Io sono una che è meglio non fidarsi.

 

 

 

 

Io sono una che è meglio non fidarsi.

Ho gli occhi neri e i capelli ricci e rossi.

Leggo i tarocchi, vendo pietre e incensi,

libri usati e borse un po’ vintage.

 

Io vado con due tipi che hanno un furgoncino,

giro per le città, mi faccio i mercatini.

Srotolo nel mattino ancora buio, sciarpe, cuscini,e teli di ogni tipo,

ma è così buio che i colori non li vedo, e spesso sbaglio.

Così quello che guida il camioncino si incazza e mi fa rifare tutto da capo.

 

Io sono una che è meglio non fidarsi.

Io non mi invento vite straordinarie, dolori o amori da romanzo rosa,

quei pochi, quelle poche che si siedono e stanno ad aspettare i miei oracoli

mi guardano con grandi aspettative, e poi van via sempre un po’ delusi.

Io gli racconto le storie dei libri che ho letto, parlo di Dona Flor, Pilar tenera,Effi Briest, tutte  vite che non somigliano alle loro,

così per dargli un po’ di fantasia, un soffio d’aria, in cambio di 2 euro.

 

Un giorno che pioveva uno dei due m’ha detto Domani si sta a casa, niente giri.

Mi sono messa tre coperte addosso, che dove abito io c’è la stufetta elettrica,

ma dopo un po’ puzza di bruciato,  cos’ la spengo e sto li a battere i denti.

Avevo freddo ed ero così stanca, era una sera di gennaio, fredda,

sono andata a mangiare in un posto dove una volta c’era una trattoria.

Adesso è tutto giallo e luminoso e fanno cose con dei nomi strani.

Tutti guardavano i miei capelli fradici, e il cameriere mi passava la scopa contro i piedi.

Così sono andata via.

Fuori l’acqua pioveva dentro le pozzanghere della mia anima.

 

Conosco uno che ha un bar in postaccio,

sarebbe meglio non andarci mai,

ma ero così stanca e così sola.

 

Lì ho bevuto qualcosa per scaldarmi.

Pensare che una casa ce l’avevo.

Avevo una cucina tutta bianca.

E due poltrone col divano uguale.

E un bagno caldo e pieno di profumi.

 

Un giorno son tornata da Bologna, che allora lì facevo la commessa da un libraio,

e quello che era stato il mio compagno mi ha detto Devi andare via, che qui non c’è più niente.

Ho fatto dei casini, insomma qui ho dovuto dar via tutto.

Io non avevo neanche le parole, per dirgli stronzo, figlio di puttana.

Lui mi ha dato una spinta dietro al collo e mi ha gridato Che cazzo piangi a fare brutta scema?

Vai via che qui non c’è un cazzo di niente e non ti voglio più avere tra i piedi.

 

Mi sono trovata col,cane e due maglioni, dentro uno zaino

una sera di ottobre.

 

Dopo non mi ricordo tanto bene i giorni senza suoni, tutti opachi

Che si sfogliavano sopra a un calendario.

 

Dopo la vita mi è sembrata un niente, poteva capitarmi un po’ di tutto,

trovare un uomo, leggere le carte, capire i segni che mai ho interpretato.

Ho provato ad andare cogli uomini per soldi, ma come mi toccavano cominciavo a tremare,

e loro si scocciavano e mi mollavano li’, bestemmiando la vita puttana che gli aveva fatto trovare una così.

 

Io sono una che è meglio non fidarsi.

Lo dicono sempre anche quelli del furgone.

Te stai lì, cosa pensi di essere ancora in mezzo ai libri?

Oh, svegliati che c’è da scaricare dell’incenso.

 

Però stasera mentre accarezzo il cane sento il mio cuore come una porta d’ingresso

aperta su un fluire di pensieri freddi, artici da raggelare le labbra.

Appoggio un po’ la testa, sono stanca, e mi rendo conto di cosa è avvenuto tra un pensiero e l’altro.

Ma niente è più così importante da giustificare la pena che mi sono presa.

 

 

(06.08.04)