Modernità Crisi e Information Technology
__commento alla conferenza_evento: EUR: se Terragni avesse vinto a cura della Fondazione Zevi

 

Ho un paio di cose da dire sugli interventi del convegno, ma prima vorrei spendere due parole sulla mostra allestita dal gruppo Scanner e sui caratteri generali dell’evento.

Devo dire che la mostra comprendente i lavori del corso CAAD ’04 mi è sembrata riuscita dal punto di vista sia dei contenuti (i progetti) sia dell’allestimento, e per questo vanno i miei complimenti al gruppo Scanner e ai docenti del corso svolto nel 2004 che hanno stimolato queste creazioni e studi. Lo stesso non si può dire dell’attenzione ricevuta da parte di tutte le persone che hanno partecipato al convegno, che non hanno dato neanche un’occhiata alla proiezione in ciclo continuo visibile in un intero interasse della galleria superiore. Sarà che la cultura architettonica italiana guarda o all’accademia, quella che per inciso ha “sconfitto” la modernità degli allora giovani architetti quali Terragni, o alla griffe dei grandi Architetti affermati in tutto il mondo.
Che l’attenzione verso i giovani sia realmente ancora così bassa?
Rimango sconcertato, si fa un convegno per ricordare gli errori e le “occasioni perdute”, e nello stesso tempo si continuano a commettere gli stessi sbagli. Brutto vizio. L’unico intervento in merito non poteva che essere quello del prof. Saggio, che ha iniziato parlando proprio della mostra ed invitando gli astanti ad interessarsi ad essa. Consiglio purtroppo rimasto un po’ nell’etere.

Le premesse del convegno sono state molto interessanti, si era infatti detto che tre erano stati i motivi principali per i quali era stato organizzato questo evento:
1_ verità verso il reale svolgimento della Storia
2_ rimedio alla dimenticanza che Roma ha mostrato nel 2004 verso il centenario dalla nascita di Terragni
3_ analisi e azioni possibili nella situazione contemporanea

Per quanto riguarda il primo punto, ritengo che in generale il convegno abbia riportato i fatti storici in maniera chiara e fedele al reale andamento degli eventi, anche se l’intervento del prof. Mariani mi è sembrato un po’ troppo condito di supposizioni non condivisibili, poiché basate su emozioni umane che non capisco come abbia fatto a percepire (mi riferisco alle presunte invidie/ripicche di Pagano!!! bah). A parte questo, ho gradito molto il taglio critico dato al racconto di quegli eventi, per noi tristi, volti ad analizzare le cause della sconfitta della modernità/razionalismo, e condivido con il prof. Saggio e la prof. Muntoni, che il problema principale è stato nell’aver rifiutato compromessi, così come ha invece ammesso Libera di aver accettato. Il pensiero di staccare il telaio, rendendolo autonomo, in modo da generare nuove possibilità spaziali dettate dal vuoto e dalla sottrazione, è stata una operazione troppo sconvolgente per le “menti” di allora. E come la storia insegna, non tutte le innovazioni sono sempre accolte a braccia aperte, e spesso sono riconosciute ad anni di distanza se non secoli, soprattutto perché vanno a cozzare con le “convinzioni” politiche vigenti.
L’architettura non dovrebbe essere politicizzata, se questo significa obbligarla a chiudersi in una sfera ridotta di possibilità progettuali; ma di contro l’architettura è politica se intesa come manifesto sociale di realtà esistenti: la stessa realtà dei vari Terragni, Lingeri, Cattaneo.

Il secondo punto parla da se, ma il terzo è quello che mi lascia tra il “perplesso” e “l’esterrefatto”.
Come si può ancora oggi conservare qualsiasi cosa appartenente a migliaia di anni fa (parlando sempre di architetture) senza una valutazione critica e consapevole del reale valore delle opere presenti sul nostro territorio, e con la stessa tranquillità buttare giù edifici come le Torri dell’Eur, o lasciare al completo abbandono altri come il Velodromo, poche testimonianze di una architettura razionalista italiana.
E in favore di cosa, di un nuovo progetto di una star internazionale? Va bene se fatto con cognizione di causa, ma rimango un po’ scettico se penso alla bella favola che ci vogliono propinare con la “nuvola” di Fuksas che altro non è se non un giochetto formale inutile e che non ha nulla a che vedere con i capolavori di architetti come Gehry.

Ultimo punto è sicuramente l’intervento velatamente polemico di Nicoletti, che ha parlato liberamente su tutta l’Architettura degli ultimi anni a Roma. Mi trova d’accordo quando parla di esperimenti non sempre riusciti anche se affidati a grandi Architetti; a mio avviso sembra che molte volte ci sia la paura di azzardare qualcosa di non convenzionale per la cultura italiana (vedi l’Auditorium, dove ritornano prepotentemente, anche se non mi dispiace del tutto, cortine in mattoni e coperture in piombo: certo è che siamo distanti anni luce dalla leggerezza delle opere di Terragni), oppure la completa anarchia nel rispetto dei “canoni ambientali” (vedi l’ormai conosciuta come “stazione di servizio” dell’Ara Pacis). Altre volte trovo sconcertante come opere osannate come quella di Zaha Hadid, non trovino risoluzione ancora, poiché si pensa a delle forme che poi non si sanno costruire, oppure per le quali il pensiero di una struttura è successivo alla risoluzione della forma (vedi anche la “nuvola” di Fuksas).
Almeno in questo Terragni ha per me vinto pienamente: ha dimostrato che un vero Architetto è si visionario e creatore di nuovi spazi e forme, ma è anche un creatore di strutture atte ad essere realizzate. Il binomio struttura-forma, in qualsiasi epoca o filone architettonico operiamo, non può essere né scisso, né l’uno può essere posticipato all’altro. Sono due processi costitutivi, che insieme a molti altri (che mi sembra il caso di non elencare), camminano parallelamente e si toccano ed intersecano in vari punti dell’iter progettuale.

 

 

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