 43
ORA 44
FOGLIE 46
COME IN ROSARIO 47
QUANDO 48
SPERDUTI IN VASTI SILENZI 49
AMORE OLTRE 50
ATTESA 52
LE TUE LABBRA 53
SILENZI 54
COME LA MORTE 55
NON CANTO UDRESTI 56
CORPO DI DONNA 58
VERRAI 61
PARADOSSO 62
SOGNO DI UN SOGNO 63
DISTILLA 65
REGALAMI 66
IL TUO RICORDO 67
ATTESA 68
LE TUE LABBRA 69
COME LA MORTE 70
VAGANDO 71
RITORNI 74
PER UNA VOLTA LASCIAMELO DIRE 77
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