Ah si, se
questa sera non avevo poi questo mal di testa te lo raccontavo.
E per bene
Che io le cose
non me le dimentico.
Sai quando il
poeta è scappato?
Lo chiamavano
tutti così, io non so neanche se aveva un nome vero, solo poeta.
Tutti lo
cercavano.
Mi han chiesto
anche a me se sapevo dov’era.
Ho detto Chi?
E loro giù con
la descrizione
E io Mai
visto.
Io le cose le
racconto mica a loro.
Ai pula.
Che no, che
no.
C’era Clara
che si disperava, giù per le scale.
E’ andato via
o poeta jo nun so cousa pensare
E cosa vuoi
pensare Clara?
Io ero in un
bel casino.
Il poeta era
da me
Mi aveva detto
Dai, vestiti che andiamo fuori a declamare versi e a bere.
Ma no dai, che
ti cercano tutti.
E lui Si che stasera è la sera della mia
rinascita.
Come Artaud,
come Celine come Vian.
Diceva tutto
lui.
E mi tirava
per un braccio.
Siamo poi
andati fuori , ma a bere, lui da ubriaco ha provato a parlare in spagnolo
Ma dato che
non lo sapeva metteva solo delle gran esse e non si capiva niente
Un po’ perché
era bevuto e un po’ perché neanche lui sapeva cosa dire.
A parte le
esse.
A casa l’ho
messo a letto, che puzzava come un cantina, ma fa niente
Gli ho spento
la luce e io mi sono messa a lavorare
che altrimenti i costumi al teatro per domani
col cavolo che li avrei consegnati.
Alla mattina
c’era neve, io al poeta gli ho preparato il latte caldo
Un libro di
Pessoa e un cambio d’abiti smesso che mi aveva lasciato la sartoria.
Qui, al
Cerreto quando c’e’ neve si è come esser lontani un po’ da tutto.
E Firenze non
arrivava mai.
Io ho
consegnato gli abiti, mi hanno pagato e sono andata a bere un caffé.
Dire che
pensavo a casa.
Al poeta.
Se si era
svegliato.
Se si era
lavato.
Se era
scappato.
Se aveva
chiamato Clara la portoghese.
A sera dentro
casa c’era luce.
Ho aperto e il
poeta era lì che si sbracciava tutto.
Sono rimasta
sulla porta, in ombra.
Lui non mi ha
visto
Non mi ha
sentito.
Diceva delle
cose a mezza voce.
Poi è si è
seduto, in mezzo ai panni dei gatti.
E non diceva
più niente.
Mi sono
accorta che piangeva dal silenzio che facevano le sue spalle
Non sapevo se
dirgli qualcosa.
Ho detto Ti
copro
Silenzio
Che fa freddo.
Silenzio
Se non avessi
questo mal di testa , mi ricorderei proprio tutto, tutto.
So che i
giorni che son venuti l’ho curato, come un bambino, come un amante,
aveva il male
della malinconia.
Io gli leggevo
Holderlin
E gli
preparavo il latte col miele.
Ero indietro
col lavoro lavoro
che a leggere poesie con la bocca piena di
spilli era un problema.
Ho cercato
lavoro anche a Bologna.
Partivo con la
corriera delle sei, che era ancora buio pesto
e tornavo
quando capitava.
Al poeta
lasciavo sempre il necessario per ricordarsi di vivere.
Una sera di
fine febbraio con le strade gelate
Ho aperto la
porta delle mie fatiche con le stoffe e le lacrime agli occhi.
Tiravo su col
naso dal freddo.
Era buio.
Ho aperto,
chiamato.
E’ cominciato
allora il mal di testa, me lo ricordo bene.
Non c’era
nessuno.
Anche i
vestiti, niente.
E i libri.
Pessoa,
Holderlin.
A me mi
avevano licenziato anche a Bologna
che per stare dietro al poeta non ero
riuscita a finire i costumi per “Così fan tutte”
volevo
parlargliene al poeta e dirgli che di non preoccuparsi.
Ma lui non
c’era più.
Sono andata a
letto, senza mangiare, in mezzo a lenzuola sudice
Coi piedi
freddi e il ghiaccio nello stomaco.
Mi ha poi
scritto il poeta, e anche Clara la portoghese,
Da Livorno,
che erano contenti e aspettavano di andare a Oporto.
E che il poeta
adesso mangiava e parlava con tutti e i libri li aveva venduti, anche quelli di
Holderlin e di Pessoa.
E che pensava
che anziché fare poesia forse era meglio scrivere canzoni.
Tanto rimaneva
un artista.
Io vorrei
anche raccontarti altro, ma ho questo mal di testa.
Non mi passa
mai.
Mi appoggio con la testa sulle braccia,
contro il fresco del tavolo di formica e dico Non è niente adesso va.
La mia testa è
piena del dolore di tutte le assenze, di tutte le mancanze.
Anche d’amore
Anche di
riguardo.
Quando apro
gli occhi penso che mi manca chiunque.