Alla
mattina alle sei prendo la corriera.
Salgo
e mi copro il viso con la manica, così forse riesco a dormire un po’.
Ho
anche il libro dentro la mia sacca, ma adesso ho sonno, adesso chiudo gli
occhi.
Vado
al lavoro tutte le mattine
un’ora
e mezzo ad andare e altrettanto a tornare.
Quando
arrivo in città si fa più chiaro,
una
pioggia leggera aveva lavato via le ultime stelle,
cerco
di rassettarmi un po’, in fretta
al
mio capo non piacciono le donne malvestite, con i capelli senza le forcine.
Nascondo
la sciarpa nella sacca e sono pronta.
Io
mi rosicchio le unghie quando son nervosa
e
mi faccio sanguinare le pellicine
Dopo
nascondo le mani vergognosa
Che
non si sappia di questo mio difetto.
Quando
l’ufficio è vuoto mi guardo intorno
e
sono tranquilla per qualche momento,
mi
sembra che sia tutto lì ad attendere,
come
se fossimo io, i fogli, le penne i corridori
pronti
ad un podio di partenza.
Ecco
lo sparo.
Arriva
il ragioniere.
Beh?
Ma cosa fa vestita così? Ma dove crede di essere?
Si
tolga quel pastrano, e si pulisca le scarpe, ma non vede?
Io
mi volto subito e divento tutta rossa
Mi
bruciano le orecchie per il caldo
Corro
in bagno veloce, per ubbidire.
Appoggio
la fronte alla finestra
E
guardo le persone lì di fronte
C’è
l’insegna di un bar di lusso, luminosa
e fredda
e
mi immagino dentro a un’altra vita
ma
non so quale, non ho fantasia.
A
mezzogiorno, resto sola di nuovo, coi numeri ancora dentro la calcolatrice
E
tiro fuori un panino un po’ schiacciato lo mangio in fretta, così non resta
traccia.
Di
me non deve rimanere niente.
Per
me non sono state disegnate stelle
Nessuno
ha tratteggiato dei colori che sanno appena un po’ di serenità
Io
non ho incontri, né amori.
Solo
la notte a cui andare incontro.
La
notte che è insipida e vorace
Che
passa presto o non finisce mai.
La
notte , qualche volta, mica sempre,
faccio
la cameriera in un albergo
di
quelli dove vengono gli amanti, stanno lì un’ora e dopo vanno via.
Io
cambio tutta notte le lenzuola,
apro
i vetri e spolvero i comò.
A
volte trovo per terra delle cose, un orecchino, un rossetto, un pettine,
li
guardo mordicchiandomi le unghie e penso a quali vite sono appartenute,
a quali spiragli di momenti sono sfuggiti
trovando libertà.
Questo
lavoro, se lo sa il mio capo, mi lascia a casa, com’è vero Dio.
Io
in ufficio non parlo, lavoro a occhi bassi e cerco di non fare errori,
sennò
divento rossa e sento pungere le lacrime dietro gli occhi.
In
albergo ho un vestito di tela a righine rosse.
Ma
anche lì è meglio che non ci vedano.
Noi
siamo invisibili, sennò i clienti si mettono in imbarazzo.
Soprattutto
le signore, così ci hanno detto.
Io
li spio da dietro l’ingresso secondario e mi sembra che siano gli uomini i più
ingessati, formali, e spaventati.
Fanno
mille moine, appena girata la scala, quella del grande specchio
Si
sente ridere, oppure un gran silenzio.
Delle
volte succedono cose strane.
Una
sera mi è toccato raccogliere i cocci di uno specchio
Erano
sul letto, io non lo so come hanno
fatto.
La
padrona dice che quella coppia lì fa dei numeri strani.
Che
vogliono il gin e l’acqua tonica,ma mica per berla in modo normale.
A
me non mi interessa cosa fanno, io tolgo le lenzuola dal venerdi alla domenica.
E
poi via in corriera a dormire.
Delle
volte penso che sono così stanca, ma così stanca
Che
vorrei vomitare l’universo dentro un fosso.
A
noi che siamo invisibili, che passiamo accanto alla vita degli altri senza
disturbare
Non
è concessa possibilità
Io
delle sere, quando sono a letto mi sembra di vedere la mia anima che dorme su
una sedia davanti a me.
Allora
mi dimentico dei numeri, del ragioniere, degli amori sudati.
E
se andrà avanti così, spero che un giorno dimenticherò tutto questo, almeno in
qualche modo non ci avrò rimesso.
(
21.08.04)