Modernità Crisi e Information Technology
__commento all'articolo: Peter Eisenman. Lotta al cubo del prof. Antonino Saggio

 

Guerra alla geometria euclidea

[…L’Architettura è un testo, il medium è secondario: scrittura verbale, scrittura progettuale, scrittura costruttiva sono solo dei supporti intercambiabili. Non solo. Scrittura ex novo e ri-scrittura critica si identificano…]

da Peter Eisenman. Lotta al cubo di Antonino Saggio

Da questo punto decisivo parte la personale lotta al cubo di Peter Eisenman, dal preciso punto in cui l’aveva lasciata Terragni. Ma Eisenman la esaspera portandola sul piano della combinazione sintattica degli elementi propria delle espressioni letterarie; estremizza la possibilità di non avere nella pura visione geometrica, così come in quella reale, un sotto o un sopra come espresso nella Casa del Fascio a Como.
La sua ossessione da scrittore maledetto lo porta addirittura a poter proclamare: “Terragni non esiste. Terragni l’ho inventato io. Terragni sono io”. E’ la dimostrazione dell’immedesimazione del narratore con il personaggio di cui narra e studia le gesta. Sente così vivo il problema di rompere secoli di abusi sulla prospettiva e sulle proiezioni ortogonali e assonometriche, che ricerca nella costruzione della letteratura nuove regole di composizione architettonica.
Il catalizzatore del cambiamento fondamentale, che lo porta a confrontarsi con il contesto, non certo quell’archivio di immagini dove i post-modernisti pescano gli oggetti da incollare ai loro edifici per mimetizzarli nella città, è la presa di coscienza del fatto che la geometria euclidea non è più l’unico modello matematico di riferimento per indagare lo spazio architettonico e urbano. Infatti esiste un intero universo regolato da leggi frattali, da nurbs, da operazioni booleane, da analisi topologiche che permettono una percezione trasversale, ovvero diagonale della realtà.
Tutto questo è stimolo alla narrazione, all’ideazione e formulazione dello spazio, delle traiettorie dell’architettura, della riscoperta del contesto, ma anche della proiezione spazio-temporale dei transiti umani e naturali.
La realtà è letta e conosciuta attraverso un sistema di layers sovrapposti che ne svelano la complessità e le matrici generanti le dinamiche formali del progetto.
Questa è l’idea geniale e rivoluzionaria che spiazza il fruitore: lui non può leggere direttamente le leggi dell’intero sistema, poiché lo guarda dall’interno, ma intuisce le regole, le direttrici, lo spazio, il tempo, e quindi ha la percezione del sistema superiore nel quale quell’architettura è contenuta.
I mezzi sono quelli che l’uomo possiede dalla nascita, ovvero le capacità sensoriali, compresa quella fondamentale di percezione del tempo, senza le quali non potrebbe minimamente comprendere l’intero sistema città che contiene il sottosistema architettura. I layers rientrano dunque in gioco non nella sovrapposizione di livelli e sistemi, ma nella loro stratificazione dove la lettura delle dimensioni del sistema minore rende possibile comprendere l’esistenza di sintassi e regole urbane se non territoriali.
Eisenman permette al soggetto di effettuare la stessa scoperta che il quadrato bidimensionale di Edwin A. Abbott fa in Flatland ormai un secolo fa, ovvero capire di non essere al centro delle dinamiche, e quindi destabilizzarsi continuamente alla ricerca del sistema successivo che contiene il precedente.

 

 

A proposito di Cubo e Ipercubo (parlando di terza e quarta dimensione)

Esistono due film che trattano il tema delle dimensioni che regolano con loro leggi personali lo spazio che possiamo di volta in volta vivere. Questi sono nello specifico The Cube (1997) e The Cube 2: Hypercube (2002).

Tralasciando quello che ci offre la trama di entrambi i film, ovvero scene spesso splatter o comunque violente, condite da un’aria thriller-horror, alle quali solo pochi, forse nessuno, alla fine possono sopravvivere, essi ci spiegano in maniera esaustiva come si fa a percepire un universo composto da sistemi e sottosistemi senza nessun mezzo di riferimento se non quelli di tempo (pregnante) e quelli matematici (marginali, poiché sono solo il tramite operativo per concepire il tempo stesso). Ma analizziamo con ordine i due temi differenti postici dalle due pellicole canadesi.

Il primo, The Cube, narra di 7 estranei, potevano essere 8 ma il primo è immediatamente radiato dalla narrazione per far capire che non è un gioco a premi, che si ritrovano in stanze diverse tutte dalle claustrofobiche dimensioni cubiche. Esse sembrano infinite e sono connesse tra di loro tramite sportelli azionabili manualmente che danno accesso ai cubi prospicienti da ben sei ingressi posti su ogni superficie del sottosistema cubo. Qualche cubo è innocuo, altri sono pieni di trappole mortali (ma questo era stato già premesso), e l’unica via per sfuggire è un codice numerico di ingresso all’ambiente successivo. Inizialmente il gruppo, che ovviamente col passare del tempo diventa più scarno, crede che la decifrazione del codice può essere effettuata attraverso regole cartesiane, poi a sue spese e con l’aiuto di un ragazzo autistico scopre che la legge che regola la comprensione è determinati da numeri frattali: nuove regole matematiche contrapposte ad altre superate per la comprensione dello spazio. Ma ciò non basta. Dall’interno iniziano a comprendere che i cubi non sono fissi ma si muovono, quindi appartengono ad un sistema visibile solo dall’esterno ma comunque percepibile dall’interno attraverso la concezione del tempo che un cubo impiega a percorrere il tragitto (molte assonanze con il filmato di Chaplin visto a lezione). Solo in questo modo riescono a percepire la grandezza del cubo-sistema superiore che contiene la miriade di sottosistemi nei quali loro abitano. La scoperta alimenta alcuni a volere rendere partecipi tutti (come in Flatland), ma le reazioni non possono essere uguali e qualcuno finisce inevitabilmente per impazzire. Quindi in questo film sono in nuce molti dei discorsi da noi analizzati nella lezione sul tempo, però vi è solo il concetto di sottosistema e sistema superiore che lo contiene, senza arrivare allo sviluppo reale di una quarta dimensione. Piccola curiosità è che l’unico a sopravvivere è il ragazzo autistico che forse è premiato dal fatto che il moti principali che lo tengono in vita sono quelli sensoriali ed emotivi. Inoltre non si comprende il perché della reclusione: esperimento scientifico, forse come quelli sui topi chiusi in un labirinto, per capire proprio questi meccanismi?

Tesi quasi valida (non si può avere la sicurezza) se poi si passa a vedere il secondo film, dove le situazioni si complicano, visto che nel primo almeno un personaggio ne è uscito indenne. L’esperimento diviene più complesso, si genera la quarta dimensione, costruendo un hypercube, dove ogni sottosistema, come in un universo, ha le sue regole gravitazionali ma anche temporali e dunque spaziali. Una vera follia se si pensa che un ambiente può essere percorso in una frazione di secondo e quello dopo in un  paio d’ore, oppure si può passare da un cubo ad un altro cambiando completamente il sotto e il sopra. Qui è davvero impossibile (o quasi) uscire o comunque comprendere il sistema, poiché in ogni cella le leggi cambiano tutte senza eccezioni; l’unica certezza è che si può ancora percepire e quindi essere attenti alle mutazioni delle condizioni degli ambienti contigui. Le 6 possibilità di uscita, divengono le 6 possibilità di ingresso in nuove dimensioni per ogni porta che è un vero e proprio buco nero che conduce a mondi paralleli e quindi possibili ma non unici. L’uomo è completamente decentrato ed è pedina di un Creatore che non si sa per quale scopo l’abbia rapito e portato in un mondo infinito e pluridimensionale. In ogni caso mi sembra la giusta metafora della nostra condizione umana riferita all’infinità dell’universo.
Chissà qual è, nel caso esista, il sistema ultimo…  

Per una migliore comprensione del problema inserisco di seguito un passo fondamentale dello scritto Tempo prima dimensione dello spazio di Antonino Saggio_

[...Lo spazio così definito avrà secondo il nostro ragionamento una serie di caratteristiche comuni agli altri:
[1] IL TEMPO È LA PRIMA DIMENSIONE DELLO SPAZIO
[2] LO SPAZIO È UN INTERVALLO PERCORRIBILE
[3] PUNTO È CIÒ CHE NON HA SPAZIO, NÉ TEMPO
[4] OGNI SISTEMA DI RIFERIMENTO INFERIORE È CONTENUTO DA UNO SUPERIORE
[5] DA UN SISTEMA INFERIORE SI HA PROIEZIONE DI UNO DI LIVELLO SUPERIORE
[6] OGNI SISTEMA DI RIFERIMENTO È VALIDO AL SUO INTERNO E HA UNO SPAZIO E UN TEMPO AUTONOMO.

Ma per cercare di capire veramente che cosa è uno spazio a quattro dimensioni dobbiamo aggiungere ora una settima formulazione:
[7] IN OGNI SISTEMA DI LIVELLO SUPERIORE COESISTONO INFINTI SISTEMI DI RIFERIMENTO DI LIVELLO INFERIORE.

Ora, domandiamoci, questo spazio a quattro dimensioni come è fatto? Che cosa succede al suo interno? Naturalmente funzionano tutti i punti descritti anche se ampliati di una caratteristica fondamentale che è condensata proprio nella settima formulazione: dentro uno spazio a quattro dimensioni coesistono più sistemi di riferimento a tre! Così se in uno spazio a tre dimensioni coesistono infintiti piani, nello spazio a quattro coesistono infiniti cubi! Ciascuno può avere orientamento diverso di assi, e naturalmente non è detto che siano cubici, ma possono essere ovali spiraliformi, sferici (dato che la conformazione cubica o meglio ipercubica è solo scelta per semplicità). Ciascuno di questi sistemi di riferimento (tra l'altro non necessariamente con assi tra loro perpendicolari) può descrivere mondi diversi dal punto di vista di spazio e di tempo come abbiamo visto anche nei casi precedenti. Inoltre i diversi mondi possono muoversi velocissimamente l'uno sull'altro generando i fenomeni, solo apparentemente paradossali, della relatività einsteniana.

Se la caratteristica intrinseca di uno spazio a quattro dimensioni è quella della compresenza di interi mondi a tre dimensioni, poniamoci allora una domanda abbastanza cruciale e con questa domanda termino. Quale è la navigabilità prevalente di uno spazio a quattro dimensioni? In quella lineare la navigabilità è solo quella del binario, in quella a due è evidentemente piatta, in quella a tre è anche verticale ma la navigabilità del mondo a quattro dimensioni è esattamente quella del salto! Se in un mondo a due posso cambiare continuamente linea e in quella a tre posso cambiare continuamente piano in quella a quattro posso cambiare continuamente volume, posso cambiare sistema di riferimento tridimensionale. La navigabilità di base di un mondo a quattro è quella che permette di saltare da un mondo a tre dimensioni a un altro mondo a tre e questo "salto" non è (come abbiamo capito) solo spaziale, è spazio temporale.
La navigabilità delle quattro dimensioni è quella del salto...
]

 

 

L'ipercubo di Salvador Dalì

 

 

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