RICERCHE

 

Nel periodo del ritrovamento della mummia di Similau si cominciò ad interessarsi maggiormente a quella parte della preistoria del nostro paese nella quale l’ homo sapiens stava prendendo sempre più coscienza di sé stesso e si stava modificando da cacciatore raccoglitore e quindi nomade, in uomo coltivatore della terra, ancora cacciatore, ma stanziale ed anche difensore del suo territorio e del suo villaggio. Così ora al concetto di tribù nomade si aggiunge anche l’idea del luogo fisso dove questa vive, caccia e coltiva il territorio, cioè dove è situato l’habitat delle famiglie, il villaggio appunto. Per studiare ciò, oggi la tecnologia satellitare, ci da una mano importantissima poiché monitorando un territorio da un certo satellite e fotografando da esso una zona per quadratini di mezzo ettaro ciascuno, si può conoscere l’esatta orografia della zona prescelta ed attraverso lo studio dei monticelli di terra (i cosiddetti Tell) capire se questi sono dovuti ad eventi naturali, oppure sono opera dell’uomo, in questo caso si andrà a scavare solo in quelle parti di zone che manifestano le succitate caratteristiche. Così fu provveduto a studiare con maggior interesse la zona alpina dove era stato fatto il ritrovamento ed una spedizione statunitense si mise in contatto con il CNR italiano e le rispettive facoltà universitarie di antropologia per coordinare ed organizzare le ricerche.

Dalla facoltà di scienze naturali dell’università di Atlanta in Georgia venne una squadra capitanata da un antropologo del luogo, certo Dr Burt Madduch, uomo sulla quarantina di grande cultura e del suo staff composto da otto persone suoi collaboratori, da parte italiana c’era l’appoggio logistico e la segreteria, nella persona della D.ssa ArIa Clapi che già avendo lavorato negli stati uniti, palava benissimo la loro lingua e conosceva perfettamente i loro metodi di lavoro, coadiuvata da sei tecnici esperti in ritrovamenti archeologici delle nostre università.

Tutti stavano aspettando che le foto venissero sviluppate ed analizzate, ora che nel frattempo era già stato montato il campo base e sul posto già stavano i materiali speciali per gli scavi ed il trasporto della terra. La gente nei momenti liberi si dava da fare con escursioni e passeggiate per quelle zone delle alpi altoatesine che sono fra le più belle del mond, Burt Arla e due allievi ricercatori di Bolzano, Karl e Gunter amavano intrattenersi per le stuben del posto a bere birra Forst e mangiare wusters mit senf’ nonché a gustare le meravigliose torte con mirtilli e panna che ogni donna delle malghe sapeva cucinare con maestria millenaria e sovente si allontanavano verso i pascoli più alti dove l’aria era più fina ed i mandriani più timidi, vuoi per il loro isolamento o per carattere, ma ospitali ed attenti ad ascoltare la gente di fuori e per la curiosità di raccontare della loro cultura e delle loro antiche tradizioni folcloristiche che comprendevano immancabilmente le storie più belle e più antiche sugli elfi e gli gnomi della montagne. Così mentre le donne mungevano le mucche, coglievano i frutti di bosco, facevano la pasta e la panna e la ricotta e il pane e le cose domestiche, in quelle loro capanne (masi) di tronchi d’albero che usavano per l’alpeggio estivo i loro uomini ed i quattro ricercatori si raccontavano a vicenda. I nostri sulla via del ritorno silenziosi e pii rimuginavano ciò che avevano appena udito ed incredibilmente il tempo era sparito, loro erano i fratelli di Ot e di Kula ArIa e Burt e Ann e Karlo erano i loro figli, si erano calati nel neolitico e senza accorgersene, prima di lasciare il sentiero del bosco, si ritrovarono meravigliati di provare simili sensazioni e di calzare scarpe, di vestire pantaloni e giubbotti di tela di avere al polso strani oggetti con simboli e righe che segnavano l’ora ma cosa è l’ora? Cosa è il tempo? dove vivono loro? Non sapendo bene cosa loro accadesse si abbracciarono a vicenda scambiandosi manifestazioni di affetto l’un l’altro restando in religioso silenzio incapaci di uscire da quella sensazione di sogno nella quale erano calati.

Rientrati non fecero parola con nessuno dell' accaduto credo che quella notte dormissero tutti male tanto i racconti erano stati intensi ArIa dopo mille rigiri nella branda si alzò, si mise addosso un accappatoio e dopo accesa una sigaretta cominciò a vergare su un blocco per appunti il succo di ciò che aveva udito quel pomeriggio. In una notte di luna piena in un tempo senza tempo, un elfo vagava per la fitta foresta ed una fanciulla col cuore pieno d’amore esce dalla capanna ed a piedi nudi si avvia al ruscello, la luna riflette il suo nastro argenteo sulle acque fresche e lei vi si immerge, l’elfo con le sembianze di un cervo la sta a guardare ma non può parlare perché non ha la parola scalcia e scuote la testa perché la visione è troppo bella, il cuore gli salta nel petto, il rumore insospettisce la ragazza che si volta di scatto ed esce dalle acque impaurita, ma il cervo anziché fuggire le tende il muso per annusarla, allora lei comincia a carezzargli il collo e poi le corna e poi il corpo. ll cervo che altro non è che un elfo delle montagne, scuote la testa e le lecca la mano che lo accarezza e le braccia nude poi i due si stendono sull’ erba fresca e si addormentano nell’incanto della natura e della magia della notte misteriosa. La mattina incontrando Burt, gli confessa di aver scritto qualcosa, di quelle storie che i montanari hanno narrato loro ma non riesce a collegare certi passaggi perché le sfugge il significato di alcuni vocaboli usati da loro in un tedesco abbastanza arcaico e per niente didattico ed anche lui confessa che pur avendo padronanza della loro lingua ha avuta l’impressione come se loro volessero a bella posta lasciare delle lacune, forse, con l’intento ingenuo di rendere il racconto più affascinante e misterioso. Visto che ancora non arrivavano le foto lasciarono che gli altri si dedicassero ai lavori logistici e loro quattro tornarono ancora sulla montagna portando anche del regali per quella gente cosi ospitale e con il segreto ed inconfessato intento di restare a dormire una notte nel loro maso. Per prima, trovarono la cognata del capoccia, Frida che stava lavando dei panni in una pozza di fusione delle nevi, dapprima arrossì timida ma quando vide il bel grembiule che le porgeva ArIa non seppe trattenere le lacrime e l’abbracciò con sincero affetto, ArIa restò con lei cercando dl imitare i gesti del lavare sulla pietra provocando sonore risate della donna poi fra donne si misero a parlottare ma è facile capire le richieste della donna voleva solo che ArIa le raccontasse della sua gente di come vivevano in America e di come si svolgessero i rapporti con i loro uomini e quali meraviglie avessero a disposizione Frida dal canto suo era una ragazza che sapeva leggere e scrivere aveva fatte le scuole dell’obbligo ma poi era sempre rimasta o sulle montagne oppure per qualche mese in paese e mal aveva vista dal vero una città, escluslone fatta per ciò che vedeva nei film, al cinema dl tanto in tanto. Gli altri avevano proseguita la salita fino a trovare il resto della famiglia intento alle quotidiane faccende e dopo aver consegnato a ciascuno il suo dono si misero davanti a del buon sidro fresco e con garbo fu loro chiesta ospitalità per la notte e che raccontassero ancora le loro storie degli elfi e degli gnomi.

Tutta la famiglia si meravigliò che persone istruite, adulte e che svolgevano un lavoro così interessante anche se loro non lo capivano, pareva perfettamente inutile godessero ad ascoltare quelle vecchie storie che oggi neppure i bambini più vispi vogliono udire. Fu il vecchio capoccia che fra una tirata di pipa e l’altra parlò loro per primo e raccontò di quando l’inverno avvolgeva le montagne e la vita si svolgeva solo nelle capanne un cacciatore di un villaggio molto più a nord uscì nella tormenta per cacciare qualche animale per la sua famiglia e si avventurò dove gli abeti cedono il terreno ai mughi e poi questi si fanno sempre più piccoli e più radi salendo qui sfinito si fece una buca nella neve e si apprestò ad attendere che un animale affamato come lui passasse nelle vicinanze per catturarlo la freccia incoccata sull’ arco l’occhio vigile e dopo molto tempo gli occhi erano doloranti e cominciò a sbatterli e fra un battere di ciglia ed un altro gli si presentò davanti uno gnomo proprio come quelle figure fatte dalle scorze di legno che vendono a Lienz o a Sterzig per i turisti. Gli chiese cosa facesse in quel luogo in una notte così fredda con una freccia incoccata nell’ arco. Dalla bocca dell’ uomo uscì solo un gemito per dire che lui cercava di sopravvivere a quel duro inverno solo per quello. Lo gnomo rispose che anche le creature che abitavano quei luoghi cercavano di sopravvivere per poi a primavera accoppiarsi e dare alle montagne nuove vite perché non scendeva più a valle verso il suo villaggio dove la neve era meno alta e la selvaggina più abbondante perché uno sfortunato andava ad uccidere chi lo era più di lui? Il nostro cacciatore rimase commosso dalle parole dello gnomo e fattosi giorno si incamminò sulla via del ritorno facendo tesoro di ciò che gli era stato detto, poche erano le forze rimastogli e quasi stava per cadere dalla stanchezza. Quando già si vedeva il fumo delle sue capanne inciampò in un oggetto duro sepolto dalla neve in principio credette essere un sasso ma ad un attento esame si accorse che era un piccolo di orso che spersosi nella tormenta era perito per la mancanza del latte materno lo raccolse lo portò con sé al villaggio e ringraziò lo gnomo per avergli fatta salvare una vita. I montanari risero della serietà con cui i nostri ricercatori avevano accolta la storia, dissero loro che era solo una delle tante con le quali addormentavano i loro bambini quando non volevano dormire. La verità era che fattasi notte era per tutti l’ora della nanna perché l’alba con le sue faccende da sbrigare sarebbe giunta da li a poco. I nostri ricercatori si avvolsero a loro volta nelle coltri che i montanari avevano loro assegnate e meno stanchi degli altri che a lungo avevano faticato tardarono a prendere sonno e nel limbo del dormiveglia rivissero ognuno a suo modo le vicende narrategli.

Burt che era molto rimasto impressionato dalla bellezza di Frida nel sogno la collegava all’ episodio dello gnomo e si trovava in una vera situazione di stallo non sapendo se baciarla o ignorare gli sguardi languidi che gli aveva lanciati per tutta la giornata in un caso sapeva fin troppo bene di tradire la fiducia di queste genti schiette e dall’altro il diavoletto del desiderio lo spingeva a tentare ma poi perché? Non riusciva a prendere sonno in questo dilemma dava la colpa al forte ronfare della famiglia stanca e si rivoltava di continuo poi preso sonno forse sognò ciò che aveva in mente o forse fu realtà perpetrata da uno gnomo a lui benevolo ma qualcosa di inconcepibile gli accadde: un corpo caldo e nudo era appiccicato a lui sotto il pesante piumone e si muoveva ritmicamente fino a farlo gemere, non voleva aprire gli occhi per paura che tutto svanisse e si addormentò profondamente, solo al momento di alzarsi, quando il mattino ancora non era dichiarato ma la famiglia si muoveva, silenziosa, per iniziare la giornata si accorse di essere tutto impiastricciato verso il basso ventre, si alzò di scatto ed usci per controllare meglio poi con l’ acqua gelida della pila si lavò ed andò a svegliare gli altri compagni che tutta la famiglia dei montanari era già uscita per i lavori solo la vecchia nonna mezza paralitica era vicina al fuoco e chiamandolo gli porse una ciotola di latte caldo con inzuppato del pane secco. Poi anche gli altri ebbero lo stesso trattamento e tutti uscirono per godere della fredda alba che illuminava un vero scenario da fiaba.

Fu a mezza mattina che la giovane e sua madre tornarono per accudire le faccende domestiche prima del rientro degli uomini e fu qui che Burt perse la ragione di se stesso perché madre e figlia gli si prodigarono attorno come due amanti premurose ed affettuose ognuna gli stessi gesti le stesse accortezze il medesimo sorriso enigmatico sulle labbra entrambe emanavano lo stesso afrore di carne viva imprigionata nel duro lavoro di quell’ambiente così estremo: ma allora era stato un sogno? oppure l’una o l’altra? Non ebbe per tutta la giornata il coraggio di confessare la cosa ai colleghi né di scandagliare le due donne quando gli uomini tornarono per uno spuntino a base di latte pane burro e marmellata di mirtilli furono contenti di trovarli ancora li ed il più vecchio cominciò a narrare una nuova storia di quelle vette mentre il figlio non staccava gli occhi dalla dottoressa

Fu un inverno rigido quell’anno raccontava il vecchio, ma ArIa non riusciva a sentire una sola parola era ipnotizzata dallo sguardo del giovane Claus alto magro biondo con la faccia rossa riarsa dal sole e quando la storia finì rimase come sospesa in aria una frase, chissà come sarà andata a finire la storia. In pomeriggio decisero di ridiscendere al campo con gran disappunto della famiglia che godeva della loro presenza, ma con la promessa di una prossima visita. Giunti che furono al campo vi trovarono grande movimento perché i rilievi attesi erano già sul tavolo e l’indomani mattina avrebbero iniziati i lavori per tracciare la zona di scavo.

La montagna con i suoi elfi e gnomi fu messa nel dimenticatoio e solo quando si cominciò a rilevare il perimetro di una capanna e da esso apparvero alcune suppellettili degli antichi abitanti Aria come in sogno rivide gli occhi azzurri di Claus ed ebbe una fitta al cuore stava per dirlo a Burt ma questi la precedette parlandole del vecchio e della sua famiglia tutta: dovevano in tuttj i modi tornare lassù, il prossimo fine settimana, per parlare con loro ed ascoltare ancora le storie dei monti oltre che raccontare loro come a valle si fosse rinvenuto un loro antico villaggio. Fu una settimana lunghissima di lavoro e di sorprese per la quantità di materiale rinvenuto ed i nostri quattro ad ogni estrazione sembravano consci di averlo già visto niente di ciò che rinvenivano a loro era estraneo.

Il sabato mattina pieni di regali per tutti si alzarono prestissimo e misero in cammino, usciti dal sentiero presero una scorciatoia che i montanari avevano loro insegnata e salirono tanto fino alla vetta della montagna, c’erano i pascoli la pila dell’acqua dove le donne avevano lavati i panni e riso insieme ma non c’erano né gli armenti, né il maso, né le persone. La montagna era integra e vergine, solo la pietra nel ruscello usata per lavare esisteva veramente, del resto nessuna traccia di vita, né cataste di legna, né panni ad asciugare al sole, né voci amiche solo il rumore del vento ed il calore del sole.

 

March 2004 by GIO

 

 

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