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VALGRANDE: TRAVERSATA SUD-NORD

 

 

Per alcuni di noi, amanti della Valgrande, non avere ancora fatto la "grande traversata nord-sud" era una mancanza importante, una sorta di percorso "incompiuto".  Così, dopo avere fatto le prove generali con la bella camminata di luglio sul sentiero Bove, abbiamo deciso: il periodo migliore sarà la fine di settembre.

 

Generalmente questa escursione si compie da nord a sud, con partenza da In La Piana e arrivo a Ponte Casletto. Noi invece abbiamo deciso per il percorso inverso, con pernottamento ai nuovi bivacchi di In La Piana (complimenti all'Ente Parco, hanno fatto davvero uno splendido lavoro!), e l'uscita dalla Colma di Premosello il giorno seguente.

 

In ogni caso, si tratta di un percorso piuttosto impegnativo; la scelta del periodo autunnale è consigliabile per via della scarsa vegetazione e del basso livello d'acqua dei torrenti, che si guadano in più punti. Da Ponte Velina in poi il percorso si inoltra nel cuore profondo e più selvaggio della Valgrande: in alcuni tratti il sentiero si riduce ad un esile traccia che è facile perdere nella vegetazione; in altri occorre attraversare cenge naturali a strapiombo o risalire per tratti rocciosi. Le vecchie pontegge di una volta non sempre sono in perfetto stato e solo in alcuni punti sono state posizionate corde di sicurezza. Per affrontare questa "gita" è indispensabile un buon allenamento (da Ponte Casletto a In La Piana occorrono dalle 9 alle 12 ore di cammino), ed è utile dotarsi di qualche metro di corda.

All'alba di sabato 2 ottobre 2004 ci troviamo in tre: Massimo, Giovanni e io. La sera precedente Massimo ha portato una automobile a Colloro, a disposizione per il ritorno. Passando per Rovegro speriamo di trovare il circolo aperto per un buon caffè, ma le nostre speranze si infrangono con la stagione avanzata e con l'ora troppo mattutina. Non Importa, proseguiamo per Ponte Casletto ma decidiamo di partire da Bignugno: il primo tratto di percorso verso Ponte Velina, anche se più lungo, è più agevole rispetto al tratto basso che parte dal Ponte e percorre le condotte e le gallerie dell'Enel.

 

 

Lasciata l'automobile sulla strada, in pochi metri siamo al gruppo di belle baite di Bignugno. Qui la presenza continua dell'uomo è dimostrata dai prati e dalle case ben tenuti. Facciamo rifornimento d'acqua e attacchiamo il comodo sentiero che sale verso Orvergugno dove una cappelletta votiva ricorda le fatiche degli antichi abitanti di questi luoghi. Il sentiero in realtà ha ben poco del sentiero, infatti è una cosiddetta "strà di vacch", larga e sorretta da possenti muraglioni in pietra, su cui un tempo transitavano le mandrie per raggiungere gli alpeggi dell'alta valle.

 

Proseguendo su questo comodo sentiero raggiungiamo abbastanza velocemente Ponte Velina.

 

L'imbocco del sentiero per Orfalecchio è già un problema, infatti un'esile traccia non marcata si stacca sulla sinistra circa 100 metri prima di giungere al ponte. Da qui in avanti il sentiero cambia faccia e si fa decisamente più difficoltoso: un cartello posto a circa 10 metri dell'imbocco della traccia ammonisce gli escursionisti sulla pericolosità del percorso, lasciando ogni responsabilità a chi vi si avventura. In realtà i tratti “delicati” sono protetti da cavi d’acciaio, funi, pontegge e scalette. Inoltre il sentiero è segnato con piccoli pallini di vernice rossa (spesso adatti a chi fa il percorso in senso inverso) che guidano nella giusta direzione. Ci sono solo due o tre posti dove abbiamo dovuto prestare particolare attenzione, soprattutto in corrispondenza dell’attraversamento di valloncelli perchè il sentiero dall’altra parte ripartiva più in alto o più in basso. Il tratto di strada si percorre quasi integralmente nel bosco, con il rio Valgrande che scorre poco più in basso sulla nostra destra. Solo ad un certo punto il sentiero si abbassa fino a lambire il torrente dove per un breve tratto si cammina sugli enormi massi adagiati sul greto. Poco più in alto il sentiero riprende ad inerpicarsi nel bosco per raggiungere in breve il bivacco di Orfalecchio. Da Ponte Velina abbiamo impiegato circa due ore.

 

Il bivacco è di recente sistemazione, e si trova ai piedi di un grosso masso roccioso che si salda alla imponente "piattaforma" che costituiva il basamento per la stazione di partenza della teleferica che agli inizi del secolo trasportava il legname a Fondotoce attraverso la colma di Vercio.

 

Un breve spuntino e una rapida occhiata in giro prima di partire  (verso le 10.45) alla volta dell'Arca dove contiamo di pranzare.

 

Il sentiero non è difficile da seguire. E’ abbastanza ben segnato con i soliti pallini di vernice rossa, qualche ometto e “strisce di plastica” annodate agli alberi. Per lunghi tratti non ci sono grosse difficoltà. Solo ad un certo punto, dove incontriamo un “salto” roccioso piuttosto ostico, decidiamo, dopo infruttuosi tentativi e un paio di "rovinose" cadute fortunatamente senza seri danni, di semplificarci il percorso scendendo al fiume e risalendo subito dopo.

Dopo avere attraversato la Val Piana (piana solo di nome!!), seguiamo il sentiero che sale ripidamente allontanandosi temporaneamente dal fiume per poi scollinare dalla parte opposta. Al culmine della salita c'è una bella radura e ne approfittiamo per scattare alcune foto. Affrontiamo ancora qualche saliscendi e arriviamo a un punto molto panoramico. Da qui la vista grandiosa spazia sulla gola dell’Arca dove arriviamo dopo una breve discesa e un incontro poco piacevole (una "ratera", cioè una serpe, ferma proprio sul sentiero). Attraversiamo il rio Valgrande e sostiamo per il pranzo: sono circa le 13.30. Approfittiamo della sosta in questo luogo selvaggio per scattare alcune foto all'imponente gola dell'Arca le cui pareti si innalzano a picco per circa 80 metri. L'obiettivo della nostra macchina fotografica si sofferma anche sulla "famosa" grotta dove, in caso d'emergenza, è possibile pernottare (... non è proprio come al Grand Hotel ... comunque!!).

 

Verso le 14.00 siamo di nuovo in movimento. Le difficoltà di questo tratto di percorso sono subito evidenti dato che non riusciamo ad individuare agevolmente il sentiero. Solo dopo una paziente ricerca capiamo che occorre prendere la sinistra orografica del torrentello della valle dell’Arca. Fatti pochi metri in salita passiamo sulla destra orografica del rio l’Arca dove ritroviamo, più marcato, il sentiero. Proseguendo arriviamo fino ad una costruzione in pietra diroccata. Seguiamo il sentiero che ridiscende verso il fiume ma presto ci accorgiamo che non è la giusta direzione: il “vero” sentiero infatti prosegue in alto (senza passare sul retro della costruzione appena incontrata) e continua in direzione del rio l’Arca. 

 

Saliamo, piegando a sinistra, fino a contornare un valloncello ed arrivare abbastanza in alto (sopra le rocce a strapiombo sul fiume). Il sentiero da questo punto in avanti prosegue in fantastiche faggete dove la totale assenza dell'uomo è tangibile: in basso il rumore del torrente e intorno a noi solo i rumori del bosco. In questo tratto di sentiero la traccia spesso scompare e bisogna affidarsi un po' all'intuizione per proseguire nella giusta direzione. Abbiamo comunque appurato che non ci si deve abbassare troppo in direzione del fiume e, per questo, bisogna diffidare delle eventuali biforcazioni a sinistra.

 

Ma nonostante le nostre attenzioni commettiamo un primo errore che ci farà perdere almeno 45 minuti: arrivati infatti ad un ometto appena dopo un piccolo gradino roccioso (con segno rosso), sembra che il sentiero prosegua verso verso l’alto. In realtà la traccia si abbassa un po’ sulla sinistra in leggera discesa. Probabilmente siamo stati tratti in inganno dall’essere arrivati all’ometto da una direzione non ottimale (dal basso anziché da destra). Solo dopo avere esplorato a 360 gradi la zona intorno all'ometto, finalmente ritroviamo la traccia.

 

Siamo un po' contrariati per questo contrattempo, ma in fondo questo è il fascino dell'avventura: affrontare un percorso sconosciuto contando solo su stessi (le cartine in questo caso sono di poco aiuto). Proseguiamo per continui saliscendi (più sali che scendi!) per un'altra ora almeno. La fatica dell'intero percorso non è data dalla sua lunghezza, quanto piuttosto da queste continue salite e discese che moltiplicano il dislivello complessivo. Infatti, dalla partenza all'arrivo il dislivello è piuttosto limitato, circa 300 metri, ma abbiamo stimato che quello reale è di almeno 7 volte maggiore.

 

Arrivati ad un ometto che si trova appena prima di un tratto scosceso, il sentiero, abbastanza evidente, taglia a sinistra e comincia a scendere. Facciamo pochi metri e un gradino roccioso di circa tre metri di altezza sembra sbarrarci il cammino: inoltre, l’assenza totale di segni sembra indicare che non è la via giusta. Ritorniamo sui nostri passi e cerchiamo nella faggeta altri segni: niente. Allora ci dividiamo e ciascuno cerca in una direzione diversa ma inutilmente: non ci sono altre vie. Che fare? Esaminiamo le possibili alternative. Tornare indietro non è possibile, perchè sono già le 17 e non faremmo in tempo ad arrivare al bivacco di Orfalecchio con la luce. Potremmo accamparci alla gola dell'Arca e riprovare il mattino successivo, ma dovremmo camminare a ritroso per tre ore per poi tornare il giorno dopo allo stesso punto. Sembra che non ci resti che trovare un posto nei dintorni per accamparci e riprovare l'indomani. Io però non sono convinto: decido di andare in esplorazione del gradino roccioso che ci sbarra la strada e lo discendo con cautela. Al termine del gradino una breve traccia orizzontale termina a ridosso di una roccetta, oltre la quale scopro un angusto canalino di circa 5 metri. Non sembra difficile, lo discendo (e nel fare questo mi si sfila la borraccia che rotola inesorabilmente a valle verso il fiume...era nuova...) e arrivato in fondo ritrovo un benedetto segno rosso: è questa la via!

 

Una nuova energia ci pervade, ma siamo consapevoli che abbiamo solo due ore di luce ancora, e purtroppo nessuna idea di quanto ancora sia lunga la strada. Ancora una serie di saliscendi con qualche passaggio un po’ ostico ma percorribile, ed entriamo in Val Negra, arrivando in breve al posto dove Giovanni si era “arreso” 22 anni prima: si tratta di un attraversamento su una cengia naturale di massimo 20 cm di larghezza a picco sulla valletta sottostante. Probabilmente è il tratto più pericoloso dell'intero percorso, ma fortunatamente il passaggio è stato  attrezzato con alcune funi. Subito dopo occorre attraversare un valloncello che richiede una breve scalata su roccia non attrezzata (ma abbastanza facile) e quindi il sentiero riprende poco più in alto. Giovanni ricorda che non dovrebbe mancare molto al guado oltre il quale in breve tempo si arriva alla meta. In testa al gruppo allora accelero l'andatura, la luce diminuisce ma, benchè siamo ancora nel bosco, non ci sono particolari problemi. Il sentiero comincia a perdere quota in modo sempre più consistente e questo ci fa capire che siamo vicini al fiume, infatti poco dopo avere superato (sul versante opposto) il solco della Valgabbio, il sentiero si abbassa fino ad arrivare al guado del "Pisar'd", la confluenza tra il Rio Fiorina e il Rio Valgabbio.

 

 

Sono le 19 ed è quasi buio. Attraversiamo il fiume, non senza difficoltà, ma senza bagnarci e ci mettiamo alla ricerca del sentiero. Dobbiamo tornare indietro di una cinquantina di metri: un cavo per terra (sul greto del torrente) e un segno su un sasso indicano la direzione di salita sul versante opposto. Qui i segni diventano gialli. Si sale prima rapidamente, poi quasi in falsopiano stando sempre a pochi metri dal torrente (che ora scorre alla nostra destra) finché, passando accanto a cartelli segnaletici e ruderi, si arriva in vista del promontorio su cui è ubicata la casermetta in ferro della Guardia Forestale.

 

Cinque minuti sotto la casermetta ci aspetta l’alpeggio di In la Piana dove giungiamo (abbastanza stanchi) verso le 19.25.

 

 

 

Dopo la notte trascorsa in uno dei bivacchi recentemente ristrutturati adattando le baite dell'alpeggio, verso le 9 del mattino siamo pronti per l'ultimo tratto del nostro percorso. Rispetto al giorno precedente si tratta tutto sommato di una "passeggiata domenicale". Questo tratto di sentiero che conduce alla Colma di Premosello e quindi a Colloro è infatti normalmente percorso da chi compie la classica traversata est-ovest; inoltre l'Ente Parco ha sistemato e attrezzato il percorso rendendolo piuttosto agevole.

 

 

Il primo tratto sale lievemente all'interno del bosco deviando progressivamente in direzione della Val Gabbio che si imbocca dopo circa mezzora di cammino. Il sentiero è largo, pulito e ben segnalato. La temperatura è deliziosa, addirittura insolita per la stagione. Un silenzio quasi irreale ci circonda e camminiamo senza parlare per non rompere questa magia. La strada è ora quasi pianeggiante e infine scende nel tratto di avvicinamento al rio Valgabbio che raggiungiamo brevemente. Questa parte del percorso è stata attrezzata con catene di sicurezza ma, vista la dimensione del sentiero, forse non ce n'era neppure bisogno. Anche la vecchia passerella che permetteva l'attraversamento del torrente è stata sostituita da un nuovo manufatto in legno e cemento veramente bello e "solido". Dopo il ponte si prosegue paralleli al torrente, poi, in corrispondenza dei ruderi dell'alpe Valgabbio l'itinerario piega a sinistra e comincia a salire. Dopo circa mezzora di salita abbastanza faticosa siamo alla "Colletta", dove un tempo, oltre alla teleferica che collegava In La Piana con la Colma di Premosello, esisteva addirittura uno spaccio per i boscaioli. E' l'occasione per un breve riposo e qualche fotografia.

 

 

 

Il percorso scende per un breve tratto nel bosco che poi si dirada per lasciare progressivamente il posto ai prati ormai invasi dalla vegetazione dell'alpe Serena. Oltrepassati i resti dell'alpeggio il sentiero riprende deciso la sua salita verso la Colma attraverso una vegetazione costituita sopratutto da prati e ontanellli. In breve raggiungiamo l'alpe della Colma dove ci fermiamo per il pranzo.

 

L'ultima parte del nostro itinerario è tutta in discesa e dopo il ripido tratto iniziale attraversa in successione gli alpeggi "La Motta", "La Piana" e Lut. In corrispondenza della piccola chiesa della "Madonna di Lut" imbocchiamo la vecchia mulattiera che scende fino alla diga della centrale elettrica facendoci risparmiare un buon tratto di strada asfaltata. Da qui in pochi minuti raggiungiamo l'abitato di Colloro dove ci attende l'automobile di Massimo e il meritato riposo.

 

 

Text by Giò & Skinky

Fotos by Max

 

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