Modernità Crisi e Information Technology
__recensione a: GAMEZONE, playgroun tra scenari virtuali e realtà di Alberto Iacovoni
 
__titolo recensione: ai confini della virtualità di Giustino Di Cunzolo

Alberto Iacovoni (a cura di), GAMEZONE playground tra scenari virtuali e realtà,
it revolution in architettura collana diretta da Antonino Saggio, Edilstampa, Roma 2006, (pp. 96)

 

“-Questo è struttura, il nostro programma di caricamento, possiamo caricare di tutto…vestiti, equipaggiamento, armi, addestramento simulato, tutto quello di cui abbiamo bisogno.
-In questo momento siamo all’interno di un programma?
-Abbastanza facile da capire (…).
-Questo non è reale?
-Che vuol dire reale? Dammi una definizione di reale. Se ti riferisci a quello che percepiamo, a quello che possiamo odorare, toccare e vedere, quel reale sono semplici segnali elettrici interpretati dal cervello…”

(Morpheus e Neo, Matrix)

Game Zone indaga le fonti, reali o digitali che siano, generanti gli impulsi elettrici che arrivano al nostro cervello, ma partendo dalle possibilità di una nuova architettura attraverso il suo aspetto ludico. Le parole dalle quali parte il saggio sono game e play; la prima si riferisce al gioco competitivo, non strettamente legato alla costruzione di spazi complessi e contemporanei; la seconda è la concretizzazione del concetto di interazione in architettura. Interazione non solo generata dall’utilizzo dell’Information Technology, ma anche da stratagemmi progettuali che stimolino i nostri ricettori sensoriali. Così si cerca di formulare un nuovo iter progettuale che parta dalla decisione del game al quale vogliamo giocare; la scelta del gioco può variare dal semplice nascondino sino al videogioco maggiormente realistico. Tradotto in campo architettonico: dall’uso di meccanismi basilari a generazione di dimensioni virtuali sovrapposte alla nostra realtà, passando per interazioni meccaniche da applicare alle architetture.

Tutto questo è un gioco da bambini nel quale l’unico scopo è illudere? Illusione, una parola che va macchiandosi del peccato originale, nel suo banale significato di futilità. Ma è proprio grazie all’illusione che si riescono a creare i paesi più bizzarri, le spazialità più complesse e coinvolgenti. L’utente è l’attore primario della scena, riveste un ruolo e si attiene a delle regole non scritte ma tacitamente accolte e non per questo immodificabili. Il campo nel quale si svolge il gioco deve essere conformato, e la responsabilità della creazione ricade sulla figura dell’Architetto. Egli deve ridisegnare lo spazio della nostra realtà: gli edifici, la città ed addirittura il territorio devono allinearsi alla nuova ricerca di movimento e mutazione di tutto ciò ci circondi. Staticità, serializzazione, iterazione sono tutti concetti non più applicabili e ormai sorpassati. L’operazione progettuale non è più generata solo da concezioni spazio-formali, ma parte anche da presupposti sociali, psicologici propri del gioco. Un gioco che acquista sfumature completamente differenti nel momento in cui decidiamo la sua struttura: lo scritto ne indaga sei attraverso alcuni esempi concreti che variano dalle prima operazioni degli anni ’60 fino alle progettazioni d’avanguardia in materia. E così si passa dal gioco del punto di vista, ovvero la possibilità di osservare la realtà dopo averla smontata, ruotata, ricomposta, per finire alle realtà virtuali, mondi estremamente affascinanti e potenzialmente sviluppabili per le città future, ma oggi ancora sospesi nelle dimensioni on-line. In mezzo vi sono: il gioco del corpo che invade lo spazio, la creazione di spazi da vivere con i sensi e con i quali interagire; il gioco invade la città, tutto lo spazio urbano può trasformarsi in playground, dove attraverso semplici dispositivi anche uno slargo, la strada, una piazza, il retro di un edificio è pronto per il gioco; la città del gioco, il game più complesso poiché dobbiamo scommettere su un’intera comunità disposta a giocare; infine il gioco dell’architettura istantanea, quello in cui realtà e virtualità, posti su due layer differenti, sono pronti a sovrapporsi, mescolarsi per generare l’architettura interattiva e mai uguale a se stessa.
“Fine ultimo dell’architettura è l’eliminazione dell’architettura stessa”, solo così può superare le barriere fisiche che la costituiscono per catapultarsi nel mondo dell’illusione.

 

 

link to commenti
link to my blog

link to my home