Katana

  

  

  

“Non piangere mio tesoro , per favore basta ora.”

Ero lì con  Paola, una dolce ragazza di 19 anni che avevo conosciuto qualche mese prima al pronto      soccorso di Udine, mentre si faceva curare contusioni multiple al volto ed al corpo, regalo del suo babbo ; un energumeno sempre ubriaco che al rientro in casa, dopo sbronze allucinanti, praticava lo sport del pestaggio:  entrava in camere da letto dove Paola e la madre si rifugiavano terrorizzate, e cominciava la

quotidiana razione di botte  a pugni e calci.

La polizia non poteva  nulla, così le avevano detto, perché la madre, completamente succube del delinquente schifoso, non solo non voleva denunciarlo, ma negava anche le botte. Paola era sola ed in difficoltà; frequentava l’ultimo anno di una scuola per cuochi e sperava davvero che il suo lavoro le avrebbe permesso di lasciare quella famiglia tanto dannata.

Ma ora il sogno stava per crollare; il padre dopo l’ultimo pestaggio , le aveva fratturato l’omero in 6 sei parti ,e avrebbe dovuto subire almeno quattro operazioni: addio al diploma e al sogno di divenire un' artista della cucina,dal momento che, a detta dei medici, il braccio destro avrebbe recuperato solo

il quindici per cento della sua funzionalità.Ma non era quella notizia che le avrebbe stroncato l’esistenza.

Il peggio era in agguato

Le venticinque gocce di valium cominciavano ad avere effetto in quel minuscolo e giovane corpo:forse ora,finalmente,  dopo la seconda operazione avrebbe riposato un po'.

La magistratura aveva fatto arrestare il padre, questa volta, ma l’avvocato non era ottimista: se la sarebbe cavata con un mesetto di carcere; poi, libero di tornare dalla moglie , sarebbe stato tranquillo per un paio di settimane ma poi avrebbe ricominciato.

Tutti sapevano, ormai ,dell’affetto che nutrivo per Paola ,che consideravo come un figlia, e in qualche modo si aspettavano che facessi qualcosa. In verità ero andato a parlare col padre ed eravamo quasi venuti alle mani, mentre mi ero lasciato scappare un poco prudente “ stai attento verme schifoso stai molto attento, ti ammazzo quanto è vero Dio!!”. E così mi ritrovo anche con una denuncia per minacce, mentre la rabbia sale come il vento di un uragano che sta per devastare ogni riva; già, la quiete prima della tempesta.Tutto si sarebbe fermato lì, credo, se le ultime analisi non avessero rivelato che Paola  era  contaminata dal virus dell’  AIDS;

Accertamenti erano stati dettati dalla rapida perdita di peso e dalle strane macchioline apparse sul collo della mia adorata. Il maledetto padre aveva frequentato una puttana  siero positiva e tossicodipendente senza prendere neanche un minimo di precauzioni: con l’ultimo pestaggio alle donne in casa si era ferito con un pugno contro la vetrina dei bicchieri e ,continuando imperterrito nel massacro, aveva mischiato il suo sangue con quello di Paola, che si era così ritrovata pestata e condannata ad una malattia senza  speranza.

Il mattino successivo alla visita a Paola in ospedale , il 26 giugno del 1987,feci una telefonata in uno sperduto paesino della campagna bretone. “Ciao Michel come stai? Si ho bisogno di te per un lavoretto”

“ Bien sur, mon ami” Rispose dall’altre parte una voce cordiale e rassicurante “ Allora sarò ad Udine alla tua cena del Rotary senz’altro dopodomani,  a presto “.

Avevo la solita cena prima delle vacanze con i soci del Rotary all’ Ambassador alla quale non potevo certo mancare, ero presidente della nostra sezione, anche se una idea mi frullava per la testa da qualche giorno. Tornai a casa , chiusi la porta, non aprii le imposte e mi diressi dritto in cantina; avvicinatomi al “solito” mattone della parete umida e sporca,lo girai con tranquillità : un pezzo di muro ruotò su se stesso lasciando apparire un piccolo ripostiglio. Dentro una vetrina che mia nonna mi  aveva regalato molti anni addietro la vidi ancora una volta: Impugnai il fodero e con un movimento uniforme e lento sfoderai la Katana, una spada dalla lama centenaria, usata dai samurai composta da 23 strati di metallo talmente taglienti da dividere in due,  senza difficoltà, un velo di seta cadente sopra il suo filo, affilatissimo

Tutto era pronto. Presi anche un vecchio contenitore in ferro a mo’ di cilindro con coperchio a pressione    che presentava attorno una serie di  fori dal diametro di una decina di centimetri; lo soppesai con un certo gelido piacere, lo riposi nel sacchetto di iuta, dello stesso tipo di quelliche avevano avvolto gli altri 12 contenitori, tutti eguali.

 

 

Il primo lo avevo comprato 15 anni prima da un marinaio mio amico che ritornava dai mari del Giappone dove ,imbarcato in una petroliera, amava arrotondare lo stipendio con chissà quanti altri traffici, più o meno, molto meno, leciti. Lui stesso mi aveva portato la spada da uno di quei viaggi.

Alle quattordici precise del 28 giugno  il Bepo, così era chiamato il padre di Paola, usci da carcere di Tolmezzo e si diresse subito a prendere un biglietto per il treno delle 23,00 che lo avrebbe condotto ad Udine; prima doveva andare a trovare degli amici  che abitavano  da quelle parti  che gli dovevano dei soldi, cosa che gli avrebbe permesso anche di farsi una bella bevuta.

Alle 19 passai a trovare Paola, in ospedale, stava un po’ meglio, era pallida e dimagrita ancora,ed altre due pustole risaltavano sulla parte sinistra del collo. Piangeva. Era preoccupata per la madre che l’aveva informata del ritorno del padre; le dissi di stare tranquilla.

Alle ventuno di quella stessa sera Michel varcò l’ingresso dell’hotel Ambassador in Udine, salutò Gianni il direttore, che l’ accolse e  fece strada verso la sala a loro riservata. Erano ottantanove commensali tutti

pronti per una succulenta cena ed a una serata elegante, allietata anche da una pianista che esordì con “Les feuilles mortes” Alle ventuno e trenta lo chef du rang esclamò :” signore e signori la cena ha inizio”. Il mio amico francese si sedette vicino ad una giovane coppia che partecipava per la prima volta al nostro incontro semestrale.

Alle ventiquattro il Bepo stava per rientrare in casa ubriaco fradicio, e già intonava lamenti incomprensibili e volgarità di ogni genere verso la moglie che lo stava aspettando in camera, paralizzata dal terrore. Girò l’angolo di via Castello e già poteva vedere l’uscio di casa sua quando  un bagliore improvviso baleno l’oscurità. Solo un leggero sibilo, ed un bruciore acuto gli prese la gola; tento invano di profferire  qualcosa che rimase lì sospesa e ,portandosi le mani alla gola, ecco l’incredibile: le

dita gli penetrarono con facilità all’interno del collo tra flutti di sangue che gli sgorgavano tutt’attorno. Ruotò di mezzo giro come per cercare aiuto e mi vide, fermo immobile ancora con la spada tra le mani esattamente a fine corsa di quell’arco che gli aveva mozzato di netto la testa. Mi guardò stupito , e mentre il corpo crollava di colpo a terra , feci appena in tempo ad afferrargli la testa per i capelli,: gli occhi ancora aperti  mi fissavano sbalorditi.” Buona serata  stronzo! Cos’è ti è caduta la lingua?”

gli sussurrai sorridendo. Aprii il contenitore di ferro, posai il macabro trofeo nel fondo, richiusi il

coperchio e lo misi nel sacchetto di iuta, ed il tutto in un sacco di nylon, nel portabagagli dell’auto presa a noleggio due giorni prima.

La serata volgeva al termine , la cena era stata veramente all’altezza di ogni aspettativa. Michel salutò i suoi ultimi ospiti e si diresse alla Porche Carrera 4 S nero antracite,parcheggiata vicino all’ingresso; girò  la chiave e il motore ruggì potente e regolare, innestò la prima e si avviò, ingoiando rapidamente, il vialetto all’uscita.

Fu con notevole fatica che riuscii a chiudere il corpo senza testa di quello che fu il Bepo, nel sacco di nylon che riposi, anche quello, nel comodo bagagliaio della Passat  Avant. Mi avviai verso nord e quando fui vicino a Tricesimno mi fermai , misi il sacco col corpo senza vita di quello stronzo in un cassonetto: all’indomani avrebbe fatto visita all’inceneritore provinciale. Ripresi con calma la tangenziale sud e mi diressi all’area di servizio Udine sud, parcheggiai al buio vicino ad una Porche nera, chiamai al cellulare

Michel che dentro al bar si stava scolando una birra ghiacciata, tranquillo come un gatto tra le braccia della padrona. Uscì dopo pochi secondi,ci abbracciammo al buio, in silenzio. Scambiammo le chiavi delle auto, ci stringemmo la mano con un calore familiare, e ci dirigemmo io verso casa e

lui , con la passat ed il sacchetto con la testa del Bepo, verso Genova, Ventimiglia e poi Montecarlo.

Maria ..aveva passato in bianco tutta la notte attendendo, quasi rassegnata il rientro del marito; all’alba del 29 giugno, usci e si diresse in chiesa alla S.Messa: non avrebbe avuto più notizie di lui, svanito nel nulla, con grande sollievo per lei e per Paola che sarebbe stata dimessa da lì qualche giorno, rincuorata dall’esito migliore degli ultimi esami clinici, ed entrambe avrebbero affrontato il futuro con nuova serenità.

Alle sette e trenta del mattino , del  ventinove giugno, uno squillo mi sveglio; era Michel che mi disse che il viaggio era stato di “massimo gradimento”, che avrebbe lasciato l’auto nel parcheggio della Hertz vicino al porto di Nizza per poi ripartire in treno alla volta di Parigi,dove avrebbe trascorso qualche

giorno di vacanza, per poi  tornare al suo sperduto paesello, stava per chiudere quando disse  “ oggi compio gli anni fammi gli auguri!” “ Beh a dire il vero, oggi gli compio anch’io caro Michel, fratellone

mio” risposi.

Un’ora prima un tonfo si confuse con la risacca della marea , sotto la strada costiera che dopo il confine francese porta a Montecarlo. Il sacchetto di iuta ben presto si sarebbe deteriorato lasciando apparire , nel

fondo del mare, quello strano vaso di ferro. Dove centinaa di pesciolini avrebbero pasteggiato con la testa del Bepo ..quello stronzo.

 

 

(29.07.03)