Una estrema leggerezza

 

 

 

 

Mi siedo spesso ai tavoli dei bar, quelli rotondi

Con poco spazio intorno,

e sto li’ a bere a e a leggere

io non m’intendo della vita,

mescolo i suoni e i non so più perché

 

io non le sento le persone che mi passano accanto,

quando mi chiedono se possono prendere la sedia.

Non guardo in faccia nessuno, perché mi isolo dentro ai miei libri.

 

Io di mestiere faccio un po’ quel che capita,

però son brava ad aggiustare i computer,

così lavoro nel laboratorio di un ragazzo che fa il tecnico.

I soldi li prende lui, a me mi dice, Tieni dai che va bene così,

e si, va bene così.

 

A volte chiamano a ore impossibili, e allora il tecnico mi dice, Dai vacci tu, che io sono impegnato.

Io vado nelle case della gente, e vedo quadri strani,che non mi sono familiari.

Vedo famiglie con il bimbo che urla perché non può giocare,

cerco di sistemargli  il PC, apro il case, controllo i collegamenti, le piattine, il lettore, a volte anche le DLL,

e poi il gioco torna a ripartire.

E sembran tutti contenti.

Ma basta così poco, mi chiedo, io non lo so.

 

Una volta era la vigilia di Natale, un cliente chiama che pare abbia dei problemi.

Il tecnico mi fa Vai tu, sai è la vigilia.

 

Era un problema di controller scsi.

Poi quando sono tornata indietro, mi sembrava di avere fame,

però alla vigilia non trovi nessuno aperto,

così mi sono fatta dei tramezzini.

 

Credevo fosse il paradiso. Le dita sporche di maionese , le birre in frigo,e un po’ di soldi nel portafogli.

E’ che c’era qualcosa che non andava.

Non sapevo cosa.

La festa, Natale, io da sola.

no, anzi, domani con i miei che litigano da una vita perché non si sono mai sopportati

E io che devo stare lì a fare la figlia che li và a trovare.

 

E’ da quel giorno lì, che ho capito come funzionavamo le cose.

Come fare ad avere un po’ di controllo.

Quando ero infelice, quando stavo male, bastavano due dita in gola.

 

E’ stato facile,,non c’erano più problemi.

Insomma.

A volte facevo fatica a trasportare i case perché sembravano di piombo.

 

Però le sere, anche quelle buie, e tristi che di più non si può, andavo a casa con i vassoi della rosticceria cinese, e mi mettevo al buio della mia coscienza a leggere, leggevo Kafka, e Dickens, e Pirsig, e Virginia Woolf…

E dopo andavo in bagno, due dita in gola, anche uno solo, e tutto quello che c’era nel vassoio era lì a galleggiare che bastava tirare lo sciacquone e sembrava sparire anche la solitudine, anche l’infelicità.

 

Mi sono tagliata i capelli, corti corti, perché erano più pratici, e mi mettevo le maglie che sapevano di un amore che non avevo più.

A lavorare si, me lo dicevano, come sei pallida, ma cos’hai , stai male?

E io No,no, è la vita.

 

Cercavo le piattine nei negozi più oscuri e le schede e le RAM dove potevo. Sembravo un cane, annusavo ogni pista, seguivo numeri sconosciuti.

Avevo il materiale.

Il tecnico era contento.

E avevo il controllo dei miei giorni, delle mie ore.

Sapevo con certezza cosa andare ad espellere.

Dove e quando.

Avevo sete, sempre, ma non bevevo, l’acqua mi era d’impaccio.

Mi faceva sentire gonfia.

 

Avevo avuto una vita normale, dentro a dei mesi che non ricordo più,

tinti d’azzurro, si e forse d’affetto, ma adesso erano passati,

erano affogati nel sogno umido d’una fontana d’ottobre pallido a morire.

 

Insomma il tecnico diceva che cosi’ lui non mi teneva.

Diceva che ero magra da far schifo,che ero vestita come una stracciona, sempre con maglie di quattro taglie e un più,

diceva mi Fai fare brutta figura, io voglio una che sia brava sì, ma anche un po’ figa…

 

Allora io dicevo Si hai ragione, scusa, ma adesso vado a prendere un caffé.

Andavo in un cesso qualunque, del peggior bar  a vomitare l’anima e lo sconforto e la solitudine

E i miei capelli corti…

 

Poi ero di nuovo lì, con la testa leggera a cercare di capire perché un hard disk aveva deciso di fermarsi in quel momento.

 

Dopo due mesi il tecnico mi ha detto guarda che io di te non ho bisogno.

Ma cos’è che hai?

Stai male?

Sei incinta?

 

Io facevo di no con la testa, perché ero stanca.

 

Ho detto vengo a prendere i soldo martedì prossimo.

Lui mi guardava e scuoteva la testa.

 

Mi sono seduta al tavolino di uno di quei bar che m’erano così famigliari,

ero così stanca, il cuore che sembrava voler sfondare il petto,

avrei tanto voluto parlare con qualcuno

pensare che la vita era normale, che avevo casa, e affetti e …

 

e’  arrivato il cameriere, mi ha strattonato una spalla, mia ha detto

Oh, senti se ti sei fatta va via di qua che fai una brutta pubblicità

Io lo guardavo e non capivo.

 

Ho detto, Scusa, sai mica se c’è un bagno?

Mavaffanculo, mi ha risposto lui.

 

Quei caffè ormai li ho dimenticati, quando mi siedo, la gente che è intorno mi guarda male e sposta le sedie, poi viene la cameriera che mi manda via.

Peccato mi piaceva stare lì seduta, a fare finta che fosse tutto a posto, che la mia vita fosse uguale a un libro della Lessino, ma quando mi dovevo alzare, capivo che stavo guardando un disegno a matita che veniva cancellato con mano veloce.

 

Ho pensato, credo, in un sogno a come era bello essere coccolati e abbracciati, a come mi sarebbe piaciuto avere qualcuno che mi tenesse stretta di notte.

E poi di giorno uscire e sceglier lenzuola, tovaglie e piatti strani per una casa dove invitare gli amici,  prendere un cuscino afgano, un tappeto usato e una lampada  al mercatino e intanto ridere

perché la vita , forse era quella lì.

 

Adesso vedo il cielo caldo e basso, sempre dal letto, ma non ne posso più,

così ho deciso, stasera vado fuori, stasera vado via.

Non sono adatta a vivere, questo è il problema, mi mancano i fondamentali…

Ma questa sera, si, sarà una grande sera,

io vado via, non ho deciso il momento, il luogo o l’ora..

Saranno le mie mani screpolate, il mio sguardo grande a dire che  forse provo ancora un senso di vergogna, di perdita.

Provo a scendere dal letto, leggerissima e mi innalzo verso le nubi che sgorgano nella sera,

fino a un’altezza impensabile…

La gente è tutta a casa. E io voglio provarci, di nuovo, tra tutti quanti forse qualcuno mi capirà.

 

 

( 24.07.04)