UNA BELLA FACCENDA

 

A quel tempo un viandante andava a piedi per contrade e villaggi e dove raccoglieva un tozzo di pane per limosina, dove faceva delle faccende e si meritava una ciotola di pappa e cacio con un gotto di vino ed un giaciglio per riposare le ossa la notte e dove gli venivano aizzati i cani, c’era da scegliere.

Quel giorno era per contrade toscane fra le colline della maremma ed il mare. Il sole era a picco sulla sua pelata, si era dissetato ad un rio ma la fame gli mordeva lo stomaco che imperterrito mugolava le sue ragioni, aveva sì sgranocchiate due carote, rincorso dai latrati di un botolo dì cane da guardia, ma era stato tutto inutile e su quel sentiero non c’era che polvere e tabernacoli di madonne ben pasciute col figlioletto in braccio, un sandalo andò ìn pezzi e fu obbligato a fermarsi per aggiustarlo sotto una quercia.

Strappati dei rametti di pioppo e sfilacciati nel modo giusto, gli dettero il materiale adatto per fame una trecciola e provvedere alla riparazione, mentre era intento nel lavoro si sentì alitare sul collo ed impaurito si voltò piano tanto piano che nel mentre la mucca, perché di una mucca si trattava, gli dette una bella leccata fetida sul collo, ma fu contento di ciò avendo nel suo io pensato a cose peggiori. Visto che l’animale era alquanto mansueto e proseguiva a brucare, lestamente si tolse dalla sacca delle sue cose una ciotola capace che sempre aveva seco e reggendola con una mano, con l’altra iniziò a titillare la grossa mammella ed a mungere l’animale fino a riempirne il recipiente, tracannò d’un fiato tutto il latte bello caldo e cremoso e si rimise a mungere per farsene un’ altra porzione e poi un’ altra ancora fino a rendere muto lo stomaco avido.

A questo punto il nostro eroe sazio e con i sandali pronti a partire preferì optare per una bella dormita. Si svegliò che era quasi sera perché un grande scalpiccio di passi e grida lo fecero sobbalzare,era una mandria di buoi che veniva ricondotta verso i recinti per la notte dai bravi butteri maremmani, lui si fece appresso e chiese alloggio per la notte in cambio di lavoro, il capo mandria dopo averlo squadrato per bene acconsentì purché lui lo aiutasse ad aver cura del suo cavallo e lo strigliasse a dovere e gli desse da bere e biada quanta bastava senza farlo strafogare poi soggiunse io sono padron Etrusco e non ammetto frodi tu chi sei? Io sono mastro Argenio da Subiaco, capace a ferrare cavalli e muli, per servirti Padrone. E così anche stasera avrò un tetto sulla testa ed un tocco di pane e cacio da mettere sotto i denti, pensò Argenio contento.

Era notte fonda quando ebbe finito le incombenze, ma su uno sgabello trovò una ciotola di brodo col pane raffermo da tuffarci dentro e su una foglia di fico un bel tocco di caciotta di manzo come non aveva mai sognato di mangiare, si coricò sul fieno sereno e contento pensando che era stata una buona giornata. Qando non era spuntata ancora l’alba tutti i butteri si stavano dando daffare per riportare il bestiame al pascolo, padron Etrusco controllò il cavallo e rivolto all’uomo ancora mezzo addormentato l’apostrofò: Argenio sei stato bravo se voi puoi restare anche oggi, ti occuperai delle faccende che ti comanderà la massaia che troverai al casale, ti farà tirare il collo a qualche gallina e faticare parecchio e quando al tramonto rientreremo col bestiame nei recinti ti occuperai del mio cavallo e sarai il mio stalliere per un po’,si mise a ridere e montato in sella e partì senza aspettare la risposta di Argenio. Il nostro mastro pensò a cosa potesse riferirsi quella risata ma non gli venne in mente niente, così s’incamminò verso una vecchia costruzione in pietra da cui uscivano schiamazzi di bambini e squittii di donne misti a latrati e rumori di animali domestici di ogni razza. Chiaramente la megera era stata già avvertita, perché appena lo vide spuntare dal porticato, l’apostrofò per nome e gli indicò una catasta di legna da tagliare lui annuì e la squadrò di sottecchi così vide quanto era grande e grossa né giovane né vecchia rubizza energica e di poche parole, per tutto il tempo che stette a menare l’ascia la sentì sbraitare comandi alle altre comari che evidentemente facevano parte delle famiglie dei mandriani e madri del nuvolo di ragazzini mezzi nudi che sbraitavano intorno e così si accorse d’essere l’unico uomo del casale. Quando la catasta di legna fu ridotta ad un monticino, una comare gli si avvicinò e gli porse con diffidenza una ciotola di farro e del pane fresco e profumato, lui cortese la ringraziò di tanta premura ed ella voltandosi gli rivolse la parola: allora non siete un marrano ma solo un bifolco come tutti noi? Sì io sono mastro Argento, pronto a servirla in ogni desiderio suo e delle sue compagne per tutto il tempo che gli uomini sono a pascolare il bestiame, poi faccio lo stalliere a disposizione. Oh no di certo, gli rispose, dopo vai dalla comare Agnese che ti ha comandato per la legna. L’Agnese capitolo quale, individuo giovane, robusto e nemmeno tanto zotico, dall’ accento forestiero, forse un po’ tardo di mente, ma pieno di bone parole e senza esser troppo ciarliero, abbordò la comare nel buio fra la cucina e la dispensa: morina un ti mettere grilli per la testa, sbraitò, perché anche se tu gli hai portata la sbobba e il pane con lui me la vedo io ci siamo ntesi?

Agenore finito di mangiare andò diligente in giro si, per cercare comare Agnese, ma anche per familiarizzare con l’ambiente e bracare un po’ fra le altre donne. Infatti è cosa comune che quando ci siano diverse donne, fanciullini piccoli, polli, pecore e cani e gatti, ma non uomini queste si muovono con estrema disinvoltura sia nel parlare che nel vestire e meglio ancora nello spogliarsi per lavaggi ed altri bisogni che comunemente in quelle campagne vengono soddisfatti in piena libertà all’aperto, così vide dove era la dispensa dove si appartavano nel caldo meriggio per un riposino al fresco, dove avevano le dimore e quali erano i luoghi più bui dell’ambiente. Fu proprio in uno di questi che inciampò sull’ Agnese che si era messa a dormire in quel corridoio per terra come le bestie solo con della paglia per giaciglio.

Così sui due piedi ci rimase male ma pronto le disse: comare la stavo cercando per rimettermi ai suoi desideri e lei di rimando con voce cavernosa e perentoria:parla piano cialtrone che svegli tutte le comari, vieni qui e sollazzami. Una presa così diretta il nostro mastro non se l’aspettava, mentre indugiava un poco la sentì ridere forte e poi che gli frugava sotto il camicione, perché lui non aveva brache e gli palpava le gioie con quelle manacce grosse e rustiche dai calli, fino a tirarlo sopra di lei e poi dentro di lei.

Agenore non aveva problemi in quel senso e pur di mangiare e dormire sotto un tetto avrebbe fatto questo ed altro solo che l’Agnese era un poco tanta e nemmeno molto pulita, comunque anche lui non olezzava di fiordaliso, ma l’orno è mastio e s’ha da prendere come è, ma la femmina prima di esser coperta un tuffo nella pila dell’acqua lo dovrebbe sempre fare anche perché a volte in certi periodi del mese la ci ha un frazio abbastanza rivoltante anche per un naso avvezzo alle fatte degli animali e per di più che spesso dorme nelle stalle specialmente per il verno che quivi è buona temperatura e asciutto.

Rimessosi a posto, l’Agnese gli puntò l’indice destro sul viso e lo ammonì a tacere con tutti dell’accaduto, pena la denuncia al capo mandria che come minimo l’avrebbe scorticato vivo con la frusta con cui domava i cavalli e poi ammansita gli disse sei stato bravo, ma ora bando alle ciance e vai a pulire l’ovile delle pecore e attento al montone perché lui è un tipo poco socievole e poi gira alla larga dalle altre comari o ti aizzo i mandriani tutti. Argenio obbedì e svolse tutte le cose comandategli, poi la sera rientrarono tutti gli uomini e lo invitarono a mangiar con loro, l’Agnese aveva dato buone referenze dell’uomo e tutti lo colmarono di attenzioni e lazzi come si conviene in una combriccola di uomini prendendolo in giro per la sua pelata e per il suo abito piuttosto malconcio e puzzolente poi ognuno a letto e lui ad accudire il cavallo del padrone.

Quest’andazzo andava avanti da qualche tempo, l’Argia moglie vedova del vaccaio più vecchio e quindi considerata l’unica a poterlo avvicinare in assenza degli uomini di casa,gli aveva portati abiti puliti e decenti e brache e calzari vecchi parecchio rimasti in casa dopo la morte dello sposo, ma sempre più adatti dei suoi sandali da francescano legati col salice e lo spago e poi tutti i giorni lo accudiva, a mezzogiorno in punto, come d’usanza contadina e campagnola, spesso nella sua ciotola non mancava un pezzo di ciccia o di pollo avanzo della cena precedente. L’Agnese gli dava le dritte per la giornata, ma lui riusciva sempre a farsele dare a distanza. Lei lo chiamava dall’aia e lui si faceva trovare in cima al fienile oppure nella cantina fonda dove lei non andava mai e dal corridoio buio non c’era mai ripassato perché, non gli era dispiaciuto l’accaduto del primo giorno, ma per un eventuale altra volta ci teneva ad avere lui l’iniziativa e portarla su un terreno migliore della terra del corridoio buio, poi c’era il fatto che l’Argia benché in età era di gran lunga più maneggevole di lei e gli pareva che frasi e sguardi promettessero molto bene. Le altre erano d’incerta riuscita la Marina era troppo giovane, la Corinna aveva uno sguardo che dava sul cattivo ed era sempre a litigare con tutte le altre, la Zita aveva un marito che pareva un armadio gigante che lo poteva stritolare con una mano sola e la Brunina non lo degnava mai né di sguardi né di parole. La cosa tuttavia non distraeva Argenio dalle sue faccende ed era contento di mangiare, lavorare e dormire in quella comunità di persone oneste, mentre i ragazzini gli erano sempre attorno e lui si faceva in quattro, da bravo falegname, a costruire loro carretti spade e scudi di legno per farli giocare ai pirat, ai briganti, ai crociati secondo le giornate e solo a volte mentre si appisolava sotto un albero fuori portata della comare e dalla ciurma infantile gli veniva in mente come potesse essere con l’una o con l’altra della famiglia.

Si immaginava di fare a ruzzoloni sull’erba con la Zita o a prendere dal dietro la Brunina o una tenzone con la Corinna dopo averla schiaffeggiate per bene alla Marina non pensava mai per la sua giovane età anche se era già una donna considerando i panni stesi una volta al mese all’ Agnese non pensava mai forse perché pensava che non ci sarebbero stati problemi con lei anzi doveva a volte inventarsi storie per evitarla ma lei aveva capito il soggetto ed allora faceva anche lei a rimpiattino conscia che una volta o l’altra l’avrebbe ghermito.

La stagione stava rinfrescando chissà se avrebbero avuto bisogno di lui in inverno doveva rigare diritto per non rischiare di essere scacciato e un giorno mentre l’Argia gli metteva sul tavolo un bel pezzo di arrosto d’agnello con pane e vino appena spillato dalla botte lo infornò che al mattino presto lei e L’Agnese erano state a lavarsi al fiume finché l’acqua fosse ancora calda dal sole e l’aveva sentita lamentarsi di lui che non si faceva mai trovare dove si pensava che fosse e poi che uomo è un uomo che nel pieno rigoglio della vita non cerca di concedersi svaghi con le donne?

E lei all’oscuro ma non troppo dell’accaduto perché altri evidentemente avevano dato ad Agnese ciò che bramava lo incitò velatamente a darsi daffare e lui senza un minimo di diplomazia e con parole semplici e chiare le confessò che era molto più eccitato da lei medesima piuttosto che dalla rozzezza della Agnese e non sapeva come avrebbe potuto ottemperare a ciò.

L’arguzia ed il comodo femminile gli dettero la soluzione al problema affinché lui potesse a suo piaci mento godersi l’inverno al coperto nutrito e vestito di tutto punto. Argenio ascolta me io è vero sono più anziana di te ma non credere di tanto è che io restai vedova qualche anno addietro e qui mi vogliono tutti bene ed io sto bene qui e non ho cercato di rifarmi uomo per rispetto a loro e con disappunto mio lasciando che pensino che sono veramente vecchia ma se ciò che mi hai detto è vero io ne sono lusingata e sono disposta per non perdere la tua presenza a concedermi a te ben volentieri di nascosto a tutti purché tu accetti di sacrificarti per me ad accontentare anche i capricci della comare e guadagnarti così il diritto a rimanere con noi pensaci.

Argenio si mise subito in moto e memore che quella stessa mattina l’acqua del ruscello aveva lavate le vecchie croste si mise alla ricerca di Agnese e trovatala la inchiodò su una pressa di paglia facendola gemere non gli importava se di piacere o di rabbia ma felice di sapere che poi con calma avrebbe avuto un premio lungo tutto un inverno.

bassa Toscana 1639

 

 

 

 

 

 

2004 by Giuliano Giorgetti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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